& George
Il duo più scorretto del mondo dell’arte sta per aprire la propria fondazione a Londra Ma prima si racconta come non ha mai fatto
di Antonello Guerrera
CLONDRA
ome un vaticano laico, Spitalfields è l’enclave religiosa di Gilbert & George. Perché in questo caotico, “multikulti” e inafferrabile quartiere dell’est di Londra, la coppia più celebre dell’arte mondiale ha trascorso oltre mezzo secolo di vita ottuagenaria. Gilbert Prousch, 79 anni, nato a San Martino in Badia da famiglia ladina, e George Passmore, di Plymouth, 81 appena compiuti, qui sono due papi in tweed, eleganti e trasgressivi. Venerati quando vanno a mangiare al caffé turco preferito, omaggiati da abitanti locali ed hipster, ammirati quando offrono tazze di tè ai senzatetto fuori dalla loro “ cattedrale”. Ossia i tre palazzi “ brickhouse” del XVIII secolo comprati a Fournier Street: « In uno abitiamo, l’altro è uno studio e il terzo è studio e casa per il nostro assistente», spiega Gilbert. Eppure, un tempo G& G qui si potevano permettere solo uno scantinato in affitto a 12 sterline a settimana, negli anni in cui l’Inghilterra aveva appena decriminalizzato l’omosessualità e comparivano i primi pub gay su Brick Lane. Oggi, ognuna di queste case a tre piani, vale circa 7 milioni di euro.
« Perché questa è East London, il centro del mondo, anzi della storia del mondo. Perciò non ce ne andremo mai da qui » , ci accoglie gaudente George, vestito di magenta, tra gli intercalari «extraordinary, isn’t it? » e il delizioso, old- fashioned accento “Received Pronunciation”, oramai raro persino sulla sempre meno canonica Bbc. «Viviamo in una strada francese » , racconta Passmore, « costruita su un cimitero romano. Oscar Wilde comprava la droga qui, più avanti c’è Brick Lane con all’epoca i mods, gli skinheads e le Dr Martens, oltre al centro spirituale ebraico dal 1901 e la moschea. E poi per secoli qui si sono rifugiati ebrei, ugonotti, irlandesi. Qui non c’è vecchio e nuovo: Spitalfields è tutto, è il centro dell’universo».
Ma entriamo in casa di G& G, cocktail da sballo dell’arte “ per tutti”. Ci accolgono per una intera mattinata nel loro rifugio antico, mentre fuori precipita la pioggia grigia di Londra. Pezzi di giornale affissi sui muri, una sterminata collezione di vasi antichi, rivestimenti lignei come le vecchie case francesi, arredamenti gotici, del XIX secolo, di Pugin, Godwin, Dresser e Bullock. Poi ci infiliamo nel loro abbagliante studio, ricavato sul retro. Il prossimo primo aprile, in una vecchia birreria di Brick Lane, questo leggendario duo inaugurerà il “ Gilbert & George Centre”, una galleria personale da circa 10 milioni di sterline. È un nuovo trend “ fai- da- te” dell’arte inglese, come già visto con Tracey Emin, Damien Hirst e Anish Kapoor. « Siamo immorali ma vogliamo essere anche immortali! » , proclama il verde vestito Gilbert, nel suo accento tirolese altrettanto duro a morire. Aggiunge George, con i suoi grossi occhi castani dietro gli occhiali spessi alla James Callaghan: « Nel nostro centro potremo vivere per sempre. Mentre oramai nei musei normali è sempre più difficile trovare spazio, sono diventati quasi tutti woke » , politicamente correttissimi. «C’è solo arte nera, di donne, o altre a tema. Pure Francis Bacon rischia l’oblio oggi».
Avvertenza. Gilbert & George sono così “ alternativi” da essere conservatori di ferro, inossidabili monarchici e brexiter tuttora convinti: « Siamo per la libertà, noi! » , sciabola George, « perciò siamo spesso stati outsider nel mondo dell’arte » . Che però, nonostante tutto, G& G hanno rivoluzionato. Sin da quando si incontrarono il 25 settembre 1967 alla scuola d’arte londinese di Saint Martin, dove l’appena arrivato Gilbert aveva un inglese stentato e l’unico a capirlo era George. « Amore a prima vista » , ricordano i due, tanto che Passmore pare abbia mollato una moglie, l’artista Patricia Stevens, apparentemente sposata solo tre mesi prima e con due figli splendenti, Sunny e Ray. Ma George non vuole parlarne. Perché da quel momento la sua vita e la sua carriera è soltanto stato Gilbert, sposato nel 2008.
Da 55 anni, Gilbert & George, adorati da David Bowie, sono gemelli diversi. Non si sono mai separati, sempre nella loro uniforme giacca e cravatta ( « perché è l’abito più popolare e adatto a qualsiasi occasione » ). Mai un cellulare in tasca, nessuno liha mai visti soli: vivono, lavorano e cantano sempre insieme. E sono diventati una specie rarissima dell’arte mondiale performativa e pop, antiestetica, antielitaria, antitabù e anticoncettuale. Un’arte sacrificale, sociale, sessuale, paradossale, in un certo senso religiosa: “ in fiamme” come aveva profetizzato l’esteta vittoriano Walter Pater. I primi successi proprio alla fine degli anni Sessanta con le Singing Sculptures, quando G& G si ricoprivano di colori metallici come statue cantandoUnderneath the Arches a Trafalgar Square e ai concerti dei Rolling Stones. Poi il Turner Prize nel 1986, le indimenticabili mostre radicali, nude, oltraggiose, di parolacce e liquami volgari come “ George the Cunt and Gilbert the Shit”, “ No way. Kiss me. Fuck them all”, le “ Naked Shit Pictures”, le patriottiche “ Jack Freak Pictures” alla Tate Modern, la White Cube e la Serpentine Gallery, i diari online durante il Covid.
«Mica come Turner, i cui disegni pornografici segreti vennero bruciati da Ruskin! » , scherza Gilbert. Ora, sono arrivate le nuove attesissime 17 opere di G& G, le scarlatte e sepolcrali “ Corpsing Picture”, in anteprima alla Patricia Low Contemporary di Gstaad, in Svizzera, e poi accolte nel loro nuovo centro. Tra ossa, scarpe dorate e cappi di pathos. «Perché a volte siamo tutti ossa», dice George.