Ennio l’alieno
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29 Settembre 2023L’ex assessore Biagi: responsabili del centro svuotato? Il nostro piano fu interrotto
A essere considerato come uno degli «svuotatori» del centro di Firenze non ci sta, ma crede che gli immobili di pregio liberati dallo spostamento di alcune funzioni verso l’area nord della città, come giustizia e università, avrebbero dovuto essere utilizzati diversamente. Questo era il piano di cui è stato tra gli ideatori, poi bruscamente interrotto. Gianni Biagi, architetto, urbanista e assessore all’Urbanistica dal 1999 al 2008, è convinto che nonostante tutto «Firenze non sia ancora perduta». «Ma occorre cambiare dopo l’ubriacatura liberista iniziata con Renzi e che ora, mi pare, Nardella comincia a mettere in discussione». Forse un po’ tardi.
D’accordo, ma qualche responsabilità lei e chi governava la città l’avrete avuta.
«Non c’è dubbio. Ma vorrei ricordare che, solo per fare un esempio, nel vecchio Palagiustizia era previsto il trasferimento degli uffici comunali per lasciare Palazzo Vecchio come sede del sindaco e del Consiglio e trasformarlo nel museo della città, offrendo una lettura che comincia dal teatro romano sotto le fondamenta. E nei dismessi edifici attigui a piazza San Firenze, in via dell’Anguillara, e poi in via della Vigna Vecchia e nella vecchia pretura in piazza San Martino, il progetto era di farli tornare ciò che erano prima: case popolari, in modo che ciò che è stato fatto alle Murate non restasse un episodio isolato. Sono convinto che si potrebbe ancora fare. Come in buona parte delle caserme dismesse».
Questo è un racconto diverso della città, che rischia di non fare i conti con il fenomeno del turismo di massa.
«Firenze è in primo luogo una città di produzione e servizi prima che turistico-ricettiva, se la vedi come Grande Firenze e non solo nel fazzoletto del centro. Le aziende sono tornate a Firenze dopo la febbre da delocalizzazione, soprattutto nel settore della moda ed in particolare nella pelletteria. Prima si mandava il campionario in Cina e si faceva produrre. Ora si è capito che capacità, competenze e creatività per adeguarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato sono solo qui. E poi è a Firenze che c’è il più grande polo ospedaliero dell’Italia centrale, è una città di formazione e, per tradizione, di dialogo, di accoglienza e di pace. Devi vedere tutto nel suo insieme: nel 1300 la ricchezza di Firenze fu in gran parte dovuta alla lana, ma le gualchiere per trattarla erano al Girone, a Pontassieve…».
Non è una visione sbilanciata verso le periferie?
«No, tutt’altro. È un problema di come si distribuisce la ricchezza. Si parla molto di rendita, soprattutto immobiliare legata al turismo. La rendita di per sé è positiva. Dipende a chi e a quanti va. E la garanzia che vi sia una distribuzione larga è nella mano pubblica. Tanto più in una situazione critica il pubblico non può limitarsi a regolamentare, deve intervenire direttamente. Qualche esempio di occasioni perdute? La norma che prevedeva che nelle ristrutturazioni sopra i duemila metri quadri il 20% dovesse essere affittato a canone concordato non è stata quasi mai applicata. E i provvedimenti del Comune su Airbnb non possono funzionare se si parte dal concetto di consolidare ciò che non hai governato e non puoi decidere in quali aree consentire che ci siano. Ma soprattutto serve una norma nazionale secondo la quale si può affittare ad uso turistico per due, tre mesi all’anno, altrimenti è un’attività ricettiva vera e propria».
Ma il turismo è un fenomeno globale e planetario.
«Le ipotesi di numero chiuso o simili mi sembrano inapplicabili. Così come non puoi vietare di venire a vedere il David. Gli strumenti sono pochi ma solo l’intervento pubblico può fermare fenomeni distorsivi che fanno sentire i loro effetti anche sul piano del lavoro. Ha ragione Vieri Calogero, intervistato da questo giornale (Corriere Fiorentino di mercoledì 27 settembre, ndr): l’idea che tutto sia solo legato al turismo spinge verso il basso. E poi c’è la questione della conoscenza: gli Its, gli istituti tecnici superiori che stanno avendo successo, hanno bisogno di una casa. Riuniamoli e facciamone un luogo di trasmissione dei saperi insieme alle imprese».
Alla Manifattura Tabacchi in questi giorni si discute anche di questi temi. Cosa le suggerisce quel luogo?
«Che potevano farci case popolari. E che quel complesso potrebbe ospitare l’Istituto storico della Resistenza, visto che ancora su quei muri si scorgono i segni di una delle più furiose battaglie per la Liberazione di Firenze».
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