Il Piantagrano
5 Settembre 2023Renzi: “Mi candido al Parlamento europeo con Il Centro”. Calenda: “Buona strada, qualunque cosa sia”
5 Settembre 2023
Si continua a indagare sull’incidente ferroviario che nella notte tra il 30 e il 31 agosto, nei pressi della stazione di Brandizzo, ha provocato la morte di cinque operai della ditta appaltatrice di Rfi, Sigifer di Borgo Vercelli. Gli operai sono stati travolti da un treno regionale (per fortuna senza passeggeri) che stava tornando in deposito. I magistrati stanno indagando sulle cause di un incidente che i sindacati hanno subito definito una strage paragonabile a quella della Thyssen. Nell’inchiesta ci sono già degli indagati: Antonio Massa, 46 anni, di Grugliasco (Torino) addetto di Rfi al cantiere in cui lavoravano le vittime; il secondo Andrea Girardin Gibin, 52 anni di Borgo Vercelli, capocantiere della Sigifer e collega delle cinque vittime; ma la procuratrice, Gabriella Viglione, ha detto che bisognerà ricostruire l’intera catena delle responsabilità. Cordoglio ai famigliari delle vittime è arrivato da tutto il mondo politico e sindacale. Il presidente Mattarella ha fatto visita al luogo dove sono morti gli operai, con la deposizione di una corona di fiori. La frase che è circolata di più in questi giorni è “una tragedia incomprensibile che non si deve più ripetere”. Ma si è trattato davvero di tragedia o questo ennesimo episodio della lunga strage di operai (ne sono morti 450 dall’inizio dell’anno) ci dice qualcosa di più? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil del Piemonte.
Airaudo, che idea ti sei fatto della tragedia?
Prima di tutto chiariamo i termini della questione. Io ho una sola preoccupazione: bisogna uscire dalla dimensione della tragedia. Quella di Brandizzo è stata in realtà una strage che doveva essere evitata. Non siamo più nel Novecento, ed è assurdo che nell’epoca delle tecnologie e alla vigilia dell’avvento di massa dell’intelligenza artificiale non si usino ancora tutte le strumentazioni utili a garantire la sicurezza degli operai e di tutti i lavoratori. Si dovevano tutelare gli operai ma anche i macchinisti. Da quello che si è saputo agli operai è stato ordinato di togliere i binari per sostituirli. Pensiamo a cosa sarebbe potuto succedere se il treno fosse passato con i binari smontati: sarebbe deragliato e magari avrebbe potuto finire su abitazioni e cittadini, come è successo altre volte (a Viareggio per esempio). Chiarito questo, dico che l’incidente era evitabile, perché le tecnologie ci sono, ma oggi vengono applicate solo sulle linee più redditizie dell’Alta velocità lasciando scoperta tutta l’altra parte della rete. Sulle reti regionali circolano molti treni che sono evidentemente in ritardo sulle applicazioni delle innovazioni per la sicurezza.
Quindi il discorso non riguarda solo Brandizzo?
Esattamente. Stiamo parlando di un processo produttivo che riguarda tutto il sistema della manutenzione ferroviaria e che ha seguito le politiche di questi anni. Un committente importante come Rfi ha fatto una politica di riduzione dei costi: gli interventi vengono subappaltati e gli appaltatori subappaltano a loro volta. Nel caso della Sigifer, siamo al subappalto del subappalto, ovvero al terzo passaggio. In questo sistema si contingentano i tempi, come sta emergendo chiaramente. I lavoratori che operano sulla rete e sui binari devono fare interventi in poche ore, spesso nel cuore della notte, quando c’è meno traffico di treni. E c’è una pressione dei responsabili sui preposti per fare presto e fare prima. Le imprese pagano infatti penali spesso al minuto di ritardo. Un ritardo nei lavori di alcuni minuti può costare migliaia di euro per appalti che sono costruiti in concorrenza e al ribasso. C’è un sistema che va cambiato. Non ci può essere buona sicurezza se si continua a pensare che i tempi vanno ridotti e il lavoro si deve dare fuori. Il lavoro appaltato è un’altra conseguenza che si unisce alle condizioni generali del mercato del lavoro. I lavoratori delle ditte di subappalto non sono ben retribuiti (hanno salari inferiori a quelli dei manutentori interni alle aziende), sono spesso lavoratori precari che quindi sono disposti a prendersi dei rischi perché hanno bisogno di mantenere il lavoro, hanno bisogno della stabilizzazione per garantirsi la continuità contrattuale.
Tutto questo si applica poi alle ferrovie che sono in ritardo con l’innovazione…
Le reti ferroviarie sono vecchie, le tecnologie spesso non sono adeguate e aggiornate. Un sistema generale che mette a rischio i lavoratori nella loro condizione di condizionamento e ricattabilità. I lavoratori hanno solo i loro corpi: ma se per lavorare hai solo il tuo corpo in un tempo sincopato, allora il rischio che la vita possa scomparire si fa concreto. Ed è impressionante quella scena che abbiamo visto di quel chilometro e mezzo di calce messa sui binari per coprire i resti dei corpi. Per questo credo che non ci si possa fermare alle responsabilità dei due indagati sopravvissuti. Si deve indagare su un sistema che porta i lavoratori a correre di fianco ai binari con i loro macchinari. A quei lavoratori si chiedono prestazioni come quelle dei tecnici di Formula uno. Anche loro devono far tutto rapidamente ma qui siamo di fronte ad una gara truccata. Bisognerebbe quindi rinegoziare l’intero sistema delle manutenzioni. E quando si hanno degli appalti devono essere di qualità e i lavoratori retribuiti con i giusti salari.
Ma per quanto riguarda l’ammodernamento?
Si tratta di ricominciare a occuparsi della parte della rete ferroviaria che è considerata di serie B rispetto all’Alta velocità. La rete dei pendolari, dei cittadini, degli studenti, ma anche quella dei treni merci. Si devono fare degli investimenti e una programmazione, ed è un tema che non riguarda solo le ferrovie, ma anche le autostrade per esempio.
Cosa bisogna fare dunque da subito?
La prima cosa da fare è non far spegnere i riflettori, evitare che la magistratura si fermi solo alle prime individuazioni anche se io ho molto apprezzato che la procura di Ivrea abbia dichiarato che siamo all’inizio, ma che bisognerà poi risalire lungo la catena delle responsabilità. Dal punto di vista sindacale, la maggiore responsabilità che individuiamo è quella di aver dato spazio alla logica del massimo profitto con il costo più basso. E poi sono i lavoratori a pagare il conto. Serve una vera riscossa del mondo del lavoro.
Qualcuno in questi giorni ha parlato di una necessità di introdurre nuove leggi, ma l’Italia non si era dotata di un apparato tra i più avanzati in Europa?
Io sono d’accordo con l’ex procuratore Guariniello. Si deve cambiare il sistema delle indagini perché ora viene affidato alle procure locali (spesso molto piccole) dove avvengono i fatti. E come succede oggi per Ivrea le procure devono dotarsi ogni volta di specialisti e competenze che non hanno, essendo troppo piccole. Magari con magistrati che non si sono mai occupati di incidenti e morti sul lavoro. Ha quindi ragione Guariniello quando dice che abbiamo bisogno di una procura nazionale e non di 120 tribunali che ogni volta si devono attrezzare. La normativa italiana sulla salute e sicurezza è una buona normativa dal punto di vista del diritto, ma per essere applicata al meglio richiede una procura speciale come quella – per capirci – antimafia. Oggi la maggior parte delle cause sul lavoro va in prescrizione. Non si tratta, quindi, di introdurre nuove leggi. Bisogna applicare quelle che ci sono mettendo la giustizia in condizioni di funzionare, di specializzarsi, di avere le competenze che servono. Più in generale, penso che sia necessario riaprire un negoziato sindacale sulle manutenzioni. Per questo abbiamo deciso di scioperare. Noi non dobbiamo seguire l’esempio dell’Inghilterra dove dopo la privatizzazione delle ferrovie della signora Thatcher ci hanno messo quindici anni per ricostruire un sistema di sicurezza decente. Noi non abbiamo avuto quel tipo di privatizzazione, ma abbiamo comunque una privatizzazione strisciante, che sta producendo gli stessi effetti. Per questo serve una reazione all’altezza. Intanto, abbiamo cominciato con lo sciopero dei trasporti e dei lavoratori edili. La giustizia dovrà fare il suo corso; ma nello stesso tempo è chiaro che dobbiamo intervenire su tutto il sistema. Non si può più aspettare: basta pensare a quanti incidenti, come quello di Brandizzo, possono avvenire con un sistema che continua a tollerare quei comportamenti. C’è una responsabilità politica, di politica aziendale.