La citazione
di Paola Mastrocola
I poeti fanno un libro di poesie ogni dieci anni, anche ogni venti o trenta. Ci sono poeti che passano la vita a scrivere una sola raccolta, e non pubblicano nemmeno quella.
La poesia non vende, ed è difficile per un poeta essere pubblicato. Credo che le due cose siano, ovviamente, correlate. La poesia non sta sul mercato. E non parla di attualità. Siccome è arduo agganciarla a un tema, a un fatto di cronaca o a un dibattito politico, la poesia non trova spazio sui giornali e nei talk show televisivi. E, siccome non si aggancia con nulla, resta nulla. Resta relegata nei libri, che peraltro non si trovano quasi mai nelle librerie: se ci sono non appaiono, mai in vetrina, destinati a scaffali remoti e inaccessibili.
I poeti ciò nonostante esistono, ed è anche possibile che siano tantissimi. Ma vivono nascosti, e perlopiù nessuno sa che esistono. Fanno un lento e preciso lavoro invisibile. E non se ne curano; non soffrono particolarmente e non anelano alla visibilità e al successo. I poeti sanno che la vera questione è il tempo. Sanno cos’è il tempo e non ne hanno paura: tranquillamente lo lasciano scorrere. Scrivono, e basta.
Essi sono la dimostrazione che scrivere e pubblicare (ancor di più scrivere e apparire) sono due cose diverse, forse addirittura l’una l’opposto dell’altra. In questo senso, i poeti sono l’opposto del mondo in cui viviamo, che si regge sui social, sui link, sui post e sui like. I poeti, che sanno cos’è il tempo, sono oggi le persone più fuori dal tempo: anacronistiche e inattuali.
Eppure molti di noi (troppo pochi?) si nutrono di poesia. Posseggono libri, e di quando in quando frequentano qualche verso. Prendono a caso un libro, lo aprono e lasciano che gli occhi scorrano i versi trovati a caso. Pensano persino che in quel loro gesto si annidi una specie di magia, che una strofa possa contenere un vaticinio o valga da amuleto portafortuna.
Così ieri, dopo che un amico al bar mi ha parlato di Giorgio Caproni, vado a casa e mi prendo il suo volume di Tutte le poesie. Apro a caso e trovo Compleanno. Penso che sia un bel colpo, visto che oggi è la Giornata mondiale della poesia: «Avevo salutato / tutti, uno per uno. / Infatti non sapevo / se sarei ritornato. / Per strada mi sono voltato, / prima di scantonare a destra. / Nessuno s’era affacciato / (nemmeno io) alla finestra».
Intanto le rime, Caproni è un grande poeta di rime. Diceva che le poesie non devono essere musicali, devono essere musica. Ci vuole coraggio oggi a scrivere poesie facendo rima, eppure la prima cosa che al lettore viene incontro di una poesia è proprio la musica. Solo dopo viene il senso, che può anche non venire mai, o arrivare a noi poco chiaro, inesatto, ambiguo. L’ambiguità, i sensi multipli e imprendibili, l’allusione ad altro, gli echi simbolici, sono l’essenza stessa della poesia.
E poi quella parentesi (nemmeno io), così sorprendente, che riesce a ribaltare tutto come fosse una capriola. Difficile salutare gli altri se nessuno si affaccia alla finestra, ma impossibile se nemmeno io mi affaccio. Alla fine non sappiamo dire se il poeta ha salutato veramente qualcuno, se è stato ricambiato o lui stesso si è sottratto e quindi non ci sono stati saluti, e se poi ritorna o mai più. Forse compiere gli anni è proprio questo: salutare senza sapere di tornare, anzi, sapendo quanto sia difficile tornare.
La sorpresa, ecco. Farci sorprendere da un verso. E anche rimanere sospesi, senza trovare la certezza di un unico senso.
I poeti esistono, sono fra noi per sempre. E mi pare che oggi, nel giorno di compleanno della poesia, sia particolarmente importante lasciarci andare alla musica delle parole. Piccola grande ribellione al frastuono che ci rimbomba attorno.