Vito Teti, Homeland. Sulle strade di casa del mio paese di là
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19 Luglio 2022Rassegne L’autore tedesco propone per Einaudi figure grandi e meno grandi che somigliano a pezzi su una scacchiera. Miller, Genet, Andric, d’Annunzio: vignette di genio e virtù, ma anche di cinismo
di Claudio Magris
Ho conosciuto Enzensberger molti anni fa, quando la sua voce era una poesia pervasa di ironico e appassionato entusiasmo, una caustica fede nella necessità — o almeno nella possibilità — di cambiare il mondo e di tagliare con la prua il mare della Storia, furioso o denso come l’olio. Le cose sembrano oggi andare diversamente, uno scirocco che scombussola le alghe e le onde ma non cambia in modo chiaro la direzione della corrente.
Quando Enzensberger era molto giovane e io, poco più giovane di lui, lo recensivo sulla «Gazzetta del Popolo», la sua poesia, pur beffardamente consapevole della forza delle cose che sbarra il cammino come una Grande Muraglia, avvertiva che non era impossibile abbattere i muri della schiavitù e dell’ingiustizia. Molti anni fa, al Salone del Libro di Torino, ricordavamo insieme l’espressione Lumpenproletariat di Marx, proletariato pezzente, tale non per le durissime condizioni economiche ma per la mentalità regressiva e incapace di autoconsapevolezza indotta da quelle condizioni, che ostacolavano non solo il progresso materiale ma anche quello intellettuale, culturale e politico. Oggi, ricordo di avergli detto trovando il suo consenso, c’è spesso una borghesia o pretesa tale culturalmente pezzente.
Ora gli artisti, cui s’intitola il libro di Enzensberger (Artisti della sopravvivenza, Einaudi), sono «vignette», tasselli di diverse qualità, caratteristiche pubbliche e personali simili alle figurine di cartone che, quando bambini eravamo a letto con l’influenza, ritagliavamo per costruirci minareti e cammellieri, Paesi lontani fra le dune delle coperte. Ma nel libro queste figurine, queste vignette sono molti dei grandi e meno grandi scrittori dei tempi più svariati, che sembrano apparire e sparire tra la folla, o pedine mangiate su una scacchiera.
Enzensberger è uno dei grandi del Novecento, i cui capolavori — La fine del Titanic o Mausoleum — fondono mirabilmente la problematica filosofica, politica, esistenziale del secolo in cui si è proclamato che la Storia è finita e i sentimenti con cui abbiamo vissuto questa pretesa fine.
Intuizione
D’Annunzio ha fatto
i conti con la mutazione psicologica e fisiologica dell’uomo moderno
Blocchi ben definiti ritraggono in flashes il mondo e il genio, il mondo e la virtù, il coraggio, il cinismo, la bassezza, la mediocrità di chi lo ha attraversato. L’aspetto più affascinante è che ci si riconosce nelle vignette anche più lontane oppure personalmente ostiche, ad esempio la profondità struggente, la durezza dei boschi di Hamsun e del suo Io plurimo, forse il più contemporaneo di tutti, e la sua ammirazione del nazismo, più aspra e patetica dei suoi incantevoli e nostalgici boschi del Nordland.
Henry Miller, «uno degli scrittori più sopravvalutati del Novecento»; Kiš, Andric, Genet emarginato, «il più grande degli stregoni» secondo Sartre, col quale rompe per il suo appoggio ai palestinesi. Una vignetta impari alla grandezza assoluta del suo protagonista è quella dedicata a Musil ed è inadeguata pure quella che riguarda d’Annunzio, il quale, nelle sue contraddizioni etico-politiche — a Fiume, durante la sua breve reggenza, istituì scuole italiane, croate e ungheresi (cosa non da poco in quegli anni e in quella temperie di nazionalismo sempre più e dovunque scatenato) — introdusse o reintrodusse il divorzio e il tentativo di una carta sociale. Vent’anni più tardi, durante la Resistenza, alcuni degli ex legionari si trovarono da una parte, gli altri — come il suo vice a Fiume, Ercole Miani — dall’altra parte, dalla parte della libertà.
D’Annunzio ha certo scritto molte pagine oggi pateticamente retoriche, ma anche capolavori di poesia nei quali ha fatto i conti — come, molto più tardi, anche se in modo imparagonabile, Pasolini — con quella trasformazione psicologica, fisiologica, sensuale e sessuale dell’uomo in quegli anni e decenni, in cui nasceva un «oltreuomo», che non era, come forse pure D’Annunzio credeva, un «superuomo», ma un nuovo tipo, una nuova forma d’uomo, una nuova struttura dell’Io.
Attrazione
L’aspetto più affascinante è che ci si riconosce anche nelle vignette più lontane oppure ostiche
Anche la tentazione di riprodurre le vignette di Enzensberger è grande. Talora anche di impadronirsi di alcuni pezzi di questa anomala scacchiera o di aggiungerne altri. Dei contemporanei, uno dei pochi degni di figurare tra queste vignette sarebbe Michael Krüger, non solo per la varietà poliedrica della sua opera e per la sua radicale onestà letteraria, ma soprattutto per la finezza musicale sottaciuta della sua molteplice scrittura, in cui la vita è insieme un albero, un vento tra le fronde e un rigoroso erbario che si trasforma in un mazzo di fiori. O, ad esempio, il bellissimo e poco noto romanzo di Stefano Jacomuzzi di molti anni fa, Un vento sottile — titolo decisamente migliore nella sua versione francese, Swing, che allude sia alla danza sia al campione mondiale di boxe Panama Al Brown. Ma il gioco, si sa, è uno dei sistemi più severi e in particolare lo è quello con i libri.
Anche soltanto far ordine nella propria biblioteca è un’impresa disperata.