Il brusco risveglio sembra essere arrivato. Da tempo abbiamo segnalato le inquietudini che attraversano la società tedesca (vedi qui), stressata da una serie di avvenimenti inattesi che ne hanno minato il benessere e messo in crisi alcuni principi fondativi. Le tensioni dovute alla guerra e alle conseguenze della pandemia erano già tangibili, e gli scioperi dello scorso anno ne erano stati una prima avvisaglia (vedi qui). Ora è la protesta degli agricoltori a mettere in discussione il governo della coalizione “semaforo”, preso di mira per l’abolizione dei sussidi di Stato al gasolio a fini agricoli e la cancellazione dell’esenzione dell’imposta sui veicoli a motore usati nelle campagne.
A partire da lunedì 8 gennaio, la rabbia degli agricoltori ha bloccato quasi completamente la circolazione autostradale in numerosi Länder: centomila trattori sono scesi in strada isolando intere città, e la protesta sta assumendo aspetti che vanno ben oltre le mere rivendicazioni del settore. Colpisce la presenza di agricoltori che giungono da altri Paesi europei per dare man forte ai tedeschi. Una protesta che sta assumendo, dunque, valenze simboliche che vanno al di là della sola Germania. Va anche detto che le misure prese, e il piano di tagli annunciato dal governo, sono certo la ragione ultima delle proteste; ma gli agricoltori sono in uno stato di agitazione da più tempo. Criticano il fatto che le entrate di molte aziende agricole coprono i costi solo nelle annate buone, e che le normative ambientali e altri requisiti richiesti per i loro prodotti vengono costantemente inaspriti. Sono in molti a temere per il loro stesso sostentamento.
Il presidente degli agricoltori tedeschi, Joachim Rukwied, ha chiesto al governo di annullare completamente i tagli ai sussidi agricoli. Il compromesso proposto da parte governativa in risposta (l’esenzione dall’imposta sui veicoli a motore rimane, il sussidio per il gasolio agricolo viene ridotto, ma gradualmente) non è a suo avviso sufficiente. “Lunedì 15 gennaio organizzeremo una grande manifestazione a Berlino, dopo di che ci riserviamo il diritto di prendere ulteriori provvedimenti”, ha dichiarato il capo dell’associazione alla rete televisiva Zdf.
Lo slogan inquietante che risuona ovunque è Ampel am Galgen, come dire “semafori al patibolo”, in cui è facile cogliere la doppia valenza: da una parte un invito a bloccare definitivamente il traffico, dall’altra il riferimento oltraggioso alla coalizione di governo. Sul fuoco sta soffiando anche l’estrema destra di AfD (Alternative für Deutschland), che non perde occasione per cercare di incrementare il suo seguito elettorale in vista delle elezioni europee e della tornata di elezioni amministrative del prossimo autunno. Negli ultimi giorni, diversi suoi rappresentanti si sono espressi a favore della partecipazione alle proteste, e la AfD vagheggia addirittura di trasformare la rivolta dei trattori in uno “sciopero generale”. Nei sondaggi delle intenzioni di voto AfD continua a guadagnare terreno: se si votasse domani, sarebbe il secondo partito tedesco dopo i conservatori della Cdu-Csu. Curioso notare come, proprio in questi giorni burrascosi, si sia formalmente costituito il nuovo partito populista di sinistra voluto da Sarah Wagenknecht (vedi qui), nato da una costola della Linke, che vorrebbe fare concorrenza a AfD sul suo stesso terreno.
Nel mirino degli agricoltori in rivolta, oltre al cancelliere Scholz, c’è il ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck, che sarebbe responsabile in prima persona del previsto innalzamento progressivo delle tariffe del gasolio. Habeck è stato personalmente minacciato e fatto oggetto di azioni di intolleranza. In realtà, l’intempestivo provvedimento è stato preso in una riunione ristretta tra il cancelliere Olaf Scholz, lo stesso Habeck e il ministro delle Finanze, Christian Lindner, liberale.
La preoccupazione all’interno della coalizione “semaforo”, per la situazione creatasi e per il clima in cui si sta svolgendo la “protesta dei trattori”, è grande: in un discorso pubblicato su Instagram Habeck ha messo in guardia dal pericolo che possa essere usata dagli estremisti per i propri scopi, e ha affermato che la difficile situazione economica degli agricoltori legittima la protesta – ma non gli appelli alla violenza e le “fantasie di rovesciamento” che si sono diffuse all’ombra dei disordini –, segnalando come dietro le proteste ci sia molto di più delle recenti decisioni del governo. Lucidamente, Habeck ha compreso che si tratta del diffondersi di un sentimento generale di insicurezza, un segnale da non sottovalutare. “La speranza di un futuro migliore ha lasciato il posto alla paura di un futuro peggiore. (…) Non dobbiamo permettere agli estremisti di strumentalizzare questa incertezza”, ha detto il ministro, aggiungendo che negli ultimi giorni sui social media si sono moltiplicati gli appelli alla rivolta violenta, da cui hanno preso le distanze le organizzazioni contadine, che intendono protestare pacificamente. Certo, i trattori in marcia con appese le forche non danno una bella impressione. Tra l’altro, i sondaggi mostrano che, nonostante i disagi creati negli scorsi giorni dai blocchi stradali, l’opinione pubblica appoggia e sostiene le rivendicazioni degli agricoltori: il che complica ulteriormente l’azione della coalizione governativa.
Intanto i russi se la ridono: “Gli agricoltori hanno bloccato ampie zone del Paese. I sussidi sono stati bloccati, e la spesa astronomica per l’Ucraina continua ad aumentare. E la Germania è il principale finanziatore”, sogghigna Medvedev.
La dinamica degli eventi non può non riportare alla mente il momento di innesco della protesta dei “gilet gialli”, che ha contraddistinto quasi due anni di storia francese, per poi declinare e spegnersi al tempo della pandemia. In comune, c’è l’idea di una lotta che parte dall’aumento del prezzo dei carburanti e colpisce, in particolare, la circolazione nelle metropoli moderne, la loro essenza di flusso. Bloccare i flussi delle merci significa colpire al cuore l’economia contemporanea, di questo c’è sempre maggiore consapevolezza. Ma nel caso dei “gilet verdi” tedeschi la rivolta si iscrive in un diverso contesto, segnato dalla guerra e da una modificazione di equilibri che si credevano consolidati. La partita intorno ai trattori rischia di segnare una svolta storica: oltre all’Ucraina, la Germania si profila sempre più come l’altro grande perdente del conflitto in corso a Oriente, con conseguenze difficili da valutare tanto sul piano politico nazionale che su quello internazionale.