Cosa accadrebbe se perdessimo tutti il sonno? Karen Russell, nel suo romanzo, ci immerge in un’altra pandemia. E nell’assurda soluzione per uscirne
di Michela Marzano
«Per buona parte del ventunesimo secolo l’insonnia è stata curabile con farmaci prescritti su ricetta. Adesso, centinaia dei nostri vecchi vicini di casa, amici, colleghi e insegnanti soffrono di insonnia. Autodichiarano l’insufficienza onirica, presentano domanda di assistenza presso le Brigate Morfeo e aspettano che gli venga assegnato un donatore di sonno » . Quando Karen Russell ha pubblicato in America I donatori di sonno era il 2014, sei anni prima che la pandemia ci costringesse a fare i conti con l’impotenza e la vulnerabilità della condizione umana, e a cambiare molte delle nostre credenze e abitudini. Difficile sapere, prima di allora, cosa fosse davvero un’emergenza sanitaria o una pandemia. Karen Russel, però, anticipa i tempi e, forse ispirandosi anche a Cent’anni di solitudine — quando Gabriel García Márquez descrive la piaga dell’insonnia che colpisce gli abitanti di Macondo i quali, perdendo la memoria, si vedono costretti a etichettare oggetti, piante e animali -, racconta in maniera visionaria lo scatenarsi di un’epidemia di insonnia terminale che devasta prima gli Stati Uniti, poi la Cina, quindi il resto del mondo. Il sonno smette di sciogliere il tempo, e decine di migliaia di persone — gli oressini — restano imprigionate sotto minuti che diventanoore, e ore che diventano mesi. Inizialmente, gli epidemiologi liquidano la malattia come pura sopravalutazione di un comune disturbo. Col tempo, però, la situazione degenera: « Ogni notte sono sempre di più i malati di insonnia che si vedono negare l’ammissione al pronto soccorso. Li rimandano a casa, al confino, a rigirarsi sul materasso sfregiandosi gli occhi con la lama della luna, finché qualcuno non gli trova un donatore. Finché non ottengono l’idoneità a una donazione di sonno, per tanti di loro non c’è niente da fare » .
La protagonista e voce narrante di I donatori di sonno è Trish, una giovane donna che lavora per un’associazione non- profit che effettua trasfusioni di sonno, e che è molto dotata nel reclutare donatori di sonno: sua sorella è stata una delle prime vittime dell’insonnia terminale, e il dolore che si porta dentro la rende empatica e particolarmente capace di entrare in relazioni con gli altri: « Quello che mi distingue come reclutatrice è che la morte di mia sorella per me è un dolore sempre vivo, un puro shock, una ferita recentissima » . Quando la Corte Suprema emette una sentenza in base alla quale anche i neonati, con il consenso dei loro genitori, possono considerarsi donatori, è Trish che riesce a convincere la madre della Piccola A,una bimba dal sonno perfetto, privo di incubi e di scorie a donare. La neonata è una donatrice universale, nessuno rigetta una trasfusione del suo sonno. Ma quando i prelievi iniziano a moltiplicarsi — anche perché il Donatore Y ha nel frattempo messo in circolazione un sonno infetto — il padre della Piccola A non vuole più che la bambina sia prelevata: « Ho una figlia. Che ha bisogno di dormire. Voi vi presentate qui ogni settimana che Dio manda in terra. Non potete attaccarli al figlio di qualcun altro quei tubi? » Trish interviene allora ancora una volta, e convince l’uomo a non ritirare la figlia dal programma. Ma quando la giovane donna comincia a pensare che la Piccola A avrebbe vissuto una vita molto migliore se non l’avesse mai incontrata, la certezza granitica che ha sempre avuto di trovarsi dalla parte del bene inizia a incrinarsi: « Riuscirà a laurearsi, la Piccola A?, mi chiedo. Vivrà fino a quei trent’anni che mia sorella non ha mai visto? L’epidemia di insonnia finirà? Cerco di formarmi un’immagine della Piccola A in età ormai matura, che dorme senza il risucchio sibilante dei nostri macchinari, sognando qualcosa di ineffabilmente bello. Ma non riesco a spingere la fantasia tanto avanti nel tempo » . Il campo del bene e quello del male nonsembrano più separati in modo netto, persino il Donatore Y si rivela diverso da come è stato fino ad allora descritto: non aveva scelto di inquinare volontariamente il sonno, era semplicemente ignaro di avere all’interno di sé un incubo terribile e di poterlo trasmettere, era anche lui, in fondo, “ un’anima buona”.
Mescolando il reale e il surreale, la psicologia e la fantascienza, Karen Russel, come già nei suoi precedenti racconti e romanzi ( e in particolare in Un vampiro tra i limoni e in Swamplandia!) costruisce un’allegoria sociale, e riesce a immergere lettrici e lettori all’interno di un mondo che è al tempo stesso familiare e distopico. Dietro la storia della pandemia e della donazione di sonno, c’è il desiderio di mettere a nudo non solo l’avidità umana e la tentazione di fruttare le situazioni più drammatiche, ma anche la generosità che spinge alcuni al sacrificio e al dono di sé. E sebbene la chiusa del romanzo sia forse un po’ brusca, e possa lasciare alcuni lettori con il dubbio che manchi qualcosa, la storia (scritta molto bene e magnificamente tradotta da Martina Testa) riesce a toccare corde profonde e a far riflettere sia sulla complessità della psiche umana sia sulle aporie di certe forme di volontariato e di altruismo.