La ragnatela delle alleanze
24 Settembre 2023Nick Drake – Day is Done
24 Settembre 2023illusioni di democrazia; frammenti di libertà individuale e collettiva; fugaci ribellioni ai soprusi nella speranza di emancipazione da un esistente oppressivo: altrettanti momenti, questi, della mancata “vittoria dei buoni” cui allude Paolo Mieli nel sottotitolo del suo intenso volume Il secolo autoritario. Subito, infatti, tutti in vario modo soffocati, nel corso della vicenda della nostra civiltà sviluppatasi nei secoli tra Europa e Mediterraneo, dall’esercizio cupo e brutale della violenza, messa in atto per obiettivi dove si mescolavano, magari, iniziali istanze di miglioramento sociale a pretese di dominio territoriale, economico, politico od ideologico.
Attraverso un’originale panoramica allargata ad un intero arco plurimillenario, l’autore ci presenta una molteplicità di situazioni in vario modo indirizzate a testimoniare l’affiorare dell’ autoritarismo prevaricatore nei tempi antichi.
Così incontriamo, tra i tanti esempi proposti, l’abilità guerriera della regina Artemisia e le fasi ancora controverse dell’ insurrezione armata di Catilina; mentre ritroviamo la contraddittoria, ma feconda, complessità di papa Gregorio VII; come pure la veemenza dell’odio antisemita della Chiesa cattolica esemplificata dalla vicenda di Simonino il fanciullo della cui uccisione rituale venne accusata la comunità ebraica di Trento, arrivando fino alla beatificazione del piccolo martire, il cui culto fu abolito dalla Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Quando poi l’autore affronta il secolo autoritario per antonomasia, il Novecento, la sua esigenza di approfondirne gli aspetti che portarono l’Europa a veder proliferare liberticidi regimi dittatoriali, si fa ancor più puntuale con un’indagine fondata su di una ricchissima ed aggiornata bibliografia.
Tra questi elementi probanti Mieli pone in particolare evidenza la sostanziale sottovalutazione, politica e storiografica, della temporanea ( quasi due anni, però) alleanza tra due dei maggiori sistemi dittatoriali europei, quello nazista e il comunista. Di Hitler e Stalin, dunque, i quali aggiunsero a un pubblico trattato di non aggressione, un protocollo segreto (ed a lungo rimasto tale e negato) di reciproca spartizione di territori dell’Europa orientale.
Il successivo attacco tedesco alla Russia, l’indomita resistenza dell’Armata rossa, l’alleanza a seguire con i Paesi occidentali finirono per offrire una ben diversa narrazione della guerra, tutta centrata sul ruolo decisivo nella sconfitta del nazismo avuto da Mosca. Un’interpretazione sovietica che, annullando quel legame tra opposti e convergenti autoritarismi, addossava la responsabilità del conflitto all’incapacità politica e diplomatica di Francia e Inghilterra , costringendo, di conseguenza, Stalin ad un’azione preventiva di difesa nei confronti della intuibile espansione tedesca ai suoi confini.
In definitiva si tratta – avverte Mieli – della ricostruzione degli eventi che, ancora oggi, ha consentito a Putin di presentare l’invasione dell’Ucraina alla stessa stregua di un atto di difesa del proprio Paese a fronte di minacce straniere da “denazificare”.
Se le scelte hitleriane sono seguite dall’autore lungo le fasi della guerra fino al catastrofico tracollo del regime nella fosca luce dei suicidi del bunker di Berlino, l’altro autoritarismo del ’900, il fascismo mussoliniano, viene, invece, visto nel momento iniziale: tra la grottesca “marcia su Roma” del ’22 e la conclusione, nel ’29, del compiuto assetto dittatoriale del regime in “camicia nera”, dotato di una propria milizia di partito ed avendo risolto a proprio vantaggio il delicato rapporto con i due soli poteri del paese, Monarchia e Chiesa, in grado di creare concrete difficoltà al governo del duce. Furono gli anni nei quali si affermò a pieno nella penisola la pratica di un totalitarismo che significò consolidare con la violenza e la repressione, gestite da uno Stato-partito, ogni iniziativa politica degli oppositori, visti come nemici da eliminare.E fu errore sciagurato, nei mesi successivi all’assassinio Matteotti, l’immobilismo delle opposizioni, tutte fiduciose nell’inevitabile crollo del potere di Mussolini.
La lezione delle sconfitte rovinose impartita ai regimi dittatoriali, fascista e nazista, non sembra, però, sia stata sufficiente ad esorcizzarne l’eredità autoritaria nella storia del nuovo millennio. Il cammino vincente di una democrazia estesa a tutti i popoli non si è affatto realizzato. Si sono, invece, succedute scorie antiche di insanabili dissidi etnico-religiosi sfociati in cieco terrorismo, in devastanti guerre civili, in veri e propri genocidi, in forzate deportazioni di popolazioni civili, in “primavere arabe” di libertà terminate in regimi peggiori dei precedenti.
Fino alla modalità più recente di imposizione autoritaria, tanto più insidiosa in quanto realizzata nel nome della correttezza politica e delle rivendicazioni identitarie, decisa a censurare le espressioni culturali formative della nostra civiltà, non consone alle imposizioni dogmatiche dell’attuale ideologia che si erge a supposta difesa delle minoranze, pretendendo di ricostruire un passato a propria misura e per questo negando l’espressione libera del pensiero: questa sì la grande conquista dell’uomo occidentale. «Talché – conclude sconsolato l’autore – è doveroso chiedersi se come autentico “secolo autoritario” non vada più considerato il Novecento ma piuttosto quello attuale[…] in cui stiamo vivendo».
Paolo Mieli
Il secolo autoritario. Perché
i buoni non vincono mai
Rizzoli, pagg. 300, € 18,50