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27 Dicembre 2022di Enrico Nistri
Si mangia o non si mangia? È un valore o un bancomat? O, coniugando conservazione e promozione, è possibile che divenga l’uno e l’altro? Quando un governo di centrodestra muove i primi passi, il dibattito, con relative polemiche, sul ruolo dei beni culturali finisce spesso per ruotare intorno all’infelice espressione attribuita a Giulio Tremonti nel 2008: «Con la cultura non si mangia». Frase di cui l’allora ministro del governo Berlusconi ha disconosciuto la paternità, ma che gli è rimasta appiccicata addosso, un po’ come il «non hanno pane, mangeranno brioches» lo rimase a Maria Antonietta, che non l’aveva mai pronunciata, tanto pareva verosimile. Oggi il ministro dei Beni culturali Gennaro Sangiuliano sostiene l’opposto. È convinto che il nostro splendido patrimonio artistico, architettonico, archeologico possa costituire non un peso, ma «un grande volano economico per tutta la nazione». Ha ribadito il concetto ieri mattina in veste da turista non per caso al Colosseo. Anticipazione di questo approccio era stata del resto la «reprimenda» al direttore degli Uffizi per la mancata apertura del museo per il ponte di Ognissanti, che può aver influito sulla scelta del sindaco Nardella di tenere aperto Palazzo Vecchio anche di Natale. Chi scrive ha sempre rimpianto il tempo in cui l’accesso ai grandi musei, dagli Uffizi al Louvre, era gratuito come oggi quello alla National Gallery, e gli artisti poveri per vivere facevano le copie dei capolavori del Rinascimento per ricchi turisti d’oltre Oceano.
Ma i tempi sono cambiati e la conservazione del patrimonio artistico comporta costi sempre maggiori. In più l’apertura dei musei presenta vantaggi non solo in termini di «botteghino». I tempi in cui il turista medio dedicava alla visita di Firenze almeno una settimana, come raccomandato dalla guida rossa del Touring, sono passati e per chi si limita a una permanenza di pochi giorni sapere di trovare i musei aperti è di primaria importanza quasi come comprare un panino all’Antico Vinaio. Un discorso a parte meritano però i fiorentini. Se molti di loro traggono benefici non indifferenti dall’«industria del forestiero», contro cui inveivano le avanguardie d’inizio Novecento care anche al ministro Sangiuliano, fine biografo di Giuseppe Prezzolini, c’è una parte della cittadinanza che i grandi flussi turistici fanno sentire sempre più «esule in patria», allontanata da un centro storico disertato dagli autobus ma invaso dai tavolini e dalle comitive, scoraggiato viste le lunghe code dal visitare le pinacoteche, i palazzi, persino chiese sempre meno luogo di culto e sempre più percorso museale. È onesto riconoscere che alcuni miglioramenti sono stati apportati, come la ritrovata possibilità per i fiorentini di accedere gratis a Boboli, sia pure per lo scomodo ingresso di via Romana, e di lì proseguire per il Forte Belvedere e Villa Bardini, Ma ancora molto potrebbe essere fatto, a livello nazionale e locale, per restituire la città a chi la abita, magari con più giorni di ingresso gratuito ai musei per i residenti. Altrimenti la cultura «commestibile» potrebbe rimanere indigesta proprio a noi fiorentini come le brioches a Maria Antonietta.