il saggio
di Mirella Serra
Chiuso, schivo e di poche parole, Gary Hemming fu uno dei primi beatnik che, quando capitava, dormiva sotto i ponti della Senna con indosso solo un maglione rosso e una sciarpa. Ma era soprattutto un valentissimo alpinista: divenne una celebrità nel 1966, quando salvò la vita a due scalatori tedeschi sul massiccio del Monte Bianco.
Nel 1969 si sparò un colpo di pistola durante una festa ad alto tasso alcolico sulle rive del lago Jenny, nel Wyoming: prima però aveva teorizzato i nuovi principi dell’arrampicata in un “manifesto” dove il primo “comandamento” recitava: «Non lasciare alcuna traccia di passaggio personale». Proprio così: già da allora il piccolo grande-eroe metteva in guardia dalla devastazione dell’ambiente montano dovuta all’incremento del turismo.
Hemming inaugurò l’ambientalismo ecologico diventando l’icona di una nuova generazione alpinistica e avviò l’era della «passione sublimante» per la conquista delle cime: così il filosofo Pascal Bruckner, nel suo libro La montagna come amica (in uscita per Guanda), ci spiega l’avvento dell’alpinismo moderno. Proprio negli anni Sessanta, infatti, prendeva avvio la «democratizzazione della neve», l’invasione di masse che, incapaci di darsi regole, offendevano flora, fauna e sacralità delle vette. Ma sempre in quel decennio, grazie all’esempio di Gary e non solo, diventava di moda l’alpinismo come sfida aristocratica ed elitaria, praticato dai più giovani che «non potendo diventare guerrieri, filibustieri o corsari» sublimavano nello sport le loro passioni.
Terminata l’era della pandemia, adesso le piste si ripopolano e l’orda con corde e piccozze, sci e snowboard si accinge a nuovi imponenti assalti all’alta quota per rifarsi dell’astinenza degli anni passati. Il travolgimento per la montagna riprende alla grande e il più discusso dei nouveaux philosophes ci mette in guardia: senza un ripensamento delle nostre modalità di approccio, senza fare attenzione ai delicati equilibri dell’ecosistema, la montagna rischiamo di distruggerla.
L’alta quota suscita in Bruckner, che ha dato al suo saggio il sottotitolo di Piccolo trattato sull’elevazione, una romantica tempesta di emozioni, sensazioni e brividi. Il filosofo però ama andare controcorrente e mette sotto accusa pure l’ecologismo più radicale che oggi va per la maggiore. La montagna per il pensatore ha rappresentato una personale forma di salvezza: classe 1948, è stato portato dai genitori in un kinderheim in Austria, per via di un principio di tubercolosi, e vi ha vissuto parecchio tempo. Questa lontananza dalla famiglia gli ha permesso di crescere lontano dal padre antisemita, nostalgico del Terzo Reich e violento con moglie e figli. Grazie ai suoi soggiorni in montagna ha conosciuto la libertà intellettuale.
Bruckner ora mette in luce i limiti di coloro che dovrebbero difendere monti e valli dall’approccio indiscriminato delle masse, cioè i moderni ambientalisti, e che invece finiscono per idealizzare cime innevate, crepacci e crinali. A fare danni è proprio il fondamentalismo ecologista che si nutre di paradossi e di ingenuità e che, in nome della riconquista di un originario stato di natura, avanza petizioni: come quella, per esempio, che l’anno scorso circolava a Parigi ma anche a Strasburgo per salvare i “nostri amici”, per tutelare dalla distruzione i ratti e gli acari.
In nome di un ritorno a un presunto stato originario e della tutela delle biodiversità, gli «attivisti della natura selvaggia» promuovono mobilitazioni di massa per ripopolare le nostre campagne, ad esempio, di lupi. In nome della sua tutela, su questo canide è stata promossa una campagna che lo ha descritto come innocuo e scagionato da tanti crimini. Al contrario, sostiene Bruckner, i lupi hanno da sempre attaccato gli umani, come dimostrano, per esempio, le cronache dei secoli scorsi di una Parigi che, in inverni particolarmente rigidi, era assediata da lupi che banchettavano con gli umani. Lo stesso discorso vale per linci, avvoltoi, stambecchi, mufloni, aquile, orsi e cinghiali le cui specie vengono coccolate e reintrodotte nell’ambiente per una coabitazione felice. Gli ecologisti oltranzisti si salvano l’anima e, illudendosi di proteggere il ritorno a una natura primigenia, incoraggiano la proliferazione di bestie che senza un’adeguata regolamentazione provocano danni e vittime.
Per il filosofo l’immagine della montagna oggi incarna dunque il simulacro delle più moderne contraddizioni, è una specie di simbolo della moderna società democratica che, attraversata da molteplici pulsioni, a volte riceve offese e vulnus proprio da chi sostiene di non volerla alterare e di volerla riportare alle condizioni originarie.
Il monito di Bruckner al termine di questa ascesa intellettuale è di coltivare un’idea di libertà in nome della tutela dell’alpinismo (e della società) attraverso leggi e regole riformulate di volta in volta e non invece di astratti principi ancestrali.