Francesco Poli
Il titolo della mostra di Alexander Calder al LAC di Lugano, Scolpire il tempo (che cita letteralmente quello di un famoso saggio di Tarkovskij) evoca in modo particolarmente suggestivo la caratteristica più originale della ricerca dell’artista americano, e cioè il superamento della natura tradizionalmente statica della scultura attraverso l’introduzione del movimento reale e della dimensione temporale nelle sue celebri costruzioni plastiche, i Mobiles. Un percorso di ricerca che si sviluppa in modo straordinario tra America e Europa nell’arco di mezzo secolo.
Figlio e nipote di affermati scultori di opere monumentali, il giovane Calder arriva a Parigi nel 1926 dove inizia subito a farsi conoscere nell’ambiente d’avanguardia con delle esili sculture realizzate in fil di ferro, che sembrano disegnate nello spazio tridimensionale con incredibile fluidità. Sono giocosi personaggi danzanti (come la serie dedicata a Josephine Baker); animali, acrobati e clown del circo; e ritratti caricaturali di amici.
Dopo questa fase ancora figurativa, entra a far parte del gruppo internazionale di Abstraction-Création e comincia a precisare il suo linguaggio plastico facendo riferimento da un lato alla essenzialità strutturale e cromatica di Mondrian e dall’altro, soprattutto, alle immaginifiche forme biomorfiche di Arp e Mirò. Nel 1931 espone delle piccole opere astratte, leggere costruzioni fatte di fili metallici, con cerchi, linee rette spezzate e ondulate, dischi e sfere di legno, che assomigliano anche a dei fantasiosi planetari. Dell’anno successivo sono i suoi primi lavori cinetici, formalmente simili ai precedenti ma azionati da motorini elettrici o da semplici manovelle.
I primi Mobiles (è Marcel Duchamp che li definisce così) del 1933 sono fatti con fili, aste orizzontali e oggetti sagomati di legno pendenti, e si muovono, senza motorini, solo se toccati con una mano o per spostamenti d’aria.
Per queste sue opere Calder è stato in parte influenzato dalle pionieristiche sculture cinetiche degli anni Venti dei costruttivisti, quelle con dispositivi elettromeccanici di Gabo e Moholy-Nagy, e in particolare le Costruzioni sospese di Rod?enko, fatte con cerchi concentrici mobili sospesi liberamente nell’aria.
Ma forse ad ispirarlo sono state anche le fluttuanti costruzioni con elementi pendenti di tradizione giapponese (come le “campane a vento).
I Mobiles più conosciuti, sospesi al soffitto o in equilibrio precario su parti fisse posate al suolo (Standing Mobiles) sono costruiti con combinazioni di sottili aste e palette metalliche piatte geometrizzanti o fitoforme variamente sagomate e colorate (in rosso, blu, giallo, nero, bianco) che pendono a grappoli o a ventaglio dando vita a configurazioni ramificate che fluttuano in modo imprevedibile nell’aria.
«Sebbene Calder non abbia voluto imitare nulla – ha scritto Jean Paul Sartre – poiché nulla ha voluto se non creare gamme e accordi di movimenti sconosciuti, si tratta contemporaneamente di invenzioni liriche, di combinazioni tecniche, quasi matematiche, e di simboli sensibili della natura…».
Il fascino inedito di queste opere deriva dalla compresenza di qualità per molti versi opposte: da un lato una gioiosa e ludica freschezza lirica e fantasiosa (anche con valenze dadaiste e surrealiste), e dall’altro lato una moderna strutturalità meccanica (di matrice costruttivista) che tenderà a prendere il sopravvento nei Mobiles di taglia monumentale. Sempre negli anni Trenta l’artista inizia a realizzare anche gli Stabiles, delle costruzioni plastiche statiche fatte con lamiere d’acciaio sempre vivacemente colorate, in cui la tensione articolata dei piani si sviluppa in fantasiose forme di animali e piante sinteticamente stilizzate.
Attraverso una accurata selezione di oltre trenta opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private e dalla Calder Foudation di New York, le curatrici Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge, hanno messo in scena nel museo di Lugano un arioso percorso espositivo in spazi aperti senza pareti, che documenta tutti gli aspetti più significativi della ricerca di Calder dal 1931 al 1960.
Degli anni Trenta sono le prime sculture non oggettive come Croisière (esposto nella sua personale alla Galerie Percier); i primi lavori mobili con elementi in legno d’ebano pendenti; e i primi Stabiles come Assembled Bits of Wood (1935). Ma le opere più affascinanti e spettacolari sono alcuni Standing Mobiles come l’immaginifica Yucca (1941) e soprattutto un’eccezionale gruppo di grandi fluttuanti Mobiles, specialmente quelli degli anni Quaranta come Arc of Petals, Black Lace, e Eucalyptus. Quest’ultimo, presentato per la prima volta alla Pierre Matisse Gallery di New York nel 1940, è stato poi esposto in seguito in quasi tutte le più grandi retrospettive dello scultore. Per le sue dimensioni imponenti, è da citare anche Red Lily Pads (1956) installato nell’ultima sala di fronte a una grande vetrata aperta sulla vista del lago. A proposito dei Mobiles le curatrici hanno scritto: «Calder ha creato degli organismi metallici che possiedono le qualità della leggerezza e della varietà in forme biomorfiche sottili che sono allo stesso tempo resistenti e fragili, dinamici e estetici, solidi e ipersensibili».
Tra gli altri lavori in mostra, oltre a un gruppo di solidi e articolati Stabiles, di forte impatto strutturale ma con immaginifiche configurazioni animali, sono di particolare importanza anche le Constellation, costituite da numerosi oggetti con forme astratte surreali sospesi ai muri e interconnessi fa loro da una rete di fili metallici. Realizzate in legno durante la guerra (quando era molto difficile trovare lastre metalliche) sono stati esposte nella retrospettiva dell’artista al Museum of Modern Art del 1943, curata da Sweeney e Duchamp. E sono stati proprio loro a dare il titolo a questi aerei assemblaggi, sottolineando così l’affinità con le magnifiche Costellazioni dipinte nel 1940-41 da Joan Miró, l’artista più ammirato da Calder.