Contrordine Harry Hole, la morte può attendere
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I comuni mortali di vite ne vivono una sola._Qualcuno ne ha una doppia. Ma è raro che se ne vivano ben cinque, come accaduto a Marija Ignat’evna Zakrevskaja, contessa Benckendorff, baronessa Budberg. Una russa enigmatica, al centro della storia del Ventesimo secolo, che ha frequentato Stalin, Churchill, De Gaulle. Nonché gli scrittori Maksim Gor’kij e H.G.
Wells, ai quali fu legata sentimentalmente. La sua vita è al centro della biografia romanzata La donna dalle cinque vite (e/o, pagine 718, euro 25,00) di Alexandra Lapierre, scrittrice francese (figlia di Dominique) nota per le sue storie al femminile.
Se Marjia ebbe tanti nomi, non meno furono i diminutivi: “Marydear” per la governante irlandese, “Murocka” per la madre polacca, “Maria” per i due mariti baltici, “Baby” per l’amante inglese, “Titka” o “Cubonka” per quello russo. Infine “Mura” per le amiche. Ne ebbe molte in tutta Europa. Fu, infatti, una seduttrice, complice il suo alone di mistero.
Fu anche sospettata di essere una spia a turno per Russia, Inghilterra e Germania. E di essere una doppiogiochista. Raffigurazione che Lapierre rigetta. Presentare Marjia come un Mata Hari russa sarebbe più fascinoso, ma questa sua attività resta solo ipotetica.
Certo è, invece, che in tutto il continente «ognuno ha avuto o creduto di avere con lei un legame privilegiato, una complicità molto intima e particolare». E ognuno ne ha dato un ritratto diverso. Le cinque vite sono scandite dalla storia del Novecento, dalla Belle Époque, alla Rivoluzione d’Ottobre alle due guerre mondiali e a quella fredda. La prima va dal 1893 – anno della nascita a Poltava (Ucraina) in una famiglia di alto rango – al 1918, passando per il matrimonio con il conte estone Johann Alexandrovich von Benckendorff. Nel 1918 la svolta: l’avventura con il diplomatico inglese
Robert Bruce Lockhart, con il quale finì in un intrigo, bollato sui giornali come «congiura degli alleati imperialisti contro la Russia sovietica». Lui venne espulso, lei finì per un po’ alla Lubjanka. I due sarebbero rimasti amanti. Mura entrò, poi, nella cerchia della rivista “Letteratura universale” dove conobbe Maksim Gor’kji, del quale fu segretaria e compagna.
La quarta vita segnò l’esordio nel mondo capitalista. Sposò per convenienza un altro nobile estone, Nikolai von Budberg-Bönningshausen. L’unione fu breve. Ma le permise di lasciare l’Urss. Nel 1933 andò, infatti, a vivere a Londra con Wells, conosciuto in Russia nel 1920.
Durante la guerra lavorò alla rivista “France Libre”, dove scrivevano Wells e George Bernard Shaw, dalla quale lancerà il giovane Romain Gary (di origini lituane). Si dedicherà alla traduzione (di Gor’kji) e alle sceneggiature (in un film americano, The british agent, tratto dalle memorie di Lockhart, ci finì come personaggio). Morì nel 1974 in Italia, dopo un non chiaro incidente a Montevarchi: nell’incendio di una roulotte andò distrutto il suo archivio (forse contenente le ricercate carte di Gor’kji, ennesimo enigma) e lei non resse al colpo. Una curiosità: “Mura” fu anche pseudonimo della scrittrice Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri (sulla quale di recente ha scritto un libro Marcello Sorgi). Lo aveva preso da una contessa russa, ma un’altra: Maria Nikolaevna Tarnovska, protagonista ai tempi di un celebre processo. E anche lei definita una “Mata Hari”. Marchio del secolo.