Il Comune di Siena fa propria la lettura americana della sua storia…
9 Ottobre 2024Le forzature istituzionali
9 Ottobre 2024Il neo ministro della cultura illustra le sue «teoretiche» linee-guida del dicastero
Non dev’essere stato facile ascoltare l’audizione del ministro Alessandro Giuli, né per i suoi colleghi di governo né per gli altri deputati: un’ora e un quarto di linee-guida del suo dicastero che però, come ha avvertito lui stesso fin da principio, sarebbero state un po’ «teoretiche». E, in effetti, non si è smentito. Alla fine, tra infosfere globali, apocalittismo difensivo, ontologie varie sedimentate una sull’altra, tasse di scopo, tax credit che somigliano a redditi di cittadinanza, periferie felici di tornare «al centro», passioni tristi che per fortuna non ci riguardano e welfare per l’infanzia nei luoghi di produzione del pensiero e della creatività, qualcosa si è capito: la cultura si basa su una idea-forza (come le linee-forza di Boccioni) e questa è rappresentata dalla sua funzione sociale, che coadiuva un valore identitario (plurale). Intanto, quando può e senza troppi peli sullo stomaco, quella stessa cultura fa cassa sul proprio patrimonio. Perché i pregiudizi ideologici sono sempre in agguato e la dialettica fra gratuità e profitto è da scavalcare con disinvoltura.
«È SEMPRE OGGETTO DI CRITICA la decisione di creare dei costi per i visitatori di musei o di luoghi che sono molto più che musei, come il Pantheon, o addirittura di innalzare il biglietto di ingresso per altri siti culturali». Ma la verità, spiega il ministro, è che non si vuole deprezzare l’offerta e «la gratuità comunque genererebbe delle voragini nei conti del ministero».
Nascosto fra l’esaltazione del modello gestionale e intellettuale di Adriano Olivetti, l’articolo 9 della Costituzione tirato in ballo come fondante della politica del ministero, le digressioni su intelligenze generative (vedi il Vittoriale virtuale al Maxxi) e la lotta fra algoritmo e umanesimo, si affaccia nel discorso di Giuli il vero punto dolente: il rilancio di un settore prismatico – che va dallo spettacolo dal vivo agli enti lirici, biblioteche, editoria, arte, siti archeologici fino al cinema – sarebbe da fare senza soldi. Un rilancio che inventa fantasmagorici castelli di un mondo perfetto e invece deve fare i conti, senza esplicitarlo, con i tagli in bilancio. Il «ricavo» si fa così tema centrale poiché «valorizzare economicamente non è un tabù», importante è come poi si investono quei denari – ecco allora la famosa «tassa di scopo».
PURE SPEDIRE ovunque pezzi del patrimonio può essere un bene, «rispondendo alla vocazione più alta della cultura che è quella di mettere a servizio di ogni forma di disagio e di marginalizzazione la bellezza e la conoscenza». Come quel Narciso di Caravaggio, staccato dalle pareti di Palazzo Barberini e inviato in Brianza, a Merate, per rendere onore a una grande mostra, non dimenticando en passant di rendere onore anche alla Fondazione di Maurizio Lupi. Alle critiche, Giuli ha risposto che «la cultura italiana va letta in una dimensione multicentrica, superando la dialettica tra centro e periferie».
VIA VIA CHE L’AUDIZIONE-FIUME si avvicina alla sua conclusione, le nebbie si diradano e qualche notizia (oltre la filosofia teoretica) trapela o si riconferma, in linea con il suo precedessore. Per esempio, la tax credit è una stortura e va rivista dato che premia opere di non qualità. Il Mic annuncia poi mille e quattrocento assunzioni, mentre a Messina si lavora non solo per il ponte ma anche per un Maxxi Med, e a Taranto si pensa alla Biennale mediterranea. Gli Uffizi saranno invece «diffusi», l’Albergo dei Poveri a Napoli sarà pronto per la sua trasformazione imponente.
E il 2025? Porterà con sé una Crypta Balbi dedicata alla storia di Roma, dall’antichità al terrorismo (il riferimento è a Moro, ritrovato a via Caetani, attigua alla Crypta). Ovviamente, ci sarà l’annunciata esposizione su Gramsci e un’altra su Pasolini. Che non sarà lasciato solo, ma si confronterà con Mishima. Sempre fermo restando che «l’idea di ’mostra mia’, ’mostra tua’, non mi piace. Non ci piace questo schema per cui la sinistra concede una mostra alla destra e viceversa».
Sul cavallo di battaglia di Sangiuliano, il Futurismo, cala il sipario. Non una parola.