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4 Agosto 2024di Alessandra Iadicicco
Difficile trattenere un sorriso davanti allo scienziato che, stivaloni di gomma, pantaloni alla zuava, barba arruffata lasciata crescere per nascondere il mento un po’ storto, si accuccia gattoni sul prato del giardino di casa e bruca l’erbetta rugiadosa per far vedere all’oca cucciola che lo segue dappertutto come si fa. Lui poteva essere solo Konrad Lorenz, l’etologo che, senza possedere l’anello magico di re Salomone, parlava agli animali ed educava a una ben riposta fiducia nel Sapiens, ovvero «la scimmia antropomorfa», cani, taccole e varie specie di selvatici volatili migratori. La comicità della scena dell’ochetta al pascolo con la sua mamma barbuta eletta con l’imprinting avvenuto appena dopo la schiusura dell’uovo nasce dallo sguardo del padre di Lorenz, il celebre ortopedico, che dalla finestra della villa di famiglia osserva le stranezze del figlio, un medico mancato nei sogni infranti del papà, e commenta a denti stretti «ha perso il senno».
Un abbondante condimento di humour è sparso in molte delle trecento pagine del romanzo-biografia Konrad dedicato allo studioso che nel 1973 vinse il premio Nobel dalla brillantissima giornalista e scrittrice Ilona Jerger. Grande verve affabulatoria e grandissima ricerca documentale fanno la qualità del testo di Jerger che nel misurato apparato di note e bibliografia — non tanto greve cioè da tradire velleità accademiche — rimanda alle fonti delle informazioni sapientemente intessute nella vivace trama narrativa. Pertanto, per una buona metà del libro, si leggerà con trasporto e con grande tenerezza del figlio reprobo di buona famiglia austriaca che, a dispetto di una strada già spianata e di una carriera annunciata, passava le ore a scrutare le trasparenze e le dinamiche di rotolamento delle uova, i rituali di combattimento dei pesci ciclidi e l’insospettabile spirito di adattamento del tucano e del cacatua. Lo stesso Lorenz fu dotato di un notevole talento di narratore, non solo nella scrittura scientifica, come attestano certi suoi titoli celebri, i longseller L’anello di re Salomone o E l’uomo incontrò il cane, tanto divulgativi e appassionanti da risultare letture ideali per ragazzi, ma anche nei resoconti verbali delle sue esperienze, nei report di osservazioni sperimentali che, raccontate da lui — alla moglie, ai colleghi e ai compagni di prigionia oltre il Volga negli anni della Seconda guerra mondiale — prendono il gusto dell’aneddotica e il sapore della favola.
Ma è qualcun altro qui, in Konrad, a raccontare. Con studiato escamotage l’autrice fa sporadicamente capolino nel testo e prende la parola in prima persona con il tono di chi ha cognizione di causa e competenze specialistiche: parla in qualità di ornitologa che prima di imboccare quel ramo della scienza aveva accarezzato il sogno di diventare oologa, vale a dire una studiosa delle uova, o caliologa, cioè un’esperta di nidi di uccello. Inevitabile andare ripetutamente alla nota biografica sull’autrice per verificare che no, non è una scienziata, la tedesca, classe 1966, che è cresciuta sul lago di Costanza e ha studiato scienze politiche a Friburgo. Mastica il lessico delle scienze della natura per aver lavorato per anni da caporedattore della rivista «Natur» (e a proposito dell’equilibrio estetico e della correttezza della terminologia di settore una nota di merito va alla traduttrice Irene Abigail Piccinini che ha fatto un fine lavoro di precisione).
La voce narrante è quella di un personaggio fittizio, dell’anonima nipote di suor Adelgundis, la monaca che, allieva di Edmund Husserl, avrebbe messo in salvo in convento migliaia di pagine manoscritte del suo maestro all’indomani dell’ascesa al potere dei nazisti e dell’interdizione all’insegnamento del filosofo di origine ebraiche. Già, perché gli anni in cui visse e operò Konrad Lorenz — nato a Vienna nel novembre del 1903 — sono quelli di tutti gli orrori del secolo breve, dai due conflitti mondiali alla guerra fredda, alle guerre di Vietnam e Corea, fino alla vigilia della caduta del Muro di Berlino (Lorenz morì nel febbraio del 1989). Soprattutto sono gli anni del Reich di Hitler, delle leggi razziali, dell’eugenetica, e di quella retorica di una purezza della specie e delle sue deviazioni, decadimenti, rammollimenti con cui gli studi di un acceso non-behaviorista come Lorenz clamorosamente, pericolosamente, a tratti colpevolmente si intrecciano.
Allacciandosi con tantissimi fili al contesto storico, il racconto della vita dell’etologo prende svariate derive, cade in qualche lungaggine e in parte anche si disperde. Laddove per esempio insegue la vicenda di Martin Heidegger, trattato con disinvolta superficialità e ridotto a una figura caricaturale, a un puzzle di cliché: la baita di Todtnauberg, l’ascolto del suono delle campane, l’intrepida e antisemita moglie Elfride, la verbosa, arzigogolata oscurità degli scritti, le partite di Beckenbauer… E poi quella di Paul Celan che, tre anni prima del suicidio, tenne letture poetiche all’auditorium dell’università nella stessa serata di pioggia e nella stessa città — Friburgo — in cui Lorenz teneva una conferenza all’Istituto di zoologia. E ancora Hannah Arendt, Willy Brandt, Olof Palme… Incontrarli uno dopo l’altro come personaggi di un romanzo che cede, suo malgrado, nonostante gli espliciti freni, alle tentazioni e alle logiche della fiction avvincente, mette un certo disagio. Ma ai tedeschi il genere biografia romanzata piace da morire, per cui passi il libro molto ben scritto e molto informativo su un capitolo e su tante figure cruciali della storia europea e mondiale. Spiace di più, invece, che la narratrice, l’ornitologa chiaramente incantata dal suo biografato per tutte le prime centocinquanta pagine non decida davvero che posizione prendere rispetto alle convinzioni e agli errori di Lorenz ma si limiti a lasciare aperti gli interrogativi, a dichiarare datate e superate le sue scoperte e ad affidarsi all’inarrestabile progresso della scienza che, come la storia «va avanti, sempre avanti».