Paolo Pietrangeli
27 Novembre 2022Guido Harari Amico De André
27 Novembre 2022
di Edoardo Sassi
«La stanza era vuota. Vuota, vuota, vuota; silenziosa, silenziosa, silenziosa». La citazione, da Mrs Dalloway, è una delle tante che accolgono il visitatore all’inizio del percorso della mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life. Un titolo che allude a un verso di Shakespeare, Society is the happiness of life (stare insieme è la felicità) con l’obiettivo di evocare l’atmosfera del cenacolo di Bloomsbury attraverso un centinaio tra dipinti, foto, prime edizioni o edizioni rare di libri, oggetti e parole dei principali protagonisti di questa avventura dell’arte e del pensiero, una delle più ardite della prima metà del XX secolo.
Reinventare un’esistenza in assoluta libertà intellettuale — e sessuale — reagendo al conformismo dell’epoca vittoriana e sottolineando il valore creativo dell’idea di comunità: questo lo spirito con cui un gruppo di giovani colti, spesso aristocratici (se non di sangue, del pensiero) e allergici al moralismo del tempo diedero vita alla rivoluzione-Bloomsbury sovvertendo consolidati paradigmi letterari, estetici, etici, politici.
A ospitare questo racconto per immagini, fino al 12 febbraio, le sale di Palazzo Altemps, oggi una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano ma in passato residenza aristocratica tra le più magnificenti di Roma, luogo che accolse anche una prestigiosa biblioteca, quella raccolta tra il XVI e il XVII secolo dal cardinale Marco Sittico Altemps e dal nipote Giovanni Angelo, poi confluita nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Dall’Ottocento il Palazzo ospitò inoltre importanti salotti letterari. Ed è proprio qui, nella chiesa custodita all’interno dell’edificio, che Maria Hardouin di Gallese, discendente Altemps, sposò Gabriele d’Annunzio nel 1883.
Una vaga aura letteraria, oltre agli esemplari archeologici della collezione permanente del museo, avvolge dunque questa esposizione ideata da Nadia Fusini (studiosa della Woolf di cui ha curato l’edizione in due volumi dei Meridiani) insieme a Luca Scarlini e suddivisa in cinque sezioni. La prima, Una stanza tutta per sé, è un esplicito riferimento al celebre testo di Virginia del 1929 ed è interamente dedicata alla scrittrice e al suo concetto di stanza: uno spazio protetto, in cui affermare la propria identità e libertà. Filo rosso, il volto della Woolf, ritratta dall’obbiettivo fotografico di George Charles Beresford nel 19o2 o dallo scultore Stephen Tomlin nel 1931 (l’opera in mostra è una fusione successiva, del 1953), entrambi lavori provenienti dalla National Portrait Gallery di Londra, principale prestatore e partner del progetto espositivo insieme a Electa.
Di stanza in stanza si procede con le altre sezioni: quella intitolata Society is the happiness of life, verso tratto da Pene d’amore perdute di Shakespeare, è dedicata ai personaggi del cenacolo e al fittissimo intreccio tra creatività e vite vissute. Dipinti e foto realizzati dagli amici del gruppo londinese consentono il racconto di personalità speciali, eccentriche, al centro di biografie in cui la libertà degli amori è almeno pari a quella dei testi e dei colori utilizzati nei quadri. Tra le figure di primo piano, Vanessa: pittrice, sorella maggiore di Virginia ed elemento indispensabile nella sua vita come costante fonte di ispirazione. Protagonista di un’esistenza molto anticonvenzionale — un matrimonio con il critico Clive Bell, una relazione con il «fluido» Roger Fry e una convivenza con Duncan Grant, pittore apertamente omosessuale da cui avrà una figlia, Angelica — è Vanessa a trovare e arredare la casa al 46 di Gordon Square, nel quartiere londinese Bloomsbury, un luogo così diverso dalla vecchia casa Stephen (cognome di nascita di Virginia e Vanessa) in Hyde Park Gate.
La terza sezione della mostra è dedicate alla Hogarth Press, in cui si ricostruisce la storia della casa editrice fondata nel 1915, anno in cui Virginia e suo marito Leonard Woolf decidono di acquistare una pressa (il primo volume uscirà due anni dopo). Segue un focus su Roger Fry e il post impressionismo, in cui viene evocato il clamore suscitato dalla mostra che Roger, critico oltre che pittore, organizzò a Londra nel 1910-1911 con ventuno opere di autori moderni tra cui Cézanne, Picasso, Matisse. Di Fry, oltre a un Autoritratto, esposti quadri che raffigurano Clive Bell, Bertrand Russell ed Edward Carpenter. Ed è ancora Roger a posare per una tela di cui, stavolta, è autrice Vanessa.
Lungo il percorso ci si immerge in un vero labirinto (che gli apparati didattici, a mo’ di filo di Arianna, aiutano almeno un po’ ad attraversare) di vicende e amori. Amori come quello che legherà in matrimonio il celebre economista John Maynard Keynes alla danzatrice Lydia Lopokova, musa di Sergej Djagilev che condivise il palco anche con il divino Nijinsky. Il ritratto di Lydia esposto è opera di Duncan Grant, a sua volta legato da una relazione con Keynes, marito di lei.
Spazio anche alle vite e ai volti di Vita Sackville-West, grande passione di Virginia alla quale ispirò le pagine di Orlando, o dell’eccentrica Carrington. Per lei solo il cognome, niente nome di battesimo. Carrington — Dora all’anagrafe — era nata a Hereford in una severa famiglia vittoriana. A Londra era giunta diciassettenne, e lì rifiorì a nuova vita mutando aspetto e identità. Anticonformista, legata allo storico e scrittore Lytton Strachey, pacifista e omosessuale, Carrington parlava di sé come di un «ibrido». Dotata di grande estro, raramente mostrava i suoi quadri e disegni — presenti a Roma — preferendo lavorare a oggetti, brocche, tessuti, sedie. Anche Carrington collaborò agli Omega Workshops, l’altra grande invenzione di Roger Fry cui è intitolata la quinta e conclusiva «stanza» della rassegna. Un laboratorio di design fondato nel 1913 in cui Roger, Vanessa, Duncan e altri inventarono oggetti d’arte applicata e arredi destinati a cambiare il volto delle case. Creazioni anonime come in un’antica bottega, solo con il marchio della lettera greca (Omega) inscritta anche all’entrata del 33 di Fitzroy Square, indirizzo crocevia per una fitta pattuglia di clienti: geni, raffinati, miliardari e bohémien tra cui George Bernard Shaw, Yeats, Forster, Lady Ottoline Morrell, Gertrude Stein…
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