La legge è massimizzare il profitto nel breve periodo, con la prospettiva di distribuire ricchezza pubblica nelle mani di investitori e privati, dando l’illusione di limare il debito pubblico che però è destinato a crescere nei prossimi anni, stando alle previsioni di primavera della Commissione Europea. La vendita del 2,8 per cento del capitale di Eni, pari a 1,4 miliardi di euro, da parte del ministero dell’Economia ha provocato ieri una risposta univoca, per una volta, da parte dei sindacati Cgil e Cisl già mobilitati contro l’annunciata privatizzazione delle Poste. Domani manifesteranno con la Uil, Cisal e Ugl in diverse città anche a Roma, Napoli e Firenze.

«È UN MODO DI FARE CASSA, una soluzione vecchia, già sperimentata e fallimentare – ha detto il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo – Invece di migliorare l`apparato industriale del paese in passato ha distrutto campioni nazionali pubblici e le grandi aziende private che si erano sviluppate a sostegno del business principale, con l’unico beneficio per gli azionisti che si sono arricchiti grazie agli enormi dividendi. Una resa ai poteri forti della finanza».

«SE COME TEMIAMO tutto si riduce a un’esigenza di bilancio – ha osservato il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra – suggeriamo a Giorgetti dove prendere le risorse: dall’aumento della tassazione sulle grandi rendite immobiliari e finanziarie, da un contributo di solidarietà su extraprofitti delle multinazionali, dagli sprechi della spesa pubblica ad un riordino degli incentivi dati a pioggia alle imprese, dal recupero dei fiumi di denaro sottratti da evasione, elusione e corruzione. Il ministro ci convochi».

LA VENDITA DELLE AZIONI dell’Eni è la concretizzazione di un piano che potrebbe portare nei prossimi mesi a 10 miliardi di cessioni, la metà dei 20 miliardi annunciati dal governo. In totale Meloni & Co. vorrebbero approfittare delle borse che macinano utili in questi mesi per arrivare a incassare una cifra pari allo 0,7% del Pil entro il 2027. Tanto ha stimato l’ultimo Def. Prima era l’1%. L’altro ieri la Commissione Ue ha detto di non avere calcolato gli importi nelle previsioni di primavera. Com’è ormai noto nel Def «mancano i dettagli per poterle considerare». Giusto per dare l’idea dell’improvvisazione, e delle incertezze, che regnano sull’intera partita che si gioca in una drammatica carenza di risorse e in attesa dell’entrata in vigore del nuovo patto di stabilità Ue. Il governo pensa si ottenere dalla vendita delle quote statali di banca Montepaschi di Siena 3,24 miliardi; dal 29% di Poste 4,75 miliardi; 300 milioni dalla vendita di Ita a Lufthansa, se realizzata. Si parla inoltre della vendita di quote in Fs. E ieri Maurizio Gasparri (Forza Italia) ha vagheggiato «la vendita degli immobili pubblici» su un patrimonio fino a «800 miliardi».

«NON È SEMPLICEMENTE fare cassa, è fare ordine» ha detto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti di recente a Davos. In quell’occasione evitò anche di parlare di «privatizzazioni». Per lui sono una «razionalizzazione del patrimonio delle partecipate». La distinzione giorgettiana tra il «fare cassa» e il «fare ordine» è tutta un programma. I mercati sono razionali e efficienti, illuminati da una coscienza superiore, guidati dalla «provvidenza». Una delle leggende più insulse, ma immortali, della stupidità economica che ha scandito il catastrofico bilancio delle privatizzazioni in Italia dal 1992.

NON SI PARLA, di «razionalizzazione» quando una vendita di azioni «avrà un effetto negativo per i conti dello Stato, che a causa dei mancati incassi per i dividendi vedrà ridursi le entrate in maniera maggiore della riduzione della spesa per gli interessi sul debito – ha detto Gesmundo della Cgil – L’operazione potrebbe inoltre indebolire ancora di più il ruolo di Eni nel processo di transizione ambientale.