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Una pista di collaudo (vero gioiello di ingegneria) sul tetto di una ex fabbrica di automobili; la più grande ghiacciaia d’Europa (lo è stata almeno fino agli anni Settanta); il parco (oltre 35 mila metri quadrati) di un glorioso collegio… Il circuito di prova del Lingotto, la Stazione Frigorifera Specializzata, gli Horti dell’Almo Borromeo… ecco le ultime variazioni sul tema del «museo fuori museo», dello spazio «non codificato» per l’arte che stanno prendendo definitivamente forma a Torino, a Verona, a Pavia.
Sono spazi strani o quantomeno diversi (A strange space si autodefinisce il Centre for Projection di Collingwood, Australia, che accoglie open air le opere di artisti Lgbtqia+) come ad esempio l’ex vespasiano di Brunswick Park a Camberwell (Regno Unito), la chiesa di Santa Agnese a Berlino, la cisterna di Frederiksberg Hill a Copenaghen o il garage di Siewierska 6 a Varsavia trasformati dall’arte, soprattutto quella contemporanea. La pista, la ghiacciaia, il giardino propongono però qualcosa di ancora più nuovo: luoghi non votati esclusivamente all’arte, ma piuttosto luoghi ibridi (al Comune di Milano esiste già un’anagrafe di questi spazi) dove varie funzioni si sovrappongono a quella artistica. La pista è così anche un giardino con 40 mila piante di oltre 300 specie autoctone, la ghiacciaia è anche un food market, il parco è anche un punto di riferimento per progetti di inclusione sociale, reinserimento lavorativo, promozione del volontariato.
Nina Beier, Valie Export, Silvie Fleury, Shilpa Gupta, Louise Lawler, Mark Leckey, Cally Spooner: ognuno di questi artisti «si è misurato — secondo la direttrice Sarah Cosulich, curatrice con Lucrezia Calabrò Visconti del Programma di Pista 500 — con l’eredita del Lingotto per esplorare le implicazioni culturali e politiche della sua trasformazione». I leoni di marmo di Beier, le forbici di Export, il neon di Fleury, il tabellone di Gupta, la voce di Lawler, lo schermo di Leckey, i suoni di Spooner hanno trasformano questo polmone verde a 28 metri di altezza in un parco sospeso «dove le installazioni site-specific dialogano con l’archeologia industriale del Lingotto», dove il circuito chiuso dei classici musei si trasforma in una strada aperta, dove l’arte dialoga con il luogo che la ospita. Abbracciando diversi linguaggi della scultura (statue, installazioni ambientali, opere luminose e sonore, progetti di cinema espanso) e, nel caso di Silvie Fleury, proseguendo anche all’interno degli spazi progettati da Renzo Piano con la più classica mostra Sylvie Fleury. Turn me on.
È un dialogo in continua evoluzione: con la performance di Nina Beier e Bob Kill, in programma da giovedì 3 a domenica 6 novembre al tramonto sulla pista 500, i cinque leoni di marmo della stessa artista presenti sulla Pista da distesi verranno portati in posizione eretta e cavalcati da cinque performer. E mentre dal 2 novembre si aprirà il confronto tra L’ Alabardiere in un paesaggio di Giambattista Tiepolo conservato nella Pinacoteca e le installazioni di Simon Starling (che alle Gallerie Estensi di Modena si sta già misurando con Tintoretto e la sua Caduta di Fetonte), quattro nuove installazioni sono in arrivo: l’area di sosta di Liam Gillick, la segnaletica stradale di Marco Giordano, il cartellone con la fotografia di Nan Goldin, l’insegna dei Superflex. Per una mostra all’aperto che si sviluppa nel tempo in un museo che non è museo.
Saranno, invece, le fotografie di Anton Corbijn e le installazioni di Ibrahim Mahama a certificare con due personali (Staged e Voli-ni curate rispettivamente da Walter Guadagnini e Eva Brioschi) la vocazione artistica di Eataly Art House (E.Art.H in codice) progetto commerciale assemblato da Francesco Farinetti (presidente di Green Pea), Oscar Farinetti (fondatore di Eataly) e dalla curatrice Chiara Ventura che definisce questa ex ghiacciaia «uno spazio di art market dove si entra con il carrello ma dove si scopre l’arte». Oltre 11 mila metri quadrati di celle refrigerate (più una cupola di cemento) divisi su due piani: al piano terra, oltre a Eataly, un art market, appunto, fatto di tre corridoi disposti a raggiera con allestimenti temporanei (soprattutto legati alla fotografia e alle arti visive) realizzati in collaborazione con 15 gallerie italiane e internazionali e con artisti sempre diversi.
«Il desiderio è fare rinascere il collezionismo in uno spazio diverso — spiega Ventura — dove le opere in vendita avranno le loro belle etichette con i prezzi». Il primo piano sarà invece dedicato a quella che viene chiamata l’«Art House» e alla sua programmazione culturale definita da un comitato composto da Eva Brioschi, Walter Guadagnini, Gaspare Luigi Marcone (oltre a Corbijn e Mahama è in programma una «stanza» dedicata a Sandy Skoglund): ogni mostra sarà accompagnata da una serie di iniziative di approfondimento (conversazioni, workshop, incontri…). Mentre per sostenere «la giovane creatività contemporanea» Eataly lancia il premio E.Art.H dedicato ad artisti under 35.
Arte, natura, etica sono invece gli elementi portanti del progetto degli Horti, il parco di 35 mila metri quadrati dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia riqualificato come luogo aperto a tutti in cui si intrecciano habitat naturali, arte contemporanea, etica, equità e inclusione sociale: Horti.Oasi si lega in particolare all’impegno alla valorizzazione e salvaguardia della biodiversità mentre Horti.Arte nasce in collaborazione con la Fondazione Arnaldo Pomodoro che ha concesso in comodato gratuito alcune opere della sua collezione, sculture monumentali dello stesso Pomodoro, di Nicola Carrino, Gianfranco Pardi, Luigi Mainolfi, Mauro Staccioli e Salvatore Cuschera che abiteranno gli spazi del parco, accanto a opere commissionate dal Collegio ad artisti come Ivan Tresoldi e David Tremlett.
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