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31 Marzo 2024Le grandi pale d’altare Andrea del Sarto, Rosso Fiorentino, Pontormo, Bronzino e il mistero più grande. Così quattro grandi del nostro Cinquecento dipinsero resurrezione ed eucarestia
di Antonio Natali
Nei primi decenni del Cinquecento si assiste a un infittirsi d’allogagioni di pale d’altare che hanno nel corpo di Cristo morto il fulcro tematico. La ragione prima dell’insistenza su un soggetto che comunque da sempre è cruciale nella religione cristiana, va cercata nella frattura, destinata a diventare insanabile, occorsa in quella tormentata stagione fra la Chiesa di Roma e le terre d’oltralpe. Una controversia dura che verteva su tante obiezioni sollevate dai riformatori tedeschi, molte delle quali ridimensionavano se non proprio minavano concetti che erano cardinali nella teologia romana. Compresa l’eucarestia; che magari non veniva rigettata, ma quanto meno — senza ora calarsi nei dettagli — diversamente interpretata. E l’eucarestia è il sacramento che sul sacrificio di Cristo si fonda.
Nel piano della Salvezza la crocefissione cui il Figlio di Dio fu condannato costituisce un transito necessario. Ma senza la sua resurrezione la morte non sarebbe stata sconfitta, né ci sarebbe stata redenzione. Per chi creda, dunque, il sacrificio della croce e la resurrezione rappresentano il passaggio ineluttabile nel piano salvifico disegnato dal Dio dei cristiani. E «pasqua» nella tradizione biblica significa appunto passaggio e insieme liberazione. Pasqua però, alla fine, non è soltanto il giorno che serba memoria di Cristo morto e risorto: è Pasqua ogni volta che, rinnovandosi su un altare il sacrificio di Gesù, tutta la sostanza del pane e del vino si converte nel corpo e nel sangue di Cristo. Mistero impervio; che solo la grazia della fede rende accessibile alla mente umana.
Per via dell’eccezioni oltramontane, nei decenni iniziali del sedicesimo secolo si chiede agli artisti di rappresentare quel mistero in termini di chiarezza assoluta: niente doveva frapporsi alla sua comprensione da parte del popolo di Dio. Nel 1523 Andrea del Sarto — maestro della «maniera moderna» fiorentina e in seguito modello per i pittori della controriforma — dipinge per l’altare di San Pietro a Luco di Mugello una Pietà struggente: al centro è esibito il corpo esanime di Cristo seduto su una pietra coperta da un lenzuolo candido; ma subito sotto, quasi a contatto, spicca un calice da messa coperto da una patèna su cui sta dritta in uno scorcio sperticato, bianca su bianco, l’ostia consacrata. Più esplicita di così la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nella particola eucaristica è difficile immaginarla.
Pressappoco due anni dopo l’esecuzione della pala di Luco, il Rosso Fiorentino, discepolo spregiudicato di Andrea, dipinge a Roma un Cristo morto fra gli angeli per l’altare della cappella Cesi in Santa Maria della Pace: angeli che, con le sembianze di giovani riccioluti di borgata (come se li sarebbe figurati Pasolini) non sorreggono affatto quel corpo franante, ma ne fanno ostensione alla stregua del Santissimo quando sia offerto all’adorazione dei fedeli. Cristo dunque «pane degli angeli», Cristo «pane dell’altare»: dizioni d’ascendenza biblica, teologicamente icastiche, a testimoniare la veridicità del mistero eucaristico.
Lo stesso farà, di lì a poco, il Pontormo, l’altro allievo diretto d’Andrea, nella toccante cappella Capponi di Santa Felicita a Firenze, sul cui altare s’alza mirabile e grandiosa la tavola a tutti nota col titolo di Deposizione . Titolo invero adeguato al soggetto, purché si sappia che non rappresenta né una deposizione dalla croce né una deposizione nel sepolcro, bensì una deposizione sull’altare; dove l’ellenistico corpo di Cristo morto è calato da due angeli fin sulle braccia del sacerdote, acciocché, celebrando la liturgia eucaristica, lo offra come cibo spirituale a chi s’accosti a quella mensa. Quello di Gesù è un corpo che vien giù dal cielo, come attesta la nuvola solitaria dipinta apposta dal Pontormo perché sia chiaro a ognuno che il telo azzurro compatto, fondale del dramma, è giustappunto un cielo. Cristo, perciò, «pane degli angeli», «pane dell’altare» e ora «pane del cielo», al pari della manna che il Dio dell’Esodo manda nel deserto per la salvezza del popolo d’Israele: la manna (pane prodigiosamente disceso per sfamare Israele) è figura d’un altro pane (il corpo di Cristo) parimenti disceso dal cielo, ma per una salvezza stavolta eterna.
Una quindicina d’anni dopo, Agnolo Bronzino, che del Pontormo era stato collaboratore in Santa Felicita, prende a decorare la cappella d’Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio. Per l’altare Agnolo esegue la pala col corpo esanime di Cristo disteso sulle gambe di Maria; e accanto, sul medesimo muro, dipinge, in due tavole più piccole, il Battista (a sinistra) e san Cosma (a destra). Sulle pareti affresca vicende della vita di Mosè, che in quella cappella è figura sia di Cristo che del duca Cosimo; del quale è metafora encomiastica. Un encomio di cui sono partecipi il Battista, evocativo di Firenze, e san Cosma, omonimo del duca e protettore della famiglia Medici.
Passa un’altra decina d’anni e ai lati del Compianto (nel frattempo ridipinto dal Bronzino al posto dell’originario, finito in Francia) Giovanni e Cosma vengono rimossi e sostituiti dall’arcangelo Gabriele (a sinistra) e dall’Annunziata (a destra). Un cambiamento che ridimensiona il panegirico di Cosimo come condottiero del popolo fiorentino e viepiù, per converso, dà risalto al tema del mistero eucaristico. Mistero che peraltro è sulla pala avvalorato dai due angeli fanciulli che, all’estremità del corpo nudo di Gesù, ostentano un calice da messa e il velo col volto di lui impresso; sicché nelle storie di Mosè illustrate a fresco brilleranno ora d’una luce nuova gli episodi della manna (pane del cielo) e del passaggio del mar Rosso (pasqua d’Israele). Che la Pasqua sia allora anche per noi un passaggio verso tempi migliori di quelli tormentati e inquieti che ci assediano: la morte e la resurrezione di Cristo si compirono per ricomporre l’amicizia fra Dio e le sue creature, e riportare fra i popoli, per naturale conseguenza, la pace. Ora ovunque minacciata.
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