Parere negativo dal Mef agli emendamenti di Forza Italia: “Diamo un segnale ai mercati”
ROMA — L’operazione di smontaggio di Forza Italia sarà respinta. Con gravi perdite. Politiche, anche se l’oggetto del contendere – il Superbonus – è tecnico. E finanziarie, perché a prevalere saranno le ragioni delle casse pubbliche da tutelare in contrapposizione alla richiesta di allargare le maglie con coperture quantomeno incerte. Giancarlo Giorgetti è pronto a passare dalle parole ai fatti per respingere l’assalto del “collega” Antonio Tajani all’emendamento che prova a contenere la scia velenosa dei bonus edilizi.
E quindi, da ministro dell’Economia, darà parere negativo ai subemendamenti che i senatori azzurri hanno depositato ieri in commissione Finanze, il teatro della disfida. Bocciare Forza Italia in Parlamento. Ecco la traduzione politica di quel “fastidio” che il titolare del Tesoro nutre da giorni nei confronti del leader di FI, a cui anche la premier Giorgia Meloni, come lui, intesta iniziative da campagna elettorale che «si stanno rilevando alquanto inopportune per il segnale negativo che così si dà ai mercati e all’Europa », chiosano fonti di governo avverse ai forzisti. La declinazione operativa del muro che il Mef e Palazzo Chigi alzeranno nei confronti di FI passa dal respingimento di due dei cinque subemendamenti presentati a Palazzo Madama (in tutto dieci quelli della maggioranza, 74 dalle opposizioni). Riguardano il divieto per le banche di utilizzare i crediti d’imposta legati ai bonus edilizi in compensazione con i debiti per i contributi previdenziali, a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo. Firmano in tre: i senatori Claudio Lotitoe Dario Damiani, “scortati” dal capogruppo Maurizio Gasparri. Provano la via più decisa: l’abrogazione del divieto. Perché, scrivono nella proposta di modifica, «la riduzione delle voci compensabili contrasta anche con il principio di uguaglianza e non alterazione del mercato», oltre ad avere «un effetto retroattivo incompatibile con i principi dettati dall’ordinamento tributario». Ma nel fascicolo delle proposte c’è anche la soluzione più morbida: il divieto alle compensazioni deve valere solo per i crediti acquisiti dai soggetti «a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione» del decreto. Entrambe le proposte non prevedono coperture perché ritenute non necessarie «come ha indicato il Mef»: un modo per dire che la modifica può essere accolta perché non impatta sui conti pubblici. Ma Giorgetti è inamovibile: la stretta sulle banche serve a rallentare e alleggerire il ritmo della compensazione a carico dello Stato. Nel cestino di via XX settembre finirà anche il subemendamento che chiede di rinviare lo “Spalma detrazioni” in dieci anni dal primo gennaio 2024 a quando il decreto diventerà legge per «superare la retroattività che connota l’emendamento proposto dal Mef». Costa 390 milioni all’anno, dal 2025 al 2028: una spesa insostenibile per il titolare dell’Economia. Ieri Tajani ha tenuto il punto: «La nostra civiltà giuridica non prevede che si possano fare norme con effetto retroattivo». E nel tentativo di dare forza ai subemendamenti ha fatto sue le preoccupazioni delle banche, raccolte al mattino in una videoconferenza con il presidente dell’Abi Antonio Patuelli. Che ha lanciato l’alert: con lo stop alla compensazione con i debiti previdenziali, i crediti in pancia agli istituti diventeranno rischiosi, oltre al fatto che sarà assai complesso onorare i contratti di acquisto con le imprese che hanno ceduto i loro crediti. Ma Giorgetti ha deciso: la stretta al Superbonus non si allenta.