La risposta, banale e desolante insieme, sta nei soldi del Pnrr. Ci stiamo indebitando collettivamente non per fare quel che davvero ci servirebbe (dagli asili nido agli studentati non di lusso, ai piccoli ospedali delle aree interne …), ma per rifare quel che nessun bisogno avrebbe di essere rifatto: il Comune di Certaldo deve spendere questi benedetti due milioni e duecentomila euro circa ricevuti con il Piano, ed ecco fatto. C’è qualcosa di terribile in questo consumismo fine a se stesso, coniugato con la più incivile noncuranza per la forma dei luoghi in cui da secoli vive una comunità. Vengono in mente le pagine più profetiche di Pier Paolo Pasolini. Quelle, del 1974, sulla nostalgia per la povertà (“Dico povertà, non miseria … l’antico rispetto per gli altri che era rispetto per se stessi; la fierezza di essere ciò che la propria cultura ‘povera’ insegnava a essere”) e sul totalitarismo della società dei consumi: “Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. … Con una differenza, però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant’anni addietro, come prima del fascismo. Il fascismo, in realtà, li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio. Nel fondo dell’anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di un’irregolamentazione superficiale, scenografica, ma di una irregolamentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima”.
Cinquant’anni dopo, siamo ancora profondamente immersi in questo totalitarismo: ciò che chiamiamo patrimonio culturale, cioè la forma dei luoghi in cui viviamo, è una merce come le altre, e obbedisce alle regole del mercato e del consenso mediatico. Passando dal servo encomio al codardo oltraggio, in questi giorni vitupera Chiara Ferragni anche chi esaltava la scelta del direttore degli Uffizi di affidarle la “vendita” del museo ai giovani. Eppure, era evidente che si giocava col fuoco, facendo ricadere anche Botticelli in quella “irregolamentazione” di cui parlava Pasolini, quella del rapporto tra pubblicità e consumatore. Analogamente, l’amministrazione comunale di Certaldo pensa di comprare il consenso dei cittadini mercificando la piazza storica della città, “ristrutturandola” coi soldi del Pnrr come se fosse una villetta arrivata in eredità. Che a farlo sia un’amministrazione di “sinistra” aiuta a capire perché tutta la Toscana stia passando a destra: l’assenza di un qualunque pensiero critico verso lo stato delle cose e l’accettazione passiva dei riflessi condizionati di una società di mercato rappresentano, infatti, la fine di una qualunque idea di sinistra.