Cellulari, arriva la stretta del governo sui sequestri: “Meno dati e tutti segreti”
15 Gennaio 2024I marinai
15 Gennaio 2024Il caso Ferragnez come una mini tangentopoli partita (come quella vera) dalla beneficenza. Chi sa non parla, chi non sa consiglia. Viaggio nel mondo dei vecchi e nuovi “creator” digitali all’ombra dei grattacieli milanesi
Proprio sulla beneficenza si cade sempre a Milano. Trent’anni fa Tangentopoli esplose per la questione del Pio Albergo Trivulzio, antica casa di riposo per vecchietti, regalata ai milanesi da un nobile, e da lì venne giù tutto, la Milano detta da bere e i socialisti, che volevano innovare e ringiovanire il Paese. Questa volta nel caso Ferragnez sono tutti giovani, anche bambini, e certo è un’altra cosa, ma la Milano col cuore in mano sembra sempre confliggere con quella arrembante con in mano il calicino. E se adesso ci sono i fotografi e cronisti sotto City Life ad aspettare Ferragni e Fedez invece d’esserci Paolo Brosio sotto palazzo di Giustizia (due architetture entrambe grandiosamente dittatoriali, il casermone disegnato da Piacentini i casermoni di Zaha Hadid all’ombra dei grattacieli Allianz e Generali), e se nei panni di Antonio di Pietro c’è Selvaggia Lucarelli del pool di Civitavecchia, sarà un altro ciclo che si chiude per la città delle aspirazioni d’Italia?
In un freddo pomeriggio di dicembre, girando prima per la galleria commerciale “CityLife” tra glishow room del Folletto e del Dyson e di tapis roulant, si sbuca poi nei giardinoni che danno nel residence dove si può passare ammirando le case dei ricconi, tipo High Line newyorchese (ma lì passi e guardi proprio dentro, con la trasparenza da paese calvinista, qui invece puoi solo adocchiare dalle cancellate del cattolicesimo di rito meneghino). I palazzi si chiamano “Giulio Cesare”, “Vegezio”, “Spinola”, “Scarampo”, “Domodossola”, in questo quartiere che ha consolidato e rinnovato il genere “casa da calciatore” in “casa da influencer”. C’è una piazza Elsa Morante e un gruppo marmoreo di ragazzini scolpiti nella bianca pietra che si tappano gli occhi, perfetti per la situazione e appena posati, sembrano ancora incartati, abbandonati lì, forse dono della dinastia instagrammatica che fino a ieri era idolatrata.
Nel frattempo passano delle famigliole, e indicano qui, su, “ecco, è quello là”, in almeno due o tre di quegli atticoni che sembrano cabine di una nave di crociera fuoriscala che si è incagliata in questa parte di Lombardia. Troupe sotto non ce ne sono in realtà, le troupe imbruttite da Fedez, quelle delle trasmissioni televisive, cattive, che indagherebbero, e sarebbero qui a vedere se il cane di casa fa la cacca o no. Nessuno neanche sotto la sede di TBS Crew, acronimo di The Blonde Salad, il blog da cui tutto è partito, in piazza Cavour, altra parte di città, lì tra il consolato della Corea del Sud e un “Milanese café” che potrebbe essere a Seoul. Ma se in apparenza tutto è “business as usual”, sotto sotto qualcosa coverà perché l’accusa, di truffa aggravata, su cui indagano non una non due bensì quattro procure della Repubblica, nel caso detto anche “Pandoro Gate”, colpisce non solo l’immaginario e l’immagine ma anche un business model nella città che era stata dell’industria e poi della moda e della pubblicità e ora dell’influencer marketing.
In questa mini tangentopoli instagrammatica, nessuno ha voglia di parlare, e nessuno si è messo nemmeno a difendere “Chiara” che un tempo era invece la capofila e la punta di diamante di tutto un settore e sottobosco di surrogati e succedanei. Valvassori e valvassini che la invocavano tipo madonna pellegrina, a garanzia di un mestiere sorto dal nulla che ha un po’ incrinato la vecchia sobrietà delle ricchezze milanesi. Invece adesso tutti si fingono morti e anche al telefono è impossibile trovare qualcuno che commenti ciò che sta accadendo. Con una rapidità che colpisce, le istituzioni pubbliche, la cosa più lontana che si possa immaginar e qui, sono invece subito intervenute con una serie di regole perché il pandoro-gate, cioè mischiare beneficenza e business, non accada mai più.
E’ stata Roma. Con grande velocità l’Autorità garante per le comunicazioni ha rilasciato un comunicato che è subito diventato come si dice virale, e che pone una serie di regole per gli influencer, almeno quelli grossi. “Un insieme di norme” recita il comunicato “indirizzate agli influencer operanti in Italia che raggiungono, tra l’altro, almeno un milione di follower sulle varie piattaforme o social media su cui operano e hanno superato su almeno una piattaforma o social media un valore di engagement rate medio pari o superiore al 2 per cento (ossia, che hanno suscitato reazioni da parte degli utenti, tramite commenti o like, in almeno il 2 per cento dei contenuti pubblicati).
DI MICHELE MASNERI