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di Massimo Franco
Più che un procedere divisi per colpire uniti, si va configurando una sorta di guerra fredda tra le opposizioni. Guerra fredda sulla politica estera, dove l’invasione russa dell’Ucraina divide il Pd e le formazioni di Carlo Calenda e Matteo Renzi dal Movimento Cinque Stelle. Guerra fredda sui temi sociali, col partito di Elly Schlein che ieri è andata alla Leopolda di Firenze, tempio del renzismo, per «ricucire la frattura con i lavoratori»; e partecipa il 6 maggio alla manifestazione della Cgil a Bologna. Ma i grillini saranno altrove. Preferiscono la «staffetta per la pace» del giorno dopo. Respingono l’accusa di essere «filoputiniani». E preparano una manifestazione a giugno. Ma i contrasti promettono di allungarsi sui rapporti col governo di Giorgia Meloni. In pochi mesi, tutte le ipotesi a tavolino di «alleanze larghe» si sono sbriciolate. Lo scivolamento verso il radicalismo del Pd di Schlein succhia voti ai Cinque Stelle di Giuseppe Conte, ormai distanziato nei sondaggi. Il risultato è di accentuare i contrasti coi grillini, che pure avevano legato la ripresa del dialogo a un cambio di segreteria. Da Enrico Letta si è passati a Schlein, ma i rapporti restano tesi. Anzi, lo sono diventati ancora di più. E le Europee del 2024, per le quali si vota col sistema proporzionale, acuiranno lo scontro. Guardano tutti a quell’appuntamento: nella maggioranza e in quella che solo con una forzatura può definirsi nebulosa delle sinistre. La spaccatura nel Terzo Polo tra Renzi e Calenda mostra un movimentismo che porta entrambi ai confini tra un’identità di opposizione e una di supporto al governo Meloni. E i Cinque Stelle sono accusati dal Pd e dallo stesso Renzi di trattare sottobanco incarichi parlamentari con Palazzo Chigi. Il calcolo sarebbe quello di accentuare l’isolamento del partito di Schlein, diretto concorrente elettorale del movimento di Conte. Ma ai sospetti l’ex premier grillino è stato lesto a rispondere che «il M5S non accetterà più insulti dal Pd». Si tratta di uno schema conflittuale destinato a perpetuarsi, nonostante le assicurazioni di cercare «un dialogo più intenso». In realtà, si intravede competizione più che voglia di incontrarsi. Perfino fisicamente, si ha la sensazione che i vertici delle opposizioni evitino di farsi vedere insieme. È come se temessero una sovrapposizione di identità. L’assillo vale soprattutto per i Cinque Stelle, preoccupati dal modo in cui il Pd si appropria di alcuni temi grillini, insidiando il loro serbatoio elettorale. E pazienza se questo comporta una perdita di consensi moderati. Ma il vero spartiacque è e continuerà a essere soprattutto l’adesione all’Alleanza Atlantica e l’atteggiamento verso il conflitto provocato dalla Russia. Col sottocapitolo della «via della Seta» aperta da Conte con la Cina quando era a Palazzo Chigi: un’era geopolitica fa, in via di archiviazione.