Una riflessione seria e onesta da parte di tutti i partiti sull’opportunità di reintrodurre il finanziamento pubblico, visto che in Europa gli unici Paesi che non lo prevedono sono Svizzera, Malta (dove il tema è in agenda) e Bielorussia. Una legge sulle lobby, che manca tra i grandi della Ue solo in Italia e in Spagna. E infine una valutazione sull’opportunità di mantenere le preferenze in grandi territori come sono le circoscrizioni per le europee o le grandi regioni per le regionali: le cifre che si spendono per la caccia ai voti (si veda l’articolo in pagina) portano con sé il rischio di pratiche al limite del lecito oltre che la crescita politica dei cosiddetti “signori delle preferenze”.
Finanziamento, lobby e preferenze: sono i tre punti per una possibile ricetta anticorruzione offerti alla riflessione pubblica dal professore Salvatore Curreri, docente di diritto costituzionale presso l’università Kore di Enna e uno dei massimi esperti di diritto dei partiti, di fronte allo tsunami che hanno suscitato le ultime inchieste giudiziarie in Puglia e in Liguria. «È ora che tutti i partiti tornino a ragionare sul finanziamento pubblico, anche se impopolare – sottolinea Curreri -: le risorse che ha oggi la politica sono del tutto insufficienti, se non altro perché sono pochi i cittadini che scelgono di finanziare i partiti tramite il meccanismo del 2 per mille introdotto da Enrico Letta ormai dieci anni fa. Oppure, ma ci vuole coraggio politico, bisogna fare come l’8 per mille per le confessioni religiose: utilizzare pure l’inoptato». E il tema del finanziamento pubblico è strettamente legato all’assenza nel nostro Paese di una normativa per regolare l’attività di lobbing. «Il collega Pier Luigi Petrillo (docente alla Luiss di diritto comparato e di teorie e tecniche delle lobbies, ndr) ha centrato il punto: quando un politico accetta soldi da parte di qualche imprenditore e poi lo favorisce sta esercitando la sua discrezionalità politica oppure sta commettendo un reato?», è il provocatorio interrogativo di Curreri. «Perché è chiaro che i privati che decidono di sostenere la politica lo fanno per vedere tutelati i propri interessi. Ad esempio in Gran Bretagna è espressamente vietato che i politici possano prendere decisioni su materie che siano state oggetto di finanziamento da parte di privati. È una possibile soluzione. Quel che è certo è che in assenza di normativa è più difficile stabilire il confine tra legale e illegale: quando il governatore ligure Giovanni Toti dice “io facevo politica, non favori, e i pagamenti sono tutti tracciati” pone un problema vero».
Ma che cosa possono fare i partiti, dal canto loro, per contrastare il fenomeno? Codici etici più stringenti possono fare la differenza? «L’esistenza di un codice di condotta interno è in certo modo previsto dal decreto Letta tra i requisiti per accedere al finanziamento indiretto quando richiede che lo Statuto del partito deve indicare “regole che assicurano la trasparenza, con particolare riferimento alla gestione economico finanziaria, nonché il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali (art.3.2 lett. o-bis d.l. 149/2013) – spiega Curreri -. Ma il problema è che gli organi interni chiamati a controllare il rispetto di tali regole non riescono ad essere imparziali ed incisivi per cui o non riescono ad opporre un valido limite alle esigenze “esuberanti” della politica, oppure diventano mezzo con cui la maggioranza punisce i dissidenti, di fatto mettendoli alla porta. Gli organi di garanzia interni un tempo funzionavano perché riflettevano in certa misura la composizione plurale del partito e godevano anche del prestigio e dell’autorevolezza dei loro componenti, spesso accademici di vaglia, persone di un certo prestigio che non si prestavano ad essere succubi del politico di turno; oggi, con la torsione personalistica dei partiti o, nel caso del Pd, con la crescita del potere dei cosiddetti potentati locali, questi organismi stentano ad essere realmente indipendenti». Insomma le regole interne ci sono, ma mancano il coraggio e la forza di farle rispettare.