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5 Dicembre 2023News
5 Dicembre 2023La storia Il resistente legno di quercia, le ferramenta e poi l’arredo fatto di stemmi, lapidi, sculture: sulle porte-torri la testimonianza di una cultura preziosa che sta alla base della creatività fiorentina
di Francesco Guerrieri
Fu Leonardo Bruni, cancelliere umanista della Repubblica fiorentina, con la sua Laudatio Florentinae Urbis , ad esprimere il primato della sua città, non per via di dominio militare ma politico e morale. Si apriva il Quattrocento, si avvertivano i prodromi dell’umanesimo, nasceva il mito della comparazione tra Firenze e Atene (ripreso e consolidato secoli dopo da studiosi come Burckardt, Wölfflin, Berenson). E crescevano le invidie sulla primazia culturale e politica delle genti, tanto che qualche tempo dopo un «umanista settentrionale», Pier Candido Decembrio, colpito nell’onore, sentì la necessità di replicare alla Laudatio con un pamphlet intitolato De laudibus Mediolanensium Urbis in comparationem Florentiae panegyricus . Ma il Bruni non ha dubbi: «Et certo maravigliosa è la excellentia di questa città, tale che la eloquencia di niuno la potrebbe aguagliare».
L’eccellenza coincideva — come ebbe a dire Emilio Cecchi — nel «miracolo di Firenze, contemporaneità di forze, di affetti, di volontà di vivere e capacità d’astrazione»: quell’astrazione che avrebbe presto conosciuto i vertici dell’arte e che avrebbe visto la frequentazione di Pico, del Poliziano, di Marsilio Ficino in Palazzo Medici e che avrebbe poi introdotto con Machiavelli e Guicciardini quel «relativismo morale» mai più tramontato.
Ma intanto c’era, ben costruita, munita e difesa, la città medievale con la poderosa ultima cerchia di mura, con le sue monumentali Porte, veri e propri presidi militari di accesso e di uscita della città. Ma le Porte, appunto, meritano per la loro ratio e la loro tecnologia, un discorso a parte, forse la stessa attenzione che si deve a un «monumento». Tema intrigante, anche per la vastità della documentazione grafica, topografica e pittorica, disponibile dalla Veduta del Bigallo a quelle del Burci e del Borbottoni. Sostanzialmente, la costruzione dell’ultima cerchia, quella ereditata dal Poggi e in gran parte demolita per l’Ingrandimento di Firenze Capitale, va datata fra il 1284 (fondazione delle prime quattro Porte Maestre) e il 1334 (compimento del circuito murario). Il Vasari solennizza il ruolo avuto da Arnolfo di Cambio nell’impresa, dipingendolo nel soffitto del Salone dei Cinquecento, mentre presenta il progetto per l’ampliamento della città; scrivendone nelle Vite che «era in tanto tenuto il migliore architetto di Toscana, che non pure fondarno i Fiorentini col parere suo l’ultimo cerchio di mura della loro città l’anno 1284». Mura, torri e fossati costituivano il sistema difensivo della città: le porte, ovviamente, erano l’unico punto di comunicazione con l’esterno. La porta medievale fiorentina si configurava come porta-torre: aveva un ponte, un antiporto, la torre (assai alta, com’è oggi riscontrabile in quella di San Niccolò, di ben 45 metri); erano munite di caditoie e di una saracinesca (enorme griglia in ferro che scorreva nelle guide laterali ricavate nella muratura.
Ma il capolavoro assoluto di carpenteria lignea e di ferratura erano le Ante in legno, con i loro enormi battenti in quercia, così com’è visibile a Porta Romana e a Porta San Frediano. All’interno di un battente era ricavata una porticciola per le emergenze. Le grandi ante, spesse intorno ai trenta centimetri erano rinforzate da «aguti», grossi chiodi cuneiformi forgiati a mano che concorrevano alla robustezza del sistema meccanico e alla difesa della superfice. La porta si innesta nella muratura tramite «maschi» infissi nel legno e «arpioni» infissi nella muratura, come ancor oggi è ben visibile. Il legname di quercia (fra i più resistenti alle intemperie e agli urti) proveniva quasi sempre dalle foreste casentinesi, mediante un accordo fra la Repubblica Fiorentina e l’Opera del Duomo che, al tempo, ne era proprietaria (per inciso, da lì sarà fornito un secolo dopo il legname a Brunelleschi per i ponteggi della Cupola).
C’erano poi le ferramenta, voce che comprendeva tutte le parti di ferro fucinato che concorrevano alla funzionalità del sistema: staffe, cardini, arpioni, chiodi, toppe, chiavi, serrature, chiavistelli (catenacci e paletti), catene, carrucole (per movimentare la «saracinesca»). C’era poi l’arredo delle Porte: stiamo parlando di lapidi, stemmi, sculture, affreschi preziosi: leoni, scudi, gigli, ornavano la facciata delle porte, a dire dell’orgoglio e del sentimento di cittadinanza. Opere firmate da artisti, quali per esempio, Giovanni Pisano per un Giglio di Porta Romana, Bernardo Daddi e Bicci di Lorenzo per lunette dei sottarchi in alcune porte. Insomma, complementi artistici di tutto rispetto, in assoluta continuità con quella «cultura urbana» che caratterizzava le opere pubbliche della Repubblica. Così che, alla fine, queste Ante delle Porte dell’ultima cerchia, vanno lette (e conservate) anche come testimonianza di una cultura artigiana, che sta alla base della creatività plurisecolare della più generale «cultura della città», di una «comunità» che in virtù dell’arte sapeva riconoscersi. In questo senso, virtuale e ideale, le Porte acquistano il valore di sigilli della custodia della domus collettiva. Né va dimenticato quanto queste porte siano state oggetto di studio e di ricerca documentale da parte del Davidsohn, del Pampaloni, del Gaye, del Frey, del Moreni, insomma dei maggiori storici di quella stagione fiorentina, a garantire quanto l’argomento sia comprimario all’evoluzione storica, urbanistica e sociale della Repubblica Fiorentina. Una evoluzione che ci è stata consegnata e che ci auguriamo possa essere trasmessa a chi ci seguirà.
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