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5 Ottobre 2022Il Punto 04/10/2022
5 Ottobre 2022Lula dovrebbe battere Bolsonaro al ballottaggio. Ma il presidente uscente è andato oltre le aspettative: resta una minaccia per la democrazia. Per questo serve la mobilitazione sociale
Domenica 2 ottobre i brasiliani si sono recati ai seggi per eleggere il prossimo presidente, 27 governatori, un terzo del Senato, 513 deputati e migliaia di rappresentanti statali e locali.
Durante la campagna elettorale, l’ex presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva è stato in testa a tutti i sondaggi contro il presidente in carica di estrema destra, Jair Bolsonaro. Sebbene la vittoria al primo turno per Lula non sia mai stata certa, gli analisti erano fiduciosi che Lula avrebbe mantenuto un ampio margine sul suo avversario, con altre posizioni importanti, come gli stati di San Paolo e Minas Gerais, in procinto di tornare in mano alla sinistra.
Tuttavia, Bolsonaro è andato oltre le previsioni e si è assicurato il ballottaggio, andando più avanti del previsto in stati chiave come San Paolo, Minas Gerais e Rio. Alla fine della giornata, Lula aveva il 48,4% dei voti contro il 43,2% di Bolsonaro.
Con i candidati bolsonaristi che si assicurano un gran numero di seggi senatoriali e al Congresso, nonché governatorati, il marchio di conservatorismo reazionario della destra brasiliana non mostra alcun segno di esaurimento. Come è potuto accadere?
Una sfida polarizzata
Le storiche elezioni hanno visto livelli di polarizzazione senza precedenti tra i sostenitori di Lula e quelli di Bolsonaro. Altri candidati che forse avrebbero potuto essere forti contendenti in un altro anno elettorale, come Ciro Gomes e Simone Tebet, non sono riusciti nemmeno a raggiungere il 5%, poiché la coalizione di Lula e la retorica di Bolsonaro hanno lasciato poco spazio a qualsiasi tipo di terza via alternativa. Entrambi i principali candidati avevano strategie elettorali chiare e distinte, con uno che difendeva i valori democratici e il pragmatismo politico mentre l’altro si spostava sempre più verso il culto dell’eroe e un discorso autoritario.
La posizione di Lula è rimasta coerente dall’inizio del ciclo elettorale, predicando soprattutto un rifiuto di Bolsonaro e una difesa della democrazia. Il sindacalista divenuto politico ha fatto molta strada dalla sua prima campagna presidenziale nel 1988. Sebbene inizialmente fosse saldamente posizionato a sinistra, la vittoria presidenziale di Lula nel 2002 lo ha avvicinato al centrosinistra, poiché ha adottato una politica di investimenti e sostegni reciproci tra il settore pubblico e quello finanziario.
Ampiamente ammirato alla fine del suo secondo mandato nel 2011 con un indice di gradimento dell’87%, Lula ha lasciato l’incarico di presidente più popolare nella storia del Brasile solo per vedere colei che gli è succeduta, Dilma Rousseff, cadere vittima di un processo di impeachment nel 2016 che molti hanno descritto come un colpo di stato parlamentare. Il suo Partito dei Lavoratori (Pt) è stato sempre più demonizzato da una destra montante e lo stesso Lula è stato infine arrestato con l’accusa di corruzione, cosa che gli ha impedito di partecipare alla corsa presidenziale del 2018.
Dopo l’annullamento della sua condanna da parte della Corte Suprema del Brasile e il rilascio nel 2019, Lula è stato considerato ampiamente favorito per le elezioni del 2022. L’ex presidente avrebbe potuto scegliere di portare avanti una campagna elettorale basata sulla vendetta del suo arresto e sulla condanna della destra brasiliana e dei suoi ex oppositori che hanno così avidamente sostenuto sia l’impeachment di Dilma Rousseff che l’Operazione Carwash, l’indagine che ha messo Lula in prigione. Invece, Lula ha perseguito una politica di conciliazione contro la maggiore minaccia del governo di estrema destra di Bolsonaro. Sempre pragmatico, Lula ha costruito una coalizione per la sua campagna elettorale che molti avrebbero considerato un sogno irrealizzabile solo pochi anni prima. Come suo compagno di corsa, ha scelto il suo storico rivale Geraldo Alckmin, un ex oppositore alle elezioni presidenziali del 2006 che si è candidato anche nel 2018.
Alckmin è stata una figura centrale nel Partito socialdemocratico neoliberista del Brasile (Psdb), era un feroce critico di Lula, aveva definito il presidente un corrotto e sostenuto il suo arresto. Ora che ha ritrattato le sue precedenti dichiarazioni ed è diventato un pilastro della campagna di Lula, gli ex rivali hanno condiviso quasi lo stesso spazio durante la campagna elettorale. Durante tutta la campagna elettorale, Lula ha ottenuto il sostegno di figure alla sua sinistra e alla sua destra, ponendo la difesa della democrazia al di sopra delle differenze ideologiche.
Questa impressionante coalizione ha comportato dei costi. Lula ha mantenuto un’unica promessa politica per tutta la campagna: rimuovere Bolsonaro e riparare i danni inflitti dal demagogo di estrema destra. Quella preoccupazione immediata ha oscurato la discussione consuteta sulla politiche e le promesse di promuovere il progresso sociale.
La sua retorica elettorale si è concentrata sui successi della sua precedente presidenza invece che sulle promesse per una futura. Con una coalizione così ampia, il Lula di oggi non è il sindacalista degli anni Ottanta o il presidente di centrosinistra degli anni 2000, ma piuttosto una figura spinta sempre più al centro.
Come Trump
La campagna di Bolsonaro ha avuto un tono molto diverso da quella di Lula. Abbandonato da gran parte del sostegno politico, aziendale e militare che lo ha sostenuto nel 2018, Bolsonaro ha stretto i ranghi, intensificato i suoi attacchi alla sinistra e allo stesso processo democratico e ha tentato di ritrarre in modo idilliaco l’attuale stato caotico del paese.
Dall’inizio della campagna, il presidente in carica ha seminato sospetti sul processo elettorale, ha criticato le macchine elettorali brasiliane e ha affermato che l’unico modo per essere sconfitto era attraverso la frode elettorale. Proprio come Donald Trump, Bolsonaro ha cercato di compensare il suo svantaggio alle urne minando le elezioni stesse. A differenza della sua controparte Usa, tuttavia, mantiene uno stretto rapporto con l’esercito e la storia travagliata del Brasile con gli interventi politici delle forze armate ha alimentato l’ansia.
Questi attacchi al processo democratico brasiliano hanno indotto molti a credere che Bolsonaro potesse tentare un colpo di stato per garantirsi la vittoria. I continui elogi del presidente alla dittatura militare, l’eccessiva dipendenza da figure militari del suo governo e la crescente mancanza di opzioni poiché i sondaggi prevedevano una vittoria di Lula indicavano sicuramente che sarebbe andata in questo senso.
Ma bisogna fare i conti con la sua capacità di farlo davvero. Il settore aziendale che nel 2018 ha dato il suo sostegno a Bolsonaro lo ha in gran parte (sebbene con notevoli eccezioni) abbandonato a favore della coalizione di Lula. Sebbene possa essere popolare tra molte delle figure di rango inferiore nell’esercito, i membri dei livelli superiori hanno ripetutamente criticato Bolsonaro. Insieme al rifiuto della Corte Suprema di assecondare le dichiarazioni di Bolsonaro sui brogli elettorali, ciò ha ridotto al massimo le sue possibilità di portare a termine un colpo di stato.
Mentre Lula ha costruito la sua campagna sulla prospettiva di un ritorno alla normalità, Bolsonaro ha presentato la situazione nazionale come di progresso e di crescita. Secondo il presidente, il paese ha registrato una crescita economica costante e una diminuzione dei disordini sociali. Queste affermazioni – fatte nel mezzo di crisi inflazionistica, deforestazione record dell’Amazzonia e aumento della violenza contro le minoranze e le donne – erano a dir poco dubbie.
La chiave della strategia elettorale di Bolsonaro è stata il suo crescente appello alla destra evangelica cristiana. Ha fatto affidamento sui pastori evangelici, una forza potente tra le classi inferiori brasiliane, per raccogliere voti, con i classici punti di discussione conservatori sul sostegno dei valori della famiglia, sulla durezza del crimine e sull’opposizione al «comunismo e all’ideologia del genere».
Tutto sommato, Bolsonaro ha contato sulla tenuta del conservatorismo nella società brasiliana e sul rifiuto degli elettori di Lula, e della politica di sinistra in generale, per assicurarsi l’accesso al secondo turno. Il fatto che il presidente sia attualmente indagato in una serie di scandali di corruzione gli ha solo dato un maggiore incentivo a vincere le elezioni, poiché una sconfitta potrebbe comportarne l’arresto.
Terza via, verso il nulla
Sebbene siano i candidati più rumorosi e popolari, Lula e Bolsonaro non sono stati gli unici a contendersi la presidenza. Tra gli altri candidati, Ciro Gomes e Simone Tebet incombevano, promettendo un’alternativa alla crescente polarizzazione del Brasile. Invece, si sono trovati intrappolati tra due sgabelli.
Gomes è una vecchia figura della politica brasiliana che un tempo è stato ministro nel gabinetto di Lula. Nel 2018, quando la popolarità del Pt di Lula era ai minimi storici, Gomes si candidò alla presidenza, presentandosi come un pragmatico di centrosinistra e l’unico candidato in grado di sconfiggere Bolsonaro.
Tuttavia, la sua chiamata al «voto utile» contro l’estrema destra non fece breccia nella maggioranza dei brasiliani e Gomes finì col prendere il 12% al primo turno, dietro Bolsonaro e il candidato Pt Fernando Haddad, sostituto di Lula. Molti lo accusarono di aver frammentato il voto di sinistra, critiche divenute più dure dopo il suo rifiuto di appoggiare Haddad al secondo turno.
Nel 2022, Gomes si è candidato di nuovo alla presidenza. Ora che era Lula a essere considerato il «voto utile» per rimuovere Bolsonaro, ha fatto marcia indietro, sostenendo invece che l’elettorato dovrebbe favorire l’idealismo della terza via rispetto al voto pragmatico. Quando è arrivato il giorno delle elezioni, la sua campagna è sembrata crollargli addosso.
Tebet, figura relativamente sconosciuta solo pochi anni prima, ha guadagnato una certa notorietà per aver partecipato all’indagine del Congresso sulla risposta di Bolsonaro alla pandemia al Covid-19. Da donna politica di centrodestra, proprio come Gomes, ha costruito la sua campagna come alternativa alla polarizzazione. Le sue capacità oratorie e il fatto di presentarsi a difesa della democrazia e dei diritti delle donne hanno contribuito a spingere la senatrice sotto i riflettori nazionali, rendendola un inaspettato contendente per il terzo posto al primo turno.
Al dunque, entrambi i candidati non sono riusciti ad attirare la popolazione e l’idea di «moderazione» è caduta tra il fronte democratico di Lula e il richiamo dell’estrema destra di Bolsonaro. Tebet si è fermata al 4,2% dei voti, mentre Gomes è riuscito a prendere solo il 3%.
Finale teso
Con l’avvicinarsi del giorno delle elezioni, le tensioni sono cresciute tra i sostenitori di Bolsonaro e Lula e gli altri candidati si sono trovati sempre più ostracizzati come possibili intralci per i primi due contendenti. Il 7 settembre Bolsonaro ha trasformato il bicentenario dell’indipendenza brasiliana in uno spettacolo propagandistico politicizzando la festa nazionale, convertendo quello che in teoria avrebbe dovuto essere un giorno per riunire tutti i brasiliani in una manifestazione elettorale su larga scala.
Quando il presidente è tornato nella natìa Rio de Janeiro e ha tenuto un discorso a migliaia di sostenitori sulla spiaggia di Copacabana, è diventato chiaro a molti elettori anti-bolsonaro che possedeva ancora una base di voto significativa e appassionata. Al fianco di Bolsonaro nel Giorno dell’Indipendenza non c’era il suo partner elettorale Walter Braga Netto, come ci si poteva aspettare, ma il telepredicatore Silas Malafaia e il magnate del commercio al dettaglio e bolsonista irriducibile Luciano Hang.
Lo stesso giorno, nello stato del Mato Grosso, un uomo è stato ucciso a colpi di machete da un sostenitore di Bolsonaro dopo aver proclamato la sua intenzione di votare per Lula. La sua morte non è stata la sola in un mese che è diventato sempre più teso, in particolare quando Bolsonaro è cresciuto costantemente nei sondaggi, accorciando la distanza tra lui e il favorito.
La campagna di Lula non è rimasta ferma per tutto il mese. La strategia dell’ex presidente ha posto l’accento sul rafforzamento della sua coalizione facendo appello a vecchi alleati e persino rivali che non erano in combutta con Bolsonaro.
La campagna di Gomes si è sentita la terra franare sotto i piedi quando anche i vecchi sostenitori del suo Partito democratico del lavoro e persino i suoi fratelli hanno espresso il loro sostegno a Lula. Il 19 settembre, Lula ha incontrato otto ex candidati alla presidenza, con figure che attraversano lo spettro ideologico dal Partito Socialismo e Libertà di sinistra al Movimento Democratico conservatore (Mdb): tutti hanno espresso il loro sostegno all’ex presidente .
Soprattutto, la coalizione ha cercato di garantire una vittoria al primo turno per Lula. Tale risultato avrebbe ostacolato in modo significativo la capacità di Bolsonaro di minare le elezioni, poiché molti dei candidati statali e locali che hanno sostenuto il presidente non sarebbero stati disposti a mettere in dubbio i risultati elettorali, altrimenti avrebbero messo in discussione anche la legittimità delle proprie vittorie.
Nel dibattito presidenziale finale del 29 settembre su Tv Globo, storicamente l’ultima tappa molto influente sulla campagna elettorale, Lula e Bolsonaro hanno rilanciato i loro temi: il ritorno alla normalità contro la presunta crescita continua. Il tono del dibattito si è fatto aspro quando Bolsonaro ha definito Lula un detenuto e a sua volta è stato bollato come bugiardo.
Il più grande vincitore del dibattito è stato probabilmente Tebet, che ancora una volta si è opposto alla polarizzazione, mentre Ciro Gomes è ripetutamente inciampato e si è alienato parte della sua restante base elettorale apparendo vicino a Bolsonaro. Negli ultimi giorni sono aumentati anche i timori che Tebet o Gomes potessero impedire a Lula di ottenere una vittoria al primo turno.
Successi di destra
Il 2 ottobre sono stati espressi oltre 123 milioni di voti, dei cui circa 5 milioni di schede nulle o non valide. Gli allarmi di Bolsonaro su irregolarità di massa e caos elettorale si sono rivelati infondati. A parte occasionali incidenti isolati, come il caso di un uomo che ha incollato le chiavi di una macchina per il voto per impedire che potesse funzionare, non è successo nulla, sebbene gli osservatori abbiano notato file più lunghe del solito nei centri metropolitani.
In effetti, Bolsonaro ha avuto poche ragioni di preoccuparsi di irregolarità, immaginarie o meno, poiché la sua prestazione superava di gran lunga quella prevista nei sondaggi. La sperata vittoria al primo turno di Lula non si è concretizzata e il presidente in carica ha superato le aspettative in quasi ogni singolo stato. Se Lula ha comunque superato il suo rivale, assicurandosi un sano vantaggio del 4% con un totale di 57,2 milioni di voti contro i 51 milioni di Bolsonaro, la prestazione del presidente uscente è stata una sorpresa per molti.
Al di là della sfida per la presidenza, la giornata è stata una vittoria per l’estrema destra. Dei ventisei stati brasiliani più il Distretto Federale, i candidati bolsonisti dei partiti di destra – liberali, progressisti e repubblicani – si sono assicurati quattro governatorati al primo turno, con un grande vantaggio nella corsa al secondo turno in altri quattro, compresa la popolosa San Paolo.
Laddove i partiti pro-Bolsonaro non hanno vinto, di solito si sono piazzati al secondo posto dopo i partiti di tendenza conservatrice, come l’Mdb di Tebet, l’Unione brasiliana o i socialdemocratici. Questi partiti hanno ottenuto cinque vittorie al primo turno, incluso il Distretto federale, e sono i primi al secondo turno in altri tre. A Minas Gerais, l’uscente Romeu Zema – l’unico governatore eletto dal Nuovo Partito libertario – si è assicurato la rielezione con una valanga di voti.
Tra i restanti dieci stati, il Pt di Lula ha vinto solo nel nord-est del Brasile, dove è sempre stato forte. In quella regione, i candidati del Pt hanno ottenuto tre governatorati al primo turno e sono i primi per altri due, tra cui Bahia. Restano cinque stati: il partito centrista Solidarnosc ne ha preso uno ed è il favorito in un altro, mentre il Partito socialista di sinistra guida gli altri tre al secondo turno.
Questo lascia il Pt con un minimo di tre o, nella migliore delle ipotesi, sei governatori e pochissimi possibili alleati. Al Senato, i partiti bolsonaristi hanno eletto quattordici senatori su ventisette, con i partiti conservatori che hanno ottenuto altri sette seggi. Per quanto riguarda i membri del Congresso federale, statale e locale, i risultati sono ancora in fase di conteggio ma non sembrano favorevoli alla sinistra.
L’ultima resistenza di Bolsonaro
La vittoria di Lula al primo turno è sempre stata una speranza, mai un risultato garantito. Il suo margine di vantaggio su Bolsonaro rimane considerevole e, con Gomes e Tebet fuori al secondo turno, la matematica elettorale è dalla sua parte.
Tuttavia, molte cose possono succedere da qui al 30 ottobre, quando il Brasile deciderà una volta per tutte il suo prossimo presidente. Con la destra così rafforzata, Bolsonaro può contare su un notevole sostegno per attaccare la campagna di Lula. La disinformazione e le minacce sono sempre state strumenti di routine del bolsonarismo, e ora che il divario non è insormontabile, il presidente uscente farà probabilmente uso di tutti i suoi trucchi.
Se Lula trionfa ancora, ci sarà la questione della legittimità. Bolsonaro si troverà nella posizione perfetta per contestare il risultato elettorale se dovesse perdere con un piccolo margine al secondo turno, cosa del tutto possibile dopo il ribaltamento di domenica. Il presidente potrebbe non avere il supporto degli elementi chiave necessari a un colpo di stato completo, ma la sua fervente base, certa della vittoria del leader, potrebbe rivelarsi una forza pericolosa. Con lo spettro della rivolta di Capitol Hill del 2021 ancora incombente su molte democrazie occidentali, la possibilità che Bolsonaro provi qualcosa di simile pare evidente.
Infine, supponendo che Lula si assicuri la vittoria e possa entrare in carica senza impedimenti, è evidente che il presidente dovrà affrontare il Congresso più ostile nella storia della sua carriera. Lula, politico di sinistra che non può più essere eletto solo grazie al sostegno della sinistra, potrebbe ritrovarsi incapace di governare anche dal centro, bloccato in una democrazia conservatrice che sta diventando ogni giorno più conservatrice e meno democratica. Anche se Lula vincesse comodamente il 30 ottobre, è urgente una mobilitazione sociale che possa aprire nuovamente lo spazio democratico in Brasile.
*Olavo Passos de Souza sta facendo un dottorato in storia alla Stanford University. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.