Angola : les enfants des rues de Luanda, visages d’un pays miné par les inégalités
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19 Settembre 2022Nel 2009, dopo che una profonda recessione aveva scatenato una tempesta di licenziamenti e pignoramenti, il New York Times ha chiesto a Barbara Ehrenreich di scrivere una serie di articoli sulla povertà negli Stati uniti. Ehrenreich ha visitato Los Angeles, dove le ho fatto conoscere comunità, gruppi di difesa dei diritti degli affittuari e organizzatori di sindacati. Si è anche recata a Detroit, Dallas, Baltimore, Saint Louis, Racine, Wisconsin, Wilmington, Delaware, e New York, mettendosi in contatto con persone dal reddito basso oltre che con ricercatori sulla povertà e attivisti. Quando è tornata a casa in Virginia, mi ha mandato una mail: «Sono pronta a rivedere i miei appunti e capire a che punto sono. Mi sento un po’ schiacciata, ma il mio livello di rabbia sta salendo, quindi devo sbrigarmi a inventarmi qualcosa».
Tirando le somme si è resa conto che era la composizione della povertà che stava cambiando. In quattro eccezionali articoli (Is It Now a Crime to Be Poor?, The Recession’s Racial Divide, Too Poor to Make the News, e A Homespun Safety Net) ha descritto i due gruppi di statunitensi che vivevano di stenti e in povertà: la classe media che tendeva a impoverirsi e coloro che erano già poveri prima della recessione economica e le cui condizioni erano peggiorate significativamente. Ma Ehrenreich ha anche notato un crescente movimento tra i poveri e i loro alleati in opposizione all’indifferenza statunitense verso la povertà, e la presenza di una scarna rete di sicurezza.
La sua testimonianza rifletteva le due colonne portanti della sua visione del mondo: l’oltraggio e la speranza. Era una fune sottile su cui Ehrenreich – morta d’infarto il primo settembre 2022 a ottantuno anni in un ospizio di Alexandria, in Virginia – ha camminato per la maggior parte della sua vita.
Il lato oscuro della ricchezza
L’articolo sul necrologio del New York Times chiamava Ehrenreich una «Esploratrice del Lato Oscuro della Prosperità». È vero che, come molti altri reporter solleva-scandali e riformatori radicali, Ehrenreich ha messo a nudo il lato oscuro «e umano» della disuguaglianza, dell’ingiustizia e dell’inutile sofferenza degli Stati uniti. Ma non faceva soltanto critica sociale lanciando granate retoriche dalle retrovie. Era anche un’attivista che ha saputo trasformare la propria rabbia bruciante in azione.
Ehrenreich è stata in prima linea in tutte le lotte progressiste della sua vita: diritti dei lavoratori, femminismo, anti-militarismo, diritti civili e socialismo democratico. Ha lottato contro l’ingiustizia con la sua scrittura abbondante, con molti discorsi e con una grande partecipazione in questi movimenti. Ha osato immaginare un mondo migliore – a breve e a lungo termine.
Ehrenreich ha scritto ventitré libri, alcuni dei quali raccolte di suoi saggi, dei suoi editoriali e di reportage investigativi per pubblicazioni come il New York Times, Time e Harper’s. A renderla famosa è il suo libro del 2001, Una paga da fame. Come (non) si arriva a fine mese nel paese più ricco del mondo (Feltrinelli), che tratta dei lavoratori in povertà.
La sua verve, il suo sarcasmo pungente, la sua irriverenza tagliente, e il suo idealismo sempre presente rendevano più facile per il lettore comune accettare, o almeno prendere sul serio, il punto di vista di sinistra di Ehrenreich sull’economia, sui sindacati, sui diritti delle donne, sulle grandi imprese e sulla politica. Faceva in modo che le sue idee radicali suonassero di buonsenso.
Aveva ereditato l’orgoglio operaio dei genitori e il sospetto verso le élite dei potenti. Ehrenreich è nata Barbara Alexander il 26 agosto 1941, figlia di Isabelle Oxley e Ben Howes, a Butte, in Montana, che ha descritto come una «città di minatori molto viva, rissosa, di tute blu».
Sua madre, casalinga, veniva da una famiglia di minatori. Come delegata sostituta al convegno del Partito democratico del 1964, ha partecipato alla protesta per la Libertà del Mississippi (Mississippi Freedom Democratic Party) che ha cercato di destituire la delegazione segregata di quello stato.
Suo padre, un minatore di rame di terza generazione, è riuscito a sfuggire a quel lavoro estenuante studiando alla Scuola dei Minatori dello Stato del Montana (più tardi chiamata Montana Technological University) e poi all’Università Carnegie Mellon, giungendo a diventare dirigente anziano alla Gillette Corporation. Mentre il padre inseguiva educazione e carriera, la famiglia si è spostata spesso, dal Montana alla Pennsylvania, New York, Massachusetts, e infine Los Angeles. Più tardi i suoi genitori hanno divorziato.
In un’intervista con C-SPAN, Ehrenreich ha descritto i suoi genitori come «forti sindacalisti». Avevano due regole salde, ricordava: «Non attraversare mai una linea di picchetto e non votare mai per i Repubblicani».Quando ero bambina», ha detto al New York Times,
andavo a scuola e dovevo decidere se i miei genitori fossero le persone cattive di cui parlavano, parte del Pericolo Rosso di cui si leggeva nel Weekly Reader, solo perché mia madre era una Democratica liberale che parlava sempre di ingiustizia razziale.
Nella sua raccolta di saggi del 1990, The Worst Years of Our Lives, ha descritto suo padre, che soffriva di Alzheimer ma la cui memoria politica rimaneva acuta. Durante la visita medica fattagli da un neurologo, gli veniva chiesto il nome del presidente degli Stati uniti. Come racconta Ehrenreich, «Spalancava i suoi occhi blu con incredulità, sorpreso dall’ignoranza del neurologo, e poi sbuffava con maestosa indignazione, ‘Reagan, quel deficiente figlio di puttana’».
Ehrenreich ha conseguito la laurea in chimica fisica al Reed College nel 1963, e poi un dottorato in immunologia cellulare alla Rockefeller University nel 1968. Ha abbandonato subito la carriera nelle scienze per la scrittura e per l’attivismo. Nel 1969 lei e il suo primo marito, John Ehrenreich, uno psicologo clinico che aveva conosciuto nel movimento antimilitarista, hanno scritto Long March, Short Spring (, un resoconto della ribellione studentesca contro la guerra in Vietnam. Ehrenreich ha sfruttato il suo background scientifico per i suoi primi lavori sull’assistenza sanitaria, diventando poi una critica importante della sanità privatizzata e degli abusi di ospedali e dottori sulle donne.
Nel 1969 ha lavorato per una piccola organizzazione no-profit, il Centro di consulenza sulla politica sanitaria (Health and Policy Advisory Center) che spingeva per un’assistenza sanitaria migliore per le persone con un reddito basso. Ehrenreich scriveva pezzi d’inchiesta per il bollettino mensile dell’organizzazione, alcuni dei quali sono stati poi inclusi nel libro di cui è stata coautrice The American Health Empire: Power, Profits, and Politics del 1971.
La nascita della sua prima figlia, Rosa, in una clinica pubblica a New York nel 1970, ha cambiato la percezione di sé di Ehrenreich. «Ero l’unica paziente bianca nella clinica», ha spiegato al Globe and Mail, un giornale canadese, nel 1987,
e mi sono resa conto che l’assistenza sanitaria che le donne ricevevano era quella. Mi hanno indotto il travaglio perché era sera tardi e il medico voleva tornare a casa. Ero furiosa. Quell’esperienza mi ha fatto diventare una femminista… La cura prenatale che ho ricevuto in una clinica di ospedale mi ha mostrato che anche chi ha un dottorato non è immune dalle forme più disgustose di sessismo.
Nei primi anni Settanta, la competenza di Ehrenreich in materia di sanità si è unita al suo femminismo. Il suo volantino del 1972 (scritto con Deirdre English) Witches, Midwives, and Nurses: A History of Women Healers [Streghe, Ostetriche, e Infermiere: Una Storia di Donne Guaritrici] è diventato un manifesto del nascente movimento per la salute delle donne. A questo è seguito Complaints and Disorders: The Sexual Politics of Sickness [Lamentele e Disturbi: Le Politiche Sessuali della Malattia] del 1977, e For Her Own Good: One Hundred Fifty Years of the Experts’ Advice to Women [Per il Suo Bene: Centocinquant’anni di Consigli degli Esperti per le Donne] del 1989, che hanno contribuito a diffondere l’idea che il sistema sanitario controlla le scelte delle donne mistificando la presunta competenza dei medici (prevalentemente maschi). Nel 1971 Ehrenreich è diventata assistente universitaria di scienze sanitarie nella State University di New York, Old Westbury, ma ha lasciato il posto dopo tre anni per dedicarsi completamente alla scrittura e all’attivismo.
Nel 1980 Ehrenreich ha condiviso il premio National Magazine con i colleghi di Mother Jones per l’eccellenza nel giornalismo, per l’articolo di copertina The Corporate Crime of the Century, che trattava «ciò che succede dopo che il governo degli Stati uniti interdice al mercato interno un farmaco, un pesticida o qualche altro prodotto pericoloso e poi il produttore vende quello stesso prodotto, spesso con l’appoggio diretto dell’ufficio affari esteri, a tutto il resto del mondo». Tra il 1994 e il 1998, Ehrenreich è stata un’editorialista regolare per la rivista Time. Dopo è uscita la sua opera più famosa: Una paga da fame.
Non arrivare a fine mese
Nel 1998 Ehrenreich ha iniziato a scrivere il suo progetto più ambizioso e conosciuto, accettando una serie di lavori a basso salario per osservare come facessero gli americani che si trovavano in fondo all’economia a sopportare la povertà protratta. L’idea è nata durante un costoso pranzo in un ristorante americano nouveau con l’editore di Harper’s Lewis Lapham, che l’ha incoraggiata ad andare «sotto copertura» per mettere in crisi gli stereotipi sui poveri.
Il progetto l’ha condotta a Key West, in Florida, dove ha fatto la cameriera; a Portland, nel Maine, dove ha sfacchinato come aiuto nutrizionista in una casa di cura e come domestica per un servizio di pulizie; e a Minneapolis, in Minnesota, dove ha lavorato come commessa a Walmart.
Ehrenreich ha delineato alcune regole che lei stessa doveva rispettare: non poteva appoggiarsi né alla propria educazione né alla scrittura per ottenere il lavoro, doveva accettare il lavoro con la paga più alta che le veniva offerto e trovare la sistemazione più economica che ci fosse. Il suo obiettivo non era soltanto provare sulla propria pelle la povertà, ma anche fare dei conti: come lavoratrice a basso salario, poteva effettivamente sbarcare il lunario?
Si potrebbe credere che i lavori non qualificati siano una sciocchezza per qualcuno con un dottorato e la cui occupazione normale richiede che impari cose completamente nuove ogni due settimane. Non è vero. La prima cosa che ho scoperto è che nessun lavoro, non importa quanto umile, è veramente ‘non specializzato’.
Guadagnava circa metà di un salario minimo, e non riusciva a immaginare come si potessero mantenere dei figli o pagare le spese mediche con i 7 dollari all’ora o giù di lì che prendeva. Il suo articolo del 1999 per Harper’s su quelle esperienze le è valso un premio Sidney Hillman ed è diventato un capitolo del suo libro, Una paga da fame, pubblicato nel 2001. Ha osservato:
Ciò che mi ha sorpresa e offesa di più riguardo al lavoro sottopagato era la misura in cui una persona è costretta ad abbandonare diritti civili di base e amor proprio. Questo l’ho imparato all’inizio del mio turno da cameriera, quando mi hanno avvertita che la dirigenza poteva perquisire la mia borsa in qualsiasi momento. Non avevo saliere rubate né altre cose compromettenti, ma comunque, c’è qualcosa nella prospettiva di una perquisizione della borsa che fa sentire una donna un po’ svestita.
Il libro ha subito toccato un tasto dolente. Cinque anni prima il presidente Bill Clinton e il Congresso repubblicano avevano messo in atto la cosiddetta riforma del welfare, restringendo l’assistenza familiare per le donne e i bambini e spingendo molti dei precedenti beneficiari del welfare sul mercato del lavoro. Dopo qualche anno, molti economisti e politici avevano celebrato il piano come un grande successo, sottolineando la drammatica riduzione delle richieste di sussidio.
Ma altri hanno notato che nonostante il numero di persone che usufruivano del welfare fosse diminuito, la riforma del welfare non aveva fatto molto per ridurre il tasso di povertà, perché moltissime di queste persone finivano incagliate in lavori a basso salario, di solito senza assicurazione sanitaria – peggio di come stavano prima.
Una paga da fame è stato nella classifica dei best-seller del New-York Times per più di cento settimane e ha venduto più di un milione e mezzo di copie. Molte università hanno incluso il libro nei propri corsi. Un piccolo ma rumoroso gruppo ha sollevato delle obiezioni sul libro. Nel luglio 2003, per esempio, i conservatori del North Carolina hanno acquistato una pubblicità a tutta pagina sul giornale Raleigh News & Observer lamentando che agli studenti della University of North Carolina fosse richiesto di leggere «una classica invettiva marxista» che «intavola un’aggressione completa contro i cristiani, i conservatori e il capitalismo». Ma altre facoltà, studentesse, studenti e politici hanno usato il libro per spingere per un aumento del salario minimo.
Ancora nel 2010, Una paga da fame restava nella classifica annuale dell’American Library Association dei dieci libri attaccati con maggior frequenza – libri che alcuni americani cercavano di togliere dagli scaffali delle biblioteche e dalle liste di lettura delle scuole.
Per molti statunitensi, inclusi i miei studenti e studentesse, Una paga da fame è stata un’illuminazione. Studenti benestanti hanno fatto esperienza, pur di seconda mano, attraverso la prospettiva di Ehrenreich e dei suoi compagni lavoratori, della dura realtà del lavoro con un salario di povertà e della vita sull’orlo di un precipizio economico ed emotivo. Per gli studenti poveri, il libro è stato utile per capire che la sofferenza delle loro famiglie non è il risultato di un fallimento personale ma della società.
Una paga da fame non era un manuale di sindacalizzazione, ma la sua narrazione profondamente umana dell’ingiustizia ha ispirato molti lettori e lettrici – tra cui alcuni dei miei studenti – a diventare attivisti e persino a cercare occupazione nell’organizzazione sindacale. In molti modi, Una paga da fame somigliava a due rappresentazioni precedenti della povertà in mezzo alla ricchezza che hanno toccato la coscienza della nazione: L’altra America (1962) di Michael Harrington, e Savage Inequalities di Jonathan Kozol del 1991. Ciò che rendeva Una paga da fame diverso era, però, l’immersione in prima persona di Ehrenreich nel mondo dei lavoratori indigenti e la sua descrizione di persone diligenti, capaci, e piene di risorse che si guadagnavano la povertà sul lavoro. Rifiutandosi di vederle come vittime indifese, Ehrenreich ha dato loro una voce per esprimere le loro frustrazioni ed esporre l’ingiustizia della società.
Una paga da fame ha aiutato ad alterare l’immagine che la nazione aveva della disuguaglianza e della povertà. In numero sempre maggiore, gli americani si sono resi conto che la maggioranza di adulti poveri e perfino molti senzatetto percepivano stipendi, e non sussidi. Già nel 2001 i sondaggi rivelavano che la maggior parte degli statunitensi voleva alzare il salario minimo federale. Inoltre, campagne locali per un salario minimo e crescenti proteste contro Walmart (il più grande datore di lavoro di persone a salario basso della nazione) riflettevano il cambiamento dell’opinione pubblica che Una paga da fame ha contribuito a formare, insieme a campagne per alzare gli stipendi di bidelli, lavoratori dei fast-food e dipendenti di hotel. La classe media impoverita e la proliferazione di lavori a salario di povertà sono la ragione per cui un sondaggio recente di Gallup mostra che il 71 percento degli americani supporta i sindacati – la percentuale più alta dal 1965. Aiuta anche a spiegare l’ondata recente di organizzazione sindacale – tra i lavoratori dei magazzini di Amazon, i baristi di Starbucks, i giocatori di Baseball delle serie minori, e altri dipendenti a salario basso.
«Molta gente si congratulava con me per il mio coraggio nel fare una cosa simile – al che potevo solo rispondere: milioni di persone fanno questo tipo di lavoro tutti i giorni per tutta la vita, non le avete notate?», ha detto durante il discorso di accettazione del premio Erasmus 2018 per il suo giornalismo investigativo. Per assicurarsi che queste persone fossero notate, Ehrenreich ha fondato nel 2012 l’Economic Hardship Reporting Project [Progetto di Reportage delle Difficoltà Economiche], che incentiva i giornalisti indipendenti a scrivere delle vite dei poveri, soprattutto quelli nelle zone rurali.
Fare buon uso delle sue idee
Il reportage economico di Ehrenreich non si concentrava esclusivamente sui poveri. Nel 2008 ha pubblicato This Land is Their Land: Reports From a Divided Nation [Questa Terra è la Loro Terra: Testimonianze da una Nazione Divisa], che trattava del crescente divario tra i più ricchi della nazione e tutti gli altri. Tre anni dopo, il movimento Occupy Wall Street è esploso nel paese. Anche dopo la fine delle occupazioni, il suo slogan – l’1 percento e il 99 percento – ha acceso l’immaginazione della nazione e contribuito a scatenare una nuova ondata di attivismo.
Come molti statunitensi di classe media, radicalizzati dai movimenti per i diritti civili, antimilitaristi e femministi, Ehrenreich puntava a trovare modi in cui la sinistra colta potesse sfidare il sistema classista e razzista americano in quanto lavoratori – come insegnanti, assistenti sociali, programmatori, avvocati, amministratori di organizzazioni no-profit, membri del personale di fondazioni, e giornalisti – da dentro al sistema. In un articolo del 1977 per Radical America, ha coniato con John Ehrenreich l’espressione «classe professionale-dirigenziale» (Pmc) per indicare il numero crescente di «lavoratori intellettuali salariati» divisi tra la classe operaia e l’élite aziendale. Come era possibile, si chiedevano, impiegare le competenze della Pmc al servizio dei movimenti verso lo smantellamento dei sistemi di oppressione?
A Ehrenreich non interessava far sentire in colpa la gente o spingerla ad abbandonare il proprio privilegio. Al contrario, incoraggiava le persone a usare i propri talenti e le proprie posizioni per supportare i movimenti guidati dalle persone povere e di classe operaia.
Ma dopo meno di un decennio, anche molti americani istruiti stavano subendo forme di incertezza finanziaria. Nel suo libro del 1989, Fear of Falling: The Inner Life of the Middle Class ha esaminato le ansie e l’insicurezza della classe media professionale, sempre a rischio di scivolare in basso lungo la scala salariale. Dopo aver scritto Bait and Switch: The (Futile) Pursuit of the American Dream [Lo Specchietto per le allodole: la corsa (inutile) all’American Dream], sui colletti bianchi, ha dato vita con l’aiuto del Sindacato Internazionale dei Dipendenti Pubblici [Service Employees International Union] a un’organizzazione chiamata Professionisti Uniti [United Professionals] per spingere per maggiori benefici per i colletti bianchi, oltre a una legislazione legata alla discriminazione per l’età, ai licenziamenti e alla sottoccupazione.
In un’intervista del 2020 con In These Times, Ehrenreich ha parlato di come la classe professionale-dirigenziale abbia subito una trasformazione profonda. Abbiamo visto grandi fette della classe professionale-dirigenziale ridotte al livello della classe operaia», ha detto:
Questa è la grande lezione del movimento Occupy Wall Street. C’erano colletti blu senzatetto a fianco a studenti laureati che sapevano che non stavano andando da nessuna parte, o che avevano persino dei dottorati e non stavano andando da nessuna parte. Perciò c’è stata una grande retrocessione di professioni tradizionali della Pmc, come l’insegnamento universitario, che è per il 70 percento a contratto ormai.
I libri di Ehrenreich riflettevano i suoi svariati interessi, includendo scritti sulla mancanza di impegno degli uomini nelle relazioni (The Hearts of Men: American Dreams and the Flight From Commitment, 1987), le origini della guerra e l’attrazione dell’umanità verso la violenza (Riti di Sangue. All’origine della passione della guerra, Feltrinelli 1998), lo sfruttamento delle lavoratrici di tutto il mondo da parte delle aziende multinazionali (Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli 2004) l’impulso umano verso i festeggiamenti comunitari (Dancing in the Streets: A History of Collective Joy, 2007), e le sue esperienze di giovane precoce (Living With a Wild God: A Nonbeliever’s Search for the Truth About Everything, 2014).
Nel 2000 a Ehrenreich è stato diagnosticato un cancro al seno, e ha scritto un saggio per Harper’s, «Benvenuti nella terra del cancro», sulla «setta del cancro al seno» che, osservava, «è complice di un avvelenamento globale – normalizza il cancro, lo abbellisce, arriva fino a presentarlo, perversamente, come un’esperienza positiva e invidiabile». Le è valso un secondo Premio National Magazine.
La sua esperienza con il cancro al seno ha anche portato alla sua critica del movimento del «pensiero positivo» nella psicologia popolare, nella religione e nella salute, approfondita nel suo libro del 2009, Bright-sided: How Positive Thinking Is Undermining America [ Alla sprovvista: come il pensiero positivo sta indebolendo l’America]. Per me e molti altri lettori, questo libro è stato un monito che il cambiamento progressista avviene solo quando le persone sono in grado di valutare oggettivamente opportunità e svantaggi, tra cui il potere delle forze dell’opposizione, invece di restare invischiate in ciò che Ehrenreich chiama «ottimismo sregolato».
«Dobbiamo prepararci a lottare contro ostacoli terrificanti», ha scritto Ehrenreich, «causati da noi e imposti dal mondo naturale. E il primo passo è riprendersi dal miraggio collettivo del pensiero positivo».Lungi dall’essere paralizzante, questo punto di vista conferiva a Ehrenreich la forza di lottare per un mondo migliore. Per molti anni è stata co-presidente onoraria dei Democratic Socialist of America. Nei suoi libri, nei suoi editoriali, nei suoi discorsi, dirottava spesso i suoi lettori e ascoltatori verso organizzazioni comunitarie di gente comune, sindacati e gruppi femministi che lottavano per la giustizia sociale. È stata arrestata durante una manifestazione in supporto agli operai di Yale, ha partecipato a picchetti con lavoratori degli hotel e custodi, ha distribuito volantini per campagne per il salario minimo, ha protestato a favore dei diritti riproduttivi delle donne. Sul suo sito web, Ehrenreich postava articoli di attivisti che descrivevano le loro campagne organizzative.
«Se prendiamo sul serio la sopravvivenza collettiva davanti alle molteplici crisi in atto, dobbiamo costruire delle organizzazioni, comprese quelle esplicitamente socialiste, che possano mobilitare questa capacità, sviluppare una leadership e portare avanti lotte locali», ha scritto Ehrenreich per Nation nel marzo 2009 insieme a Bill Fletcher Jr. «E dobbiamo essere seri, perché le élite capitaliste che hanno diretto il mondo finora non meritano alcuna fiducia né rispetto, e noi – progressisti di tutti gli indirizzi – siamo ormai gli unici adulti in giro».
Nel 2016 e nel 2020 ha sostenuto le campagne presidenziali di Bernie Sanders. Ha spiegato: «È il candidato che mi rappresenta di più. È un socialista democratico». Ma quando Sanders non ha vinto ha sostenuto pubblicamente Hillary Clinton e Joe Biden. Biden e quasi tutti gli altri Democratici hanno ormai abbracciato la richiesta di Sanders e Ehrenreich di alzare il salario minimo – che è fermo a 7.25 dollari dal 2009 – a 15 dollari l’ora. A gennaio Biden ha emesso il decreto per cui i lavoratori federali e i dipendenti di appalti federali devono ricevere un salario minimo di 15 dollari, ma a causa dell’opposizione di tutti i Repubblicani e del senatore Joe Manchin, non è riuscito a costringere il Congresso ad adottare un aumento generalizzato. Due sondaggi dello scorso anno, del Pew Research Center e di Hart Research Associates, hanno rivelato che il 62 percento degli americani e lo stesso numero di elettori nei distretti congressuali decisivi è a favore di alzare il salario minimo a 15 dollari.
Nel dicembre 2016, un mese dopo la vittoria di Trump alle presidenziali, Ehrenreich ha espresso il timore che la sua opposizione all’aborto potesse prima o poi mettere in serio pericolo i diritti riproduttivi delle donne. Di base ci rimarranno solo delle grandi città in cui poter abortire», ha detto in quella che si è rivelata poi un’affermazione profetica.
In un’intervista del 2020 per il New Yorker, ha descritto la sua costante indignazione per l’indifferenza della nazione nei confronti degli americani della classe lavoratrice. Alla fine siamo molto vulnerabili negli Stati uniti», ha osservato. «Non solo perché abbiamo una rete di servizi sociali pressoché inesistente, ma perché non siamo pronti a nessuna emergenza, non abbiamo alcuna infrastruttura sociale».
Nonostante avesse rinunciato a una carriera formale nell’accademia, Ehrenreich resta comunque una prestigiosa intellettuale pubblica la cui opera ha avuto un’influenza rilevante sia sugli accademici che sui politici. Nessuno studioso nell’ultimo mezzo secolo – con l’eccezione di William Julius Wilson e Frances Fox Piven – ha avuto il suo stesso impatto sull’opinione pubblica e sulle politiche pubbliche riguardo alla povertà.
Oltre ai suoi due premi National Magazine e i suoi premi Sidney Hillman e Erasmus, Ehrenreich ha ricevuto anche la medaglia Freedom from Want [Libertà dal Bisogno] del Roosevelt Institute, che premia quelle opere che incarnano le Quattro Libertà di Franklin Delano Roosevelt, e il Premio Puffin/Nation per la Cittadinanza Creativa, elargito insieme dalla Fondazione Puffin e dal Nation Institute a un americano che sappia sfidare lo status quo usando «importanti opere originali, coraggiose, immaginative e socialmente responsabili». Io l’ho inclusa nel mio libro The 100 Greatest Americans of the 20th Century: A Social Justice Hall of Fame del 2012.
Ha insegnato all’Università di Brandeis e alla Scuola di Specializzazione per il Giornalismo dell’Università di California, a Berkeley. Ha ricevuto la laurea ad honorem dal Reed College, dalla State University di New York, dal College of Wooster in Ohio, dal John Jay College, dall’Università del Massachusetts a Lowell e dall’Università La Trobe a Melbourne in Australia.
Ehrenreich ha sposato John Ehrenreich nel 1966. Hanno avuto due figli e hanno divorziato nel 1982. Poi ha sposato Gary Stevenson, un dirigente del sindacato Teamsters, nel 1983; hanno divorziato nel 1993. Sua figlia, Rosa Brooks, è professoressa di legge alla Georgetown University, è stata senior adviser del vice segretario di stato per la democrazia, i diritti umani e il lavoro, è stata editorialista per il Los Angeles Times, ed è autrice di diversi libri di politica, diritti umani e politica estera. Così come sua madre aveva accettato numerosi lavori a salario basso come ricerca per Una paga da fame, Brooks è diventata una poliziotta giurata armata in riserva nel Dipartimento di polizia metropolitana di Washington, DC, per scrivere Tangled Up in Blue: Policing the American City del 2021. Il figlio di Ehrenreich Ben è un giornalista, saggista e romanziere che ha scritto per il New York Times, il Los Angeles Times, Nation, LA Weekly e Village Voice e ha scritto The Way to the Spring: Life and Death in Palestine del 2016 e Taccuini del deserto. Istruzioni per la fine dei tempi(Atlantide, 2020).
Annunciando la morte della madre, Ben Ehrenreich ha twittato: «Non era tipa da preghiere e pensieri, ma potete onorare la sua memoria amandovi a vicenda, e lottando fino alla fine».
*Peter Drier insegna scienze politiche all’Occidental College. È coautore di due libri, Baseball Rebels: The Players, People, and Social Movements That Shook Up the Game and Changed America e Major League Rebels: Baseball Battles Over Workers’ Rights and American Empire, pubblicati nell’aprile 2022. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Valentina Menicacci.