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5 Agosto 2023Overtourism
di Mario Lancisi
Come la famosa rana di Esopo anche Firenze rischia di scoppiare di troppo turismo? Prima di addentrarci nell’overtourism e nelle sue ripercussioni sul sistema socio-economico della città, un passo indietro. Ottobre 2020, nel cuore della pandemia. Anche a Firenze baristi, chef, camerieri e ristoratori protestano, seduti sul lastricato di piazza Duomo. Sì, seduti: «Perché siamo con il sedere per terra». E accanto a loro si siede il presidente della Regione Eugenio Giani. Firenze è sull’orlo di una crisi di nervi: taxi fermi, ristoranti vuoti, bar senza clienti. La città del turismo colpita al cuore. Per molti, a cominciare dagli amministratori, è però l’occasione per affermare l’esigenza di un ripensamento radicale del modello sociale e economico della città troppo subalterno alla rendita e al turismo. La pandemia è passata, ma la città è peggiorata. Firenze è oggi, più di prima della pandemia, stretta nella morsa dell’overtourism, cioè del sovraffollamento turistico. Trionfano la rendita e il caro prezzi. A cominciare dagli affitti. Per cui, come ha raccontato Giulio Gori sul Corriere Fiorentino di ieri il lavoro nelle grandi aziende c’è, mancano però i lavoratori perché Firenze è diventata impossibile da viverci anche per chi può vantare stipendi medi. Siamo così difronte ad un paradosso che dovrebbe far riflettere seriamente chi amministra questa città. Da tempo non è più solo una questione di decoro e di sicurezza.
Il modello socio-economico dell’overtourism crea lavoro spesso precario e sottopagato nel turismo, mentre la manodopera di qualità richiesta dalle grandi imprese non ce la fa a sostenere i costi troppo alti della città. Come ha denunciato la Cgil, anche chi vince un concorso pubblico da 1.700 euro al mese, se può, evita di venire a lavorare Firenze. Che, ovviamente, è stata sempre meta di turisti, ma anche di studenti, tecnici, intellettuali. Era città di turismo, ma anche luogo di incontro di persone le più diverse e più creative. Oggi rischia di essere solo Disneyland. Basta fare qualche giro in centro per rendersene conto. Ieri nel viavai dei turisti si poteva vedere lo studente con i libri sottobraccio, il ricercatore con la sua borsa, l’artista, lo studioso, il manager. Era anche la città dello studio e del lavoro di qualità. Oggi invece si vede una giostra di turisti, file lunghissime per un selfie in Duomo o un panino in via dei Neri. E l’impressione è che la città e chi la governa si siano come arresi, rassegnati, abbiano alzato bandiera bianca e siano come in cul de sac , in un vicolo cieco. «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», scriveva Montale. Ecco, proprio questo forse ci manca: una visione di futuro e una classe dirigente all’altezza delle nuove sfide. In grado di costruire un nuovo modello di sviluppo sociale ed economico. Se si riflette sulla storia di Firenze dell’ultimo secolo balzano agli occhi i periodi di crisi, ma anche i passaggi di epoca, i creatori di futuro. Oggi purtroppo corriamo il rischio di essere solo la città del food, dei panini e delle giostre.
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