Durante il suo mandato di consigliere per la sicurezza nazionale e di segretario di Stato nelle amministrazioni di Nixon e di Ford, tra il 1969 e il 1977, Kissinger sovrintese a una massiccia espansione della guerra in Vietnam e poi alla sua fine. Orchestrò anche interventi clandestini dell’esercito degli Stati Uniti in tutta l’America Latina, dalla Bolivia all’Uruguay all’Argentina. Gli attivisti dei diritti umani considerano Kissinger un criminale di guerra che ha eluso le sue responsabilità per il ruolo avuto in guerre dichiarate e non in tutto il mondo.
I suoi ammiratori sottolineano la sua “shuttle diplomacy” in Medio Oriente dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973, e il suo riavvicinamento di successo alla Cina, idea di Nixon che Kissinger ha saputo realizzare con ammirevole maestria. Sempre con Nixon, però, Kissinger pianificò anche il tanto criticato bombardamento di Hanoi del Natale 1972, oltre ai bombardamenti intensivi e massicci del Vietnam del Nord che provocarono innumerevoli morti tra i civili. Kissinger è stato anche il principale artefice di una serie di “guerre clandestine” in Cambogia e in Laos che, in ultima analisi, scatenarono il terrore di Pol Pot e degli Khmer rossi che provocò la morte di due milioni di civili cambogiani innocenti nei famigerati “killing field” del regime.
La campagna segreta di bombardamenti in Cambogia dal 1969 al 1973 è nota come “Operazione Menu”: fu condotta senza informare né il Congresso né l’opinione pubblica americana. Nel 1973, con stupore di molti, Kissinger ricevette il Premio Nobel per la Pace per aver negoziato un cessate-il-fuoco e il ritiro di tutti i soldati americani dal Vietnam insieme a Le Duc Tho, il negoziatore nordvietnamita (che rifiutò il controverso premio). L’accordo era stato confezionato in un’appariscente veste diplomatica e denominato “Accordi di pace di Parigi” del gennaio 1973. In seguito, Kissinger avrebbe definito la sconfitta statunitense in Vietnam una “pace con onore”. In verità, non riuscì a prendere parte alla cerimonia di consegna del suo premio alla fine del 1973 perché per le strade di Oslo manifestarono molti antiamericani. Quello stesso anno, Kissinger aveva dato il via libera a un colpo di Stato ispirato dalla Cia che portò all’assassinio di Allende e che favorì e incoraggiò l’ascesa del tristemente noto Augusto Pinochet.
A Washington, nel frattempo, Kissinger blandiva assiduamente ogni forma di pubblicità, usciva con esponenti dell’alta società e con le stelle del cinema. Nel 1973, in un sondaggio Gallup fu definito la persona più ammirata negli Stati Uniti. A Washington era una sorta di rockstar. All’epoca, lo amavano tutti. Kissinger, però, fu coinvolto anche nello scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Nixon nel 1974. Non si fece scrupoli di ordinare all’Fbi di mettere sotto controllo i telefoni del suo stesso personale alla Casa Bianca, e fece intercettare anche le telefonate di molti illustri giornalisti.
Da giovane ho conosciuto Henry Kissinger, un amico di famiglia. In seguito, da giornalista, ho avuto anche l’occasione di intervistarlo. Ho potuto osservarlo da vicino, in primissimo piano. Era sempre brillante, sempre limpido come il sole, sempre globalista. Era anche del tutto incorreggibile rispetto alle varie controversie della sua vita. Dopotutto, Kissinger è colui che ha coniato l’espressione “il potere è l’afrodisiaco supremo”. Henry Kissinger è stato il Machiavelli americano, l’uomo che ha introdotto il concetto di “realpolitik” nella politica estera degli Stati Uniti. Ricordo ancora il suo forte accento tedesco, risalente alla sua infanzia da rifugiato della Germania nazista. Ricordo ancora la sua posatezza decisa, la sua concentrazione intensa, la sua eloquenza straordinaria. Kissinger è stato consultato dai leader di tutto il mondo fino agli ultimi giorni della sua vita. Nel luglio di quest’anno, a cento anni compiuti, è stato invitato a Pechino come ospite di onore di Xi Jinping, che lo ha accolto con il tappeto rosso. Non più tardi del mese scorso, il segretario di Stato americano Antony J. Blinken gli ha chiesto un parere sul conflitto in Medio Oriente.
Valutare la vita di Henry Kissinger è un’impresa molto complicata. La sua era una personalità complessa. È stato un criminale di guerra o un grande statista? La risposta dipende, se lo si giudica in base alle guerre, ai cambiamenti di regime, agli assassinii e alle molte morti di civili derivanti dalle sue politiche. Più che immorale, Kissinger è stato sicuramente amorale. Credeva nell’esercizio del potere puro. Descrivere i suoi aspetti positivi è indubbiamente più facile. Malgrado sia stato uno dei più freddi combattenti della Guerra fredda, nonostante le sue decisioni discutibili, dal mio punto di vista Kissinger è stato uno degli statisti più raffinati che l’America ha mai avuto. Molto di quello che ha fatto è bene, altrettanto è male. Il suo ascendente sul mondo non si discute. Nel bene e nel male. —
Traduzione di Anna Bissanti