E che svela anche il gioco di prestigio: all’articolo 8 – con le dovute spaccature – hanno detto no tutte le delegazioni italiane. Un no di bandiera, visto che poi è passato lo stesso ed è rimasto nella risoluzione finale. Con buona pace dei distinguo di Giorgia Meloni e di Antonio Tajani. E del pacifismo più o meno esibito dei dem. Una presa di posizione analoga del Parlamento europeo c’era stata il 17 luglio, ma allora il voto era segreto e il testo meno dettagliato.
E ancora una volta è proprio il Pd a essere più in difficoltà, dopo una settimana di negoziati. La trattativa all’interno del gruppo dei Socialisti & Democratici per modificare l’articolo 8 si era rivelata inutile dall’inizio. E dunque, i dem si sono concentrati su due punti. L’articolo 3, in cui si chiede “un impegno attivo dell’Ue nell’attuazione della formula di pace dell’Ucraina e nella creazione delle basi per lo svolgimento del secondo vertice di pace” e il fatto che sia sparito dal testo il riferimento automatico a un ingresso dell’Ucraina nella Nato. Dato non secondario per chi ha lavorato per arrivare a una mediazione: significherebbe che l’astro di Zelensky è in fase più che calante. Fatto sta che questi due elementi fanno considerare la risoluzione un passo avanti alla parte schleiniana del partito, a partire da Sandro Ruotolo. E però i 21 europarlamentari dem si producono nelle più classiche delle loro contorsioni. A dire sì all’articolo 8, sbandierandolo anche prima del voto, sono Pina Picierno e Elisabetta Gualmini, che ostentano il loro dissenso dal partito (a luglio, sul punto, si erano astenute). Dario Nardella e Giorgio Gori, forse anche per evitare imbarazzi, partono prima. Ma poi l’ex sindaco di Bergamo ci tiene a twittare: “Sul punto più discusso, riguardante il superamento delle restrizioni all’uso di armi occidentali per colpire target militari in territorio russo, il testo – a differenza di quello portato in votazione a luglio – è puntuale nel circoscrivere obiettivi e condizioni, in linea con il diritto internazionale. Anche rispetto a questo passaggio, fossi stato in aula, il mio voto sarebbe stato dunque favorevole”. La parte riformista del gruppo – rimasta nell’aula di Strasburgo – non vota: si tratta di Stefano Bonaccini, Lello Topo, Giuseppe Lupo, Alessandra Moretti, Irene Tinagli e Pierfrancesco Maran. Un modo soft per esprimere dissenso, come spiega lo stesso Bonaccini al Fatto: “Sono il presidente nazionale del Pd e non voto contro la proposta della mia segretaria e del capodelegazione”. Anche se poi lui stesso chiarisce che “stiamo parlando di un articolo che fa comunque parte del voto favorevole complessivo finale”. Ancora: “Mi sarei personalmente astenuto, ma in questo modo in sei non abbiamo partecipato al voto di quel singolo emendamento. Perché si rispettano diverse sensibilità ma non ci si mette contro”. Dicono no gli schleiniani Ruotolo, Camilla Laureti, Nicola Zingaretti, Alessandro Zan, Annalisa Corrado, oltre agli indipendenti, Cecilia Strada, Marco Tarquinio (che in realtà si sbaglia e non vota) e Lucia Annunziata (anche lei si astiene per sbaglio, ma poi fa mettere agli atti il suo no), insieme a Brando Benifei e Antonio Decaro. Una suddivisione che fa dire agli uomini della segretaria che la maggioranza del partito ha tenuto. Fatto sta che al testo finale – a parte Tarquinio e Strada che si astengono – dicono tutti sì. Ma intanto il segnale che il gruppo di eurodeputati dem non è esattamente in linea con la segreteria arriva forte e chiaro.
Va detto che non va troppo bene neanche al resto delle delegazioni italiane. Fratelli d’Italia e Forza Italia fino all’ultimo hanno cercato di far inserire nel testo una condizione con la quale si lasciava agli Stati nazionali libertà di scelta sull’uso delle armi in territorio russo. Posizione espressa negli ultimi giorni dalla premier. Una trattativa condotta quasi proforma, per due motivi: prima di tutto, la sconfitta appariva scontata; e poi nei corridoi di Strasburgo, la convinzione che si tratta di un’enorme ipocrisia veniva espressa da più parti, facendo notare che – se si decide di dare armi a Kiev – è poi praticamente impossibile controllare come le usano gli ucraini.
A ogni modo, FI e FdI registrano una serie di defezioni. Per Forza Italia hanno votato a favore dell’articolo 8 Marco Falcone e Giuseppina Princi, Massimiliano Salini, mentre si è astenuto Herbert Dorfmann; il capodelegazione Fulvio Martusciello era assente. Per Fratelli d’Italia hanno votato a favore Lara Magoni e Ruggero Razza. Il ministro degli Esteri, Tajani, più volte si è detto contrario all’uso di armi occidentali in territorio russo. Ma poi è fallito anche il tentativo da parte delle forze di maggioranza di mostrare compattezza: la Lega ha detto no sia all’articolo 8, che al testo finale.
A denunciare il trucco è la delegazione 5 Stelle, che – come il Carroccio – ha detto no su tutto. Affonda l’europarlamentare Danilo Della Valle: “La risoluzione sull’Ucraina votata dal Parlamento Europeo è un invito alla guerra. Nonostante gli inutili distinguo nei singoli emendamenti la stragrande maggioranza degli europarlamentari italiani ha votato a favore dell’intera risoluzione che contiene questa esplicita richiesta”. Ma anche il loro gruppo – The Left – si è spaccato, con alcuni che hanno votato a favore del testo.