Violenza e armonia: gli scacchi, il gioco in cui si rispecchia l’universo
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28 Aprile 2024Flora da che parte stare lo sa subito. Ha dodici anni quando accetta di essere una staffetta partigiana, tra i nastri delle sue trecce di ragazzina nasconde i messaggi dei partigiani sull’Appennino tosco-emiliano. A volte aveva paura, si fermava un po’, respirava e poi si diceva che doveva farlo. «L’ho deciso io» ricorda, e lo dice senza enfasi, come se fosse la cosa più ovvia da fare. Saranno state le storie del nonno, antifascista convinto, che per questo era stato picchiato, aggredito, e una volta pure buttato in un fosso dove era rimasto la notte intera. Così quando nell’aia era arrivata la Brigata partigiana 66 lei non aveva avuto alcuna esitazione. Era pronta a scivolare nei boschi, saltando come una cavalletta, lo zaino pesante sulle spalle di cui non sapeva il contenuto, i biglietti che non aveva mai letto perché «se mi torturavano non avrei potuto dire nulla».
E QUANDO le chiedevano qualcosa, i tedeschi o i fascisti, diceva che lì fuori, in paese, c’era andata a comprare il sigaro per il nonno, ne teneva sempre uno in tasca così da mostrarlo. Poi c’era stata quella volta che l’avevano spogliata, era rimasta in mutande e canottiera, ma il bigliettino che stava in una scarpa le si era attaccato al piede e mentre lei pensava a Edera, la prima donna partigiana fucilata dai fascisti (Edera Francesca De Giovanni, uccisa a Bologna nel 1944, ndr) che l’avrebbe raggiunta, si è salvata. A raccontarlo le viene ancora la paura. Ma lo sapeva che c’era il rischio di essere ammazzata, prima ancora di dire di sì.
FLORA MONTI, classe 1931 oggi ha la stessa energia di un tempo, di chi non si è mai arresa, e ora come allora mantiene le sue ragioni per resistere. «La gente non si interessa più, ma è un brutto momento. Che dovrebbero muoversi, il popolo, i giovani, che se non si muovono tornano!». Chissà se pensa ai «fantasmi del fascismo» di cui ha parlato Scurati dopo la censura Rai del suo monologo – o a quelli reali. Lei, che appunto, il fascismo lo ha vissuto e di quella storia d’Italia è memoria preziosa, lucida, che si vorrebbe stare a ascoltarla all’infinito. A darle voce è il film di Martina De Polo che porta il suo nome, Flora. La regista lo ha realizzato anche grazie a un crowfunding per alcuni elementi di post-produzione, a partire dal desiderio di mantenere viva «la memoria antifascista» nelle voci dei suoi protagonisti anche per chi non potrà più ascoltarli. «Per invogliare le generazioni più giovani abbiamo inserito degli elementi contemporanei, utilizzando il videomapping e la performance» scrive nelle note di regia. Flora bambina è l’attrice Deina Palmas, «interpreta» le sue parole, almeno nei passaggi più duri, attraversando quella narrazione che la sua presenza di ragazzina di adesso rende contemporanea. E questa trasmissione di esperienza – il film andrebbe proiettato in ogni scuola – in questi tempi di revisionismo è fondamentale.
Flora ci parla di una violenza fascista costante, della persecuzione sistematica contro chi alzava appena un soffio critico e ben prima delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler. Di come loro, famiglia contadina e antifascista sono dovuti scappare, perché fascisti e nazisti davano la caccia a chiunque fosse parte della Resistenza, della loro casa bombardata, della vita da sfollati a Cinecittà.
I FRATELLI di Flora sono uno prigioniero degli inglesi a Palermo, l’altro dei tedeschi, preso a lavorare alla costruzione della Linea gotica che deve difendere la loro parte d’Italia. Nel cortile d’aia ogni giorno arrivano i ragazzi che scappano, che lasciano l’esercito, che non vogliono combattere. E nel più grande campo profughi che erano diventati gli stabilimenti cinematografici voluti da Mussolini si soffre la fame, il freddo, si muore di epidemie, non ci sono neppure i letti per dormire. Ma soprattutto Flora ci dice dell’importanza di essere antifascisti, del significato di questa parola, di ciò che racchiude, delle sue battaglie e di una memoria che deve continuare a essere declinata al presente. Lei che delle staffette partigiane è stata la più giovane, ci dice anche di come la lotta partigiana è stata un primo momento di liberazione delle donne che erano guerriere, combattenti, non più solo «angeli del focolare» e per questo i fascisti le odiavano più di tutto, e si accanivano con stupri, mutilazioni. La storia di Flora è anche la nostra, con le battaglie che si porta dentro, con le sue scelte che sono una bussola. Il 25 aprile e ogni giorno.