Ma chissenefrega se un libro, un quadro, un film, una musica, sono di destra o di sinistra. Chissenefrega se un intellettuale, un artista, è di destra o di sinistra.
Ce ne frega invece assai che intellettuali e artisti dicano e facciano cose significative, cose notevoli. Che il loro operare, a volte anche contraddittorio, aggiunga un ulteriore tassello all’impalcatura della cultura (o della controcultura).
Fa pena chi cerca di attribuirsi un pensiero che non ha saputo esprimere personalmente solo perché lo assegna alla propria parte politica, quasi che l’intelligenza la si possa assimilare per osmosi.
A tale proposito c’è un esempio storico che a me pare assai calzante e in qualche modo dirimente.
Nel 1920, durante il secondo congresso dell’Internazionale Comunista tenutosi in Russia, Anatolij Luna?arskij, commissario del popolo, stupisce i delegati italiani dicendo loro che in Italia esiste un intellettuale rivoluzionario: Filippo Tommaso Marinetti. Il discorso è pronunciato in italiano, anzi, come ricorda Antonio Gramsci, «in un italiano correttissimo, cosa per cui ogni sospetto di dubbia interpretazione deve essere a priori scartato». Così riferisce in un memorabile articolo intitolato «Marinetti rivoluzionario?», pubblicato su “L’Ordine nuovo” il 5 gennaio 1921, alla vigilia del congresso di Livorno che porterà alla scissione dell’ala rivoluzionaria dai socialisti e alla fondazione del Partito Comunista d’Italia.
Cosa aveva detto Luna?arskij di tanto scabroso? Aveva indicato come esempio di pensatore e agitatore un fascista! Anche se in quel momento un cane sciolto, essendosi dimesso dai fasci di combattimento nel 1920.
Gramsci nell’articolo si dilunga sulla sintonia tra operai e futuristi nel distruggere la vecchia cultura borghese, la senilità accademica e rimbambita per sostituirla con nuove creazioni, secondo una concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista (ho riportato fedelmente le espressioni usate da lui nel suddetto articolo).
Gramsci, che aveva manifestato sin da studente nette simpatie futuriste, dice inoltre che Marinetti non aveva avuto paura che il mondo potesse crollare se un operaio faceva errori di grammatica, se una poesia zoppicava e se un quadro sembrava un cartellone (pare di avvertire echi di controcultura punk ante litteram). Proseguiva asserendo che tra gli artisti innovativi e proletari si poteva trovare quella volontà di cambiamento radicale che avrebbe creato una nuova cultura popolare. Vedeva concretamente un possibile asse futuristi-operai. Come era avvenuto nella Russia postrivoluzionaria, dove il futurismo (nella sua declinazione russa) era stato riconosciuto come espressione del nuovo Stato.
A questa sortita fece eco tutta una serie di iniziative in ambito torinese. Si assistette a un attivismo culminato in mostre e pubblicazioni che videro Gramsci e Marinetti andare virtualmente a braccetto. Ma non per convergere verso una edulcorata rappresentazione del “volemosebene” quanto piuttosto all’insegna di una visione in cui l’avanguardia artistica trovava il suo alleato naturale nella classe operaia in lotta per la propria liberazione ed emancipazione.
Fu così che nella primavera del 1922 venne organizzata una mostra futurista al Winter Club di Torino di cui informa “L’Ordine nuovo” invitando gli operai a una visita guidata dallo stesso Marinetti. Inoltre l’Istituto di Cultura Proletaria di Torino pubblicò il rarissimo libretto Dinamite. Poesie proletarie. Rosso + Nero, forse il libro futurista più ricercato in assoluto.
Purtroppo l’iniziativa sollevò così tante perplessità in casa comunista e la situazione politica nazionale degenerò a tal punto che l’episodio finì per non avere un seguito.
Ma perfino Trotzkij scrisse a Gramsci in merito alla questione “futurismo italiano” mostrando forte interesse e Gramsci lo informò che: «Marinetti ha accettato volentieri l’invito, ha visitato la mostra insieme con i lavoratori e ha espresso quindi la sua soddisfazione per essersi convinto che i lavoratori avevano per le questioni del futurismo molta più sensibilità che non i borghesi».
Resta dunque la traccia inconfutabile di una possibile alleanza tra pensieri divergenti che trovano una loro composizione non in nome di un addomesticato sentire nazional popolare capace di mettere tutti d’accordo sotto la coperta della mediocrità cara al potere ma per modificare il presente e delineare un nuovo orizzonte non compiacente.
Ovviamente una simile avventura non poteva avere ulteriori sviluppi, soprattutto in un paese che per sua natura è conformista e accademico, intellettualmente cauto, incapace di andare oltre la retorica. Eppure un segnale lo ha lanciato: che gli steccati possono essere superati ma in un’ottica più ampia, seguendo un progetto preciso e che le appartenenze sono un ostacolo per chi possiede le antenne giuste a captare i mutamenti in atto.
Così oggi non si tratta di rivendicare la proprietà di questo o quell’intellettuale, non si può permettere che qualcuno si annetta un’eredità morale senza saperla gestire, senza poterla inserire in una prospettiva e in una complessità moderna, attuale. Banalizzando i concetti di destra e di sinistra. Ignorando perfino quali tragiche scelte abbia comportato militare da una o dall’altra parte.
L’arte e il pensiero in generale, se degni, non ammettono costrizioni né coscrizioni. Mettiamo la parola “fine” allo sterile giochino di piantare bandierine su pianeti e asteroidi che vagano nel tempo e nello spazio indifferenti alle beghe della politica di piccolo cabotaggio.
Tanto Marinetti quanto Gramsci erano nei loro rispettivi campi personaggi che incarnavano due opposte concezioni del mondo ma che trovavano il modo di incontrarsi e collaborare in nome di un fine comune, più alto, più importante delle loro reciproche diversità.
La cultura non deve essere una palestra di impoverimento e di risentimento.
Né Gramsci né Marinetti né tantomeno Dante possono essere considerati selvaggina da impallinare e esibire come trofeo.
Lasciamo da parte le tessere di partito putative e pensiamo a fare politica con idee di nuovo conio, se ne siamo capaci.
Fermo restando che né Gramsci né Marinetti hanno punti di contatto con la sinistra e la destra odierne, i Padri Spirituali si debbono meritare, non sono medagliette da appuntare su una divisa d’ordinanza.