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2 Agosto 2024di Guido Olimpio
Dubbi sui pasdaran. Ma l’Iran smentisce
Non un missile e neppure un drone ma una bomba. Secondo una ricostruzione del New York Times Ismail Haniyeh è stato ucciso con un ordigno contrabbandato in Iran un paio di mesi fa, nascosto nella palazzina che avrebbe ospitato l’esponente palestinese e poi attivato al momento opportuno. Sempre per il quotidiano gli attentatori hanno sfruttato un varco nella rete di sicurezza. Tuttavia, resta da capire come gli israeliani fossero sicuri che il dirigente di Hamas avrebbe usato prima o poi la residenza nella zona nord di Teheran. E visto che si tratta di un complesso con più piani e ampio dovevano anche essere certi che avrebbe avuto la stessa stanza. Al momento dell’attacco nell’edificio c’era anche il leader della Jihad palestinese, Ziad al Nakalah, rimasto però indenne nonostante dormisse in un appartamento vicino.
Tra i primi ad accorrere sulla scena Khalil al Haya, altro esponente di Hamas, che avrebbe visto il corpo senza vita di Haniyeh. Poco dopo sarebbe stato informato il generale Ismail Ghaani, comandante della Divisione Qods dei pasdaran, la sponda militare delle fazioni amiche. A sua volta l’ufficiale ha contattato l’ayatollah Khamenei per fare un primo rapporto su quanto era avvenuto attorno alle due di notte. Quattro ore dopo i «guardiani» hanno dato la notizia.
Le fonti citate dal quotidiano come base del racconto non sono state in grado di fornire al momento dettagli più precisi su come il Mossad — che non ha mai rivendicato l’omicidio mirato — abbia condotto l’intera operazione composta da diverse fasi.
La prima. Individuazione con grande anticipo del luogo (o luoghi) usati dalle delegazioni palestinesi. È stato detto che di solito dormivano in una palazzina riservata lungo il boulevard Nelson Mandela mentre la notte del 30 si trovavano in un residence dei guardiani nella zona di Sadabad, a Teheran. I locali non sono mai stati bonificati e controllati? E quante sono le residenze a disposizione degli emissari alleati? La seconda. Il trasporto dell’ordigno potente. Il particolare riporta all’agguato contro il padre del programma atomico Mohsen Fakrizadeh: anche in quel caso si è ipotizzato che gli assalitori abbiano utilizzato una mitragliatrice introdotta nel Paese e poi attivata a distanza. Domanda. Non era più semplice mettere a punto la bomba direttamente in Iran? Il ricorso a una trappola esplosiva ricorda un episodio che ha coinvolto uno degli impianti nucleari iraniani. Alcuni dei dispositivi vennero danneggiati — così venne detto — da una bomba celata nei nuovi mobili acquistati da un intermediario.
La terza. L’esecuzione. Le autorità, fino a poche ore fa, hanno avvalorato la tesi di un raid con un proiettile «volante» e mercoledì sottolineavano proveniente «dall’esterno» del Paese. Descrizione vaga. Un drone? Un missile? Un quadrocopter che trasportava una carica? Un metodo, quest’ultimo, impiegato per colpire fabbriche strategiche in Iran.
Qualche osservatore, esaminando le foto della palazzina e la posizione geografica con l’alta collina nelle vicinanze, non ha escluso il ricorso a un sistema anticarro sparato da una posizione vantaggiosa. Magari con il target «illuminato» da un puntatore, missione affidata a un commando. Indiscrezioni hanno rilanciato l’ipotesi che Haniyeh o la sua guardia del corpo, uccisa nell’esplosione, abbiano usato un cellulare non iraniano esposto alle intercettazioni del Mossad.
Rimane difficile trovare conferme immediate in vicende come questa ed è abbastanza frequente la diffusione di ricostruzioni imperfette. Gli scenari possono cambiare. Chi ha ucciso vuole proteggere il più possibile il modus operandi ed eventuali complicità. Al tempo stesso ha l’interesse a evidenziare gli errori dell’avversario per alimentare frizioni e polemiche sui buchi nella sicurezza. Il New York Times, infatti, ha insistito molto sulla posizione difficile dei pasdaran sotto i quali ricadeva la protezione di Haniyeh e del compound.
Chi ha subito il colpo deve mascherare responsabilità, carenze e scegliere la tesi meno dannosa oppure più utile in quel momento. Ieri l’Iran ha smentito la bomba: «È stato un missile di Israele». Attorno la coreografia di false piste e rivendicazioni, sospetti «sul maggiordomo», allusioni a tradimenti. Un corredo classico fin dagli Anni ‘70-‘80 di molti omicidi mirati avvenuti dall’Europa al Medio Oriente.
Teheran, già sotto schiaffo per i molti sabotaggi subiti e la morte in circostanze poco chiare del presidente Raisi a bordo del suo elicottero, è costretta «a inseguire» i fatti in attesa di fornire una verità credibile. Se mai sarà possibile.