Le tappe
ALESSANDRO BARBERA
Che l’ora delle privatizzazioni stesse per arrivare Giancarlo Giorgetti lo aveva fatto intendere pubblicamente. Negli incontri riservati con gli investitori e le agenzie di rating era stato ancora più esplicito: la vendita di pezzi di Stato sarà la garanzia per il contenimento del debito in una stagione in cui né la crescita (bassa), né il calo dell’inflazione aiutano. L’annuncio della cessione del 25% del Monte dei Paschi, la prima delle aziende pubbliche (o quasi) nella lista del governo, ha però finalità diverse. Fino a ieri lo Stato possedeva il 64,2 per cento dell’antica banca senese. Con un comunicato inviato a mercati chiusi il ministero del Tesoro ieri ha annunciato la vendita della quota attraverso una procedura molto rapida. Si chiama «Accelerated book building». Si tratta del mandato a tre grandi banche d’affari (Bank of America, Jefferies e Ubs) di offrire ai rispettivi clienti pacchetti frazionati di azioni, sulla base delle singole richieste. Una vendita rapida, destinata a più investitori, per fare cassa al miglior prezzo possibile. Giorgetti ha avuto il via libera politico di Giorgia Meloni durante il vertice della scorsa settimana a Palazzo Chigi con i due vice Matteo Salvini e Antonio Tajani. «Andiamo nella direzione giusta», gongola il ministro degli Esteri, che ha fatto delle privatizzazioni una bandiera.
Il Tesoro doveva vendere il 20%, ma la domanda ha superato di cinque volte l’offerta ed è stato collocato il 25% a 2,92 euro con uno sconto del 4,9% rispetto alla chiusura a Piazza Affari (3,072 euro). Poiché Mps in Borsa vale poco meno di 3,9 miliardi di euro, significa incassare 920 milioni. Molto poco rispetto alle promesse scritte dal governo nei documenti di finanza pubblica (venti miliardi in un triennio), abbastanza per dare copertura senza affanno ad alcune modifiche della Finanziaria 2024, ora in discussione al Senato. Una su tutte: la norma che impone un taglio netto alla pensione di chi ha iniziato a pagare i contributi prima del 1996.
La vendita di un pezzo di Mps ha poi un ulteriore obiettivo, squisitamente politico: onorare l’impegno preso con la Commissione europea a privatizzare la banca statalizzata sei anni fa per evitarne il fallimento. Giorgetti aveva spiegato la strategia in una conferenza stampa di circa un mese fa, il 16 ottobre: «Abbiamo un programma ambizioso di privatizzazioni. Per alcune i passaggi tecnici sono complessi e richiedono tempo, altre possono chiudersi nel 2024». Nei piani del ministro leghista le operazioni complesse sono la vendita di almeno un terzo di Ferrovie e Poste, il riferimento al 2024 è invece il termine per la cessione dell’intero pacchetto di Monte dei Paschi. Nel pieno della trattativa sul nuovo Patto di stabilità rispettare un impegno con l’Europa ha un preciso significato diplomatico.
La privatizzazione di Mps avrà dunque un secondo tempo. Questo venticinque per cento è andato soprattutto a investitori internazionali, nei piani di Giorgetti il restante 39,2 dovrà rimanere nei confini nazionali. «Mps dovrebbe diventare il perno di un terzo polo bancario dietro a Intesa e Unicredit», dice spesso il ministro nelle conversazioni riservate. I compratori in cima alla lista delle preferenze sono la milanese Banco Bpm o l’emiliana Bper. Fin qui nessuna delle due è sembrata entusiasta, ma è pur vero che le banche, grazie ai fortissimi utili garantiti da alti tassi di interesse, hanno i portafogli più gonfi del solito. Il 2024 potrebbe essere l’anno giusto.