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3 Dicembre 2023Il ruolo della paura e l’ondata nazionalista
3 Dicembre 2023La storia Dalla bella mostra del pittore cretese a Palazzo Reale di Milano si ricostruisce la sua querelle con l’autore delle «Vite», reo di aver celebrato gli artisti fiorentini più dei veneti con biografie di parte
di Chiara Dino
Quando Domenico Theotokòpoulos leggeva le Vite del Vasari nell’edizione regalatagli da Federico Zuccari, il pittore cretese era già per tutti El Greco. Aveva vissuto in Italia e si radicava in Spagna, il paese che avrebbe beneficiato della sua magnifica arte manierista e dove, facendo del suo centro Toledo, sarebbe stato interprete della vulgata cattolica controriformista. I suoi quadri pulluleranno di santi penitenti, di Madonne dalle lunghe ciglia, di immagini di Dio, di fede e contrizione. E di grande misticismo: perché non bastano i dettami del Concilio di Trento a spiegare la grandezza di un artista che col colore ricreava la potenza di Dio, con le sue luci evocava il puro spirito come nel caso dell’Incarnazione del 1600 (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza) o della tarda Cacciata dei mercanti dal tempio (Madrid, parrocchia di San Ginés de Arlés) che sembra quasi un Giudizio universale.
Scopriamo questo dalla bella mostra al Palazzo Reale di Milano (fino all’11 febbraio) dove si celebra l’artista che, partendo da Candia, interpretò il movimento post bizantino — le sue prime opere fanno pensare a icone ortodosse — e che dai 26 anni lasciò l’isola che gli aveva dato natali e suggestioni ancestrali per partire alla volta di Venezia, Roma, Parma e Spagna.
Ma impariamo anche, grazie ad alcuni contributi contenuti nel catalogo-monografia edito da Skira, — El Greco. Un pittore nel labirinto è il titolo — quale e quanta fu l’influenza del Rinascimento italiano nella sua arte. Se ne parla nel bel saggio di Giulio Zavatta e Alessandra Bigi Iotti dal titolo El greco e l’ambiente farnesiano tra Roma e Parma . È da qui, oltre che dalla sua arte, che si capisce a quale Rinascimento si ispirasse l’artista: quello antivasariano per eccellenza. Nella querelle tardo cinquecentesca che opponeva la scuola fiorentina a quella lombardo-veneta, le postille di El Greco alle Vite del Vasari ci ricordano che quel libro, uscito in due edizioni, come un grande affresco di storia dell’arte su cui tutti gli studiosi si sono formati, era sì un’opera di divulgazione ricca di notizie e indispensabile, ma anche il frutto di una scelta politica che partiva dall’alto e che vedeva il granduca Cosimo I quale committente di un lavoro a tratti di pubblicistica, finalizzato a mostrare la grandezza irraggiungibile dell’arte fiorentina e in definitiva della stagione medicea. Il convincimento che andasse promosso il primato del disegno sul colore — alla base di queste biografie e che portò anche alla costituzione a Firenze dell’Accademia delle Arti e del Disegno — è un punto di vista della storia dell’arte in quel preciso momento storico. Non «Il» punto di vista.
El Greco la pensava in maniera opposta. Lo si vede chiaramente in mostra in quella sala, denominata «Dialoghi con l’Italia» in cui vengono accostate a sue opere lavori di Tiziano e Tintoretto: La sua Ultima cena , in prestito dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna, ha più di un tratto in comune con quella di Tintoretto che arriva dalla Reale Accademia di Belle Arti di Madrid, il San Giovanni Battista di San Francisco di poco si discosta da quello di Tiziano custodito normalmente alla Galleria dell’Accademia di Venezia.
Tutto ciò è esplicitato nei commenti autografi dell’artista alla sua copia de le Vite , oggi custodita alla Biblioteca Nazionale di Spagna a Madrid. Commenti che hanno suscitato una ridda di studi. El Greco prende posizione in maniera tranchant: per lui la migliore pittura italiana è quella veneziana. Vasari ha negato volutamente e capziosamente l’evidenza. Facciamo qualche esempio. Scriveva El Greco a proposito del veneziano Bellini: La pittura di Giovanni Bellini l’ho vista e al confronto con quella dell’autore è lui l’antico, e in verità quella vale più di tutto quanto dipinse Vasari . Definiva Paolo Veronese migliore maestro di tutti i fiorentini . E si legge a proposito di Tintoretto e Tiziano la miglior [peggior] pittura del Tintoretto avrà tanta grazia di pittore come la migliore di Battista Veneziano e di Giorgio Vasari avrà di goffo . Nonostante che il quadro che Tintoretto ha fatto per l’ospedale di San Rocco (di Venezia) è il miglior dipinto che c’è oggi nel mondo, poiché si è perduta la battaglia (di Cadore o della Ghiara d’Adda) di Tiziano, dico la migliore per le molte e varie cose che in essa concorrono, così di nudi come di colori, che non si trova in altra parte se non in alcune delle buone opere di Tiziano . Su Antonio da Correggio afferma deciso, facendo le pulci a Raffaello: si vede chi fu Antonio Correggio poiché morì di otto anni più giovane di Raffaello e nelle sue cose lo supera tanto che Raffaello pare più antico nella gran parte di esse . Ma è al cospetto del Michelangelo pittore però, che la querelle appare più manifesta. El Greco lo considera un grandissimo disegnatore, scultore e architetto ma un pessimo pittore. A parte la vulgata che parla di un tentativo da parte del pittore cretese di candidarsi a «rifare» gli affreschi della Cappella Sistina ci sono le sue inequivocabili parole a spiegare la sua opinione sulle capacità pittoriche di Michelangelo: due postille a tal proposito sono fulminanti. La prima: Una è l’imitazione dei colori, che io ritengo la difficoltà maggiore poiché è ingannare i sapienti con cose apparenti (come opera di natura) … Così si vede nei disegni che hanno un solo soggetto (un oggetto solo), come nella scultura, nella quale Michelangelo ha conseguito ogni perfezione, il che posto con i colori non ha fatto niente, e non solo Michelangelo, che in questo particolare di (disegnare?) i nudi è unico . E la seconda: non a caso Michelangelo non sapeva né fare capelli né cosa che imitasse le carni e lo stesso per quel che danno i colori a olio che non si può negare che era mancante e impedito in simili delicatezze .
La querelle è servita.
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