di Fabio Martini
Nell’ariosa e stracolma chiesa di San Giovanni in Monte – San ?vân in Månt come la chiamano i bolognesi – da mezzora l’ultimo addio a Flavia Franzoni Prodi si sta svolgendo in un’atmosfera sospesa, tipica dei preliminari liturgici: tutti sono in attesa delle parole “giuste”, quelle capaci di restituire un senso alla commozione per la scomparsa di una donna anticonformista: poco appariscente e molto influente, cattolica di sostanza e non di forma. Una anti-first lady. E l’incantesimo si crea con la splendida omelia del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, che sceglie le parole con cura, nel raccontare l’amore e la religiosità di Flavia e ad un certo punto aggiunge: «Riservata, in un mondo sguaiato, pieno di vanagloria, davvero vana, di penosa esibizione perché riduce l’amore ad apparenze. Flavia preferiva la sobria e solida vicinanza».
Impossibile attribuire al cardinale raffronti con altri recenti funerali: i confronti non li fa Zuppi e men che mai li fanno i Prodi che hanno altro a cui pensare. Ma il loro saluto è fatto di interiorità, come conferma pochi minuti dopo Romano Prodi: si avvicina all’altare e con la voce arrochita dalla commozione conclude il suo breve ricordo con parole poetiche: «Pochi giorni fa ci eravamo chiesti con Flavia: chissà se dal Paradiso si vede bene Piazza Santo Stefano?», che è la piazzetta sotto casa, dove i due Prodi hanno camminato sottobraccio per tanti anni. A questo punto in chiesa si rompono gli argini emotivi: molti piangono e mentre il Professore torna tra i suoi nipoti, si alza un applauso lungo, a sua volta commovente. Qualche minuto dopo il Cardinale Zuppi chiude la cerimonia, rilanciando il pensiero di poco prima: «Secondo me dal Paradiso si vede bene Santo Stefano e da oggi, dalla piazza, anche il cielo si vedrà meglio. Con una stella in più».
Anche i più cinici cedono, l’emozione dilaga nel ricordo di quella donna così schiva che ogni bolognese incontrava spesso, talora con le sporte di plastica della spesa. In tanti inseguono i propri pensieri e anche se nessuno l’ha esplicitamente “chiamata” è come se, a fine cerimonia, si fosse materializzata quella che tante volte è stata chiamata, spesso retoricamente ma con efficacia, l’«altra Italia». Diversa, almeno un po’, dall’Italia «sguaiata», evocata dal cardinal Zuppi.
Certo, un’Italia fatta di tanti frammenti. A Bologna, per l’ultimo saluto a Flavia è arrivata la prima “squadra” di Prodi, la squadra dell’Ulivo, quella del 1996: Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Enrico Letta, Rosy Bindi, Giovanna Melandri, Barbara Pollastrini, ovviamente Arturo Parisi e Giulio Santagata ma anche i leader dei partiti di allora, Piero Fassino e Pierluigi Castagnetti. Personalità diverse tra loro, ma che a metà degli anni Novanta condivisero la speranza che fosse possibile, appunto, un’altra Italia.
E di quell’altra Italia è tornata a far parte anche la Chiesa italiana: dopo aver assecondato per anni un personaggio distante dai propri valori come Silvio Berlusconi, in pochi giorni è come se avesse “riallineato” le gerarchie: mentre nel Duomo di Milano per i funerali di Berlusconi, è stata ascoltata l’ambivalente omelia dell’arcivescovo (ma non cardinale) Mario Delpini, per i Prodi non soltanto la presenza fisica di Matteo Zuppi, ma anche la delicatissima lettera autografa di Papa Francesco. Nella quale il pontefice chiama Prodi «caro fratello» e aggiunge: «Sono convinto che dopo più di 50 anni di matrimonio saprai raccogliere l’eredità di fede e di fortezza di Flavia continuando a testimoniare, nel suo vivo ricordo, la bellezza del vincolo di amore che vi ha tenuti uniti, mano nella mano fino all’ultima passeggiata insieme».
È stata una cerimonia semplice, nello stile della famiglia Prodi-Franzoni, che si era occupata degli aspetti organizzativi: la scelta delle preghiere, dei brani da leggere, dei canti e delle fotografie. Tra i banchi della chiesa quasi inevitabile la caccia a presenti e assenti. Sergio Mattarella ha parlato con Prodi per telefono a lungo e in modo affettuoso dopo i funerali, la presidente del Consiglio ha mandato una corona di fiori, nessuno ha visto esponenti di rilievo del Terzo polo, c’erano la segretaria del Pd Elly Schlein, Mario Monti e Mario Draghi. Nel suo breve ricordo in chiesa il Professore aveva detto: «Dopo due anni e più di corteggiamento, mai mi sono pentito di avere tanto insistito…», «la nostra unione è stata cielo e terra, non solo uno scambio intellettuale, ma tanta felicità, la casa sempre piena di amici». Bella la frase sul pensiero politico della moglie, riassunto da termini in disuso anche a sinistra: «Flavia sognava un’Italia limpida e discreta».