Isolamento il male oscuro
5 Maggio 2023Helpless
5 Maggio 2023
L’interpretazione della Bibbia è sempre stata un dovere e una necessità nella storia della chiesa, già da quando la Seconda Lettera di Pietro lamentava che «gli ignoranti e gli incerti travisano le Scritture» (3,16). Tra gli impegnati in questo discernimento ermeneutico si potrebbero ricordare almeno i nomi di Agostino, Tommaso, Lutero. Ebbene una tipica discussione in merito ha caratterizzato anche gli inizi dello scorso secolo XX, di cui sono stati protagonisti due grandi nomi della ricerca esegetico-teologica dell’area germanica: Karl Barth (1885-1968), teologo riformato svizzero, e Adolf von Harnack (18511930), storico ed esegeta luterano.
Proprio a loro Fulvio Ferrario, Ordinario di Dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia in Roma, ha dedicato un’interessante pubblicazione che ne propone un confronto. In effetti i due esponenti si distinguono per un diverso approccio al testo biblico: critica storica in Harnack, tale da bypassare l’approccio soggettivo per riscoprire la dimensione oggettiva del testo, ed esegesi teologica in Barth, che invece considera il testo direttamente funzionale alla fede e alla predicazione. Il dato notevole e intrigante è che Ferrario riporta alcune pagine proprie dei due Autori così da poterne direttamente giudicare le rispettive posizioni.
Cominciando con Barth, la cui opera maggiore è un commento alla Lettera di Paolo ai romani, Ferrario propone il testo della prefazione alle sei edizioni del Commento (dal 1918 al 1928), di cui la più importante è la seconda (del 1921). Di volta in volta si vede che Barth polemizza con i suoi critici sostenendo, con un richiamo a Kierkegaard, una distanza dialettica tra Dio e l’uomo conforme al paolinismo, che, come scrive testualmente, «si è sempre trovato al confine con l’eresia e ci si può solo stupire di quanto assolutamente innocui e non scandalosi siano la maggior parte dei commenti alla Epistola ai romani». Nella prefazione alla quinta edizione Barth si dice addirittura consapevole che col suo commento «una sia pur modesta crepa è stata aperta nel muro della distretta interiore ed esteriore del protestantesimo moderno». In un secondo momento Ferrario propone un carteggio fra i due personaggi, che si apre con una quindicina di domande fatte da Harnack ai teologi che «disprezzano la teologia scientifica». Lo scopo è di sapere «come può esistere una tale predicazione in mancanza di sapere storico e di riflessione critica», compreso lo studio critico-storico della persona di Gesù Cristo. La risposta di Barth ribadisce l’assunto, secondo cui il compito della teologia va compreso non dal rapporto con la scienza ma con la predicazione, al punto di definire come «sofistica … il consueto tentativo di evitare la croce con l’aiuto di una speciale concezione della creazione». Il senso è che «il sapere storico non può in alcun modo fondare né confermare la fede» (così Ferrario stesso). Una contro-risposta di Harnack constata che il contrasto tra i due è diventato ancora più evidente, e dichiara seccamente che «trasformare la cattedra di teologia in un pulpito … non conduce all’edificazione, ma alla dissoluzione», con l’accusa a Barth di trasformare la fiducia cristiana in una illusione e la gioia che ne deriva in una frivolezza, concludendo polemicamente: « Nel caso in cui la sua prospettiva dovesse prevalere, l’Evangelo non verrebbe più insegnato affatto». Una lunga replica di Barth ad Harnack rile
badisce che (nonostante «la frase sembra così ripugnante a lei e ad altri ») il compito della teologia è tutt’uno con quello della predicazione. Addirittura Barth afferma che le arti di una teologia “positiva”, volta a far passare ciò che è incomprensibile come ovvio e illuminante «sono peggiori della più malvagia negazione della fede». Infine, una lettera di Harnack a Barth riconferma che «la teologia scientifica e l’opera di testimonianza non possono rimanere sane, se l’esigenza di mantener- distinte viene disattesa».
Da parte sua, Ferrario, sebbene dichiari che il confronto fra i due non conduca ad alcun consenso, ritiene che lo scontro tra i due giganti risulti straordinariamente fecondo ancora oggi: « È utile ribadire che … queste pagine sono molto più di un documento di un’affascinante svolta nella storia della cultura, non solo teologica, della Germania. Un secolo dopo, la chiesa evangelica in Europa si percepisce ancora una volta in difficoltà e si interroga sulle carat-teristiche del proprio annuncio e della disciplina teologica … Il contributo di Harnack e Barth, così come quello di Bultmann, è, semplicemente, irrinunciabile».
Nell’insieme, dunque, si tratta di una pubblicazione meritoria, e non solo perché è dedicata a Giuseppe Lorizio, professore ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia università Lateranense alla vigilia del suo emeritato, un omaggio ancor più significativo in quanto proveniente da un collega di altra confessione cristiana. Certo resta sempre un tema oggetto di discussione il rapporto tra lo studio accademico della teologia e l’annuncio evangelico (e in entrambi i fronti il teologo Lorizio è decisamente impegnato); i due dati, infatti, non possono escludersi ma vanno reciprocamente integrati, non solo perché «l’Evangelo è soltanto credibile» (come afferma Barth con una inconfutabile iperbole a commento di Rom 1,16), ma anche per evitare il bonario rimprovero fatto a suo tempo dal celebre umanista Erasmo da Rotterdam nell’Elogio della pazzia a chi ritiene che non sia conforme alla maestà delle sacre lettere essere costretti a ubbidire alle leggi dei grammatici.