Il maestro di Masaccio è stato il vero padre del Rinascimento. Una mostra a Empoli lo riscopre
di
Antonio Rocca
C’è Masolino al centro della mostra che Empoli dedica a se stessa e al periodo di splendore vissuto al principio del Quattrocento. Disposta tra Firenze e Pisa, la cittadina fluviale era allora un florido centro commerciale e diede un importante contributo alla definizione del nascente linguaggio rinascimentale. Curata da Silvia De Luca, Andrea De Marchi e Francesco Suppa, Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento è distribuita tra il Museo della Collegiata di Sant’Andrea e la chiesa di Santo Stefano ( fino al 7 luglio). L’abbrivio è un polittico del 1399, Niccolò di Pietro Gerini chiudeva il secolo con stanchi stilemi giotteschi, ad aprire nuovi orizzonti giunse Lorenzo Monaco. Empoli era un croceviae in una chiesetta sull’Arno approdò ilTrittico di San Donnino (1404). Nel museo ( bello ma sacrificato) si apprezza la reazione del camaldolese alle novità del celebre concorso del 1401. Erano tempi di rivoluzionari e nel borgo natio di Jacopo Pontormo è possibile ammirare una primizia di Donatello. Lorenzo, Donato… Empoli attirava a sé i migliori.
La Madonna di Pontorme (1410 circa) emerge dalla faglia: gli occhi della Vergine hanno quel tratto di delizia orientale che Lucas Cranach avrebbe consegnato alla modernità, ma il bambino è Rinascimento in purezza. L’abitino di Gesù è quello di un antico romano, il corpo è verissimo, autentico il gesto d’attaccamento alla madre ed è vivo lo sguardo di questa incredibile terracotta policroma, che se ne sta sola nella chiesa di San Martino, tanto da far temere che possa accaderle qualcosa. Nella fase preparatoria della mostra si è fatta avanti l’ipotesi che la piccola statua fosse contornata da due tavole di Giovanni di Francesco Toscani, condotte in Santo Stefano. Se si vuole avere idea di cosa sia il genio bisogna immaginarle insieme: un abisso! Non è colpa del modesto Toscani, è che accanto a quel Donatello non ce n’era per nessuno.
Dov’era allora Masolino? Nato nel 1383, Tommaso da Panicale aveva l’età in cui morì Masaccio, doveva quindi aver lavorato già molto, ignoriamo dove e per chi. Vasari ragiona di un apprendistato alla Porta Nord del battistero fiorentino e, in effetti, la pittura del nostro è il correlato della scultura ghibertiana. Ci sarebbe anche un documento controverso, ma dopo aver visto la Madonna Contini Bonacossi ( 1415 circa) di documenti non si sente più l’esigenza, perché Ghiberti lo si vede benissimo nel connubio di euritmia gotica e di istanze classiche.
Della giovinezza raminga masoliniana, De Marchi indovina una memoria di madonne boeme nell’innaturale inclinazione del capo della Vergine. Si vede bene anche come Masolino abbia raggiunto Simone Martini, passando attraverso l’eleganza ghibertiana. Le lunghissime dita affusolate del senese sono riprese anche in un San Francesco, proveniente da collezione privata, che De Marchi consegna a Masolino. Felicemente disposte una accanto all’altra, laMadonna degli Uffizi e la tavola del San Francesco sembrano davvero create dallo stesso autore e nel medesimo momento. In assenza di documenti, l’occhio reclama la sua parte e qui il parallelo è solidissimo.
Tra la sperimentazione di Masaccio e l’aulico linguaggio di Gentile da Fabriano, Masolino e Beato Angelico tentarono una terza via, fronteggiando l’incalzare degli eventi. È un procedere di furia: nel 1423 Gentile consegna l’Adorazione dei Magi di Santa Trinita, intanto Masolino, proprio in Santo Stefano, attendeva alla Cappella della Croce. Del ciclo rimangono solamente le sinopie ed è merito di Francesco Suppa averne favorito la lettura.
Siamo oramai alla vigilia del grande incontro e nel cuore della mostra. Vincolate alla Brancacci, neltempio agostiniano sono associate una sinopia di Masolino, solitamente inaccessibile, e una Pietà che, sebbene provenga dal Museo della Collegiata, risente del confronto con il giovane gigante. Con ilPagamento del Tributo Masaccio aveva dato una prova sconvolgente, eppure i carmelitani vollero che a suggellare la scena fosse il più anziano maestro, vollero che fosse Masolino a dipingere il volto di Cristo; laPietà di Empoli aiuta a intuire le ragioni di quella scelta. Libero dall’assedio dei terribili e meravigliosi apostoli masacceschi, il pittore di Panicale dispiega il suo potenziale. Il Redentore emana un patetismo tenue e incantevole, Bernard Berenson vi intravide persino Giovanni Bellini. Sono indimenticabili i flagelli appesi ai chiodi della croce, uno è mosso dal vento ed è quanto di più masaccesco Masolino poté concepire, rimanendo tuttavia pienamente se stesso. Il sepolcro è in rigorosa prospettiva, eppure Cristo sembra levitare, più che sostenerlo i dolenti, difatti, lo accarezzano. Il mite Tommaso di Cristoforo Fini qui vola altissimo.
La mostra si chiude con una Madonna con Bambino di Fra’ Angelico, prossima al 1424. La tavola ha sofferto spuliture ma il verdaccio della preparazione, emerso per lo zelo dei restauratori, non toglie un briciolo di poesia all’opera del domenicano, tutt’altro.