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di Marco Imarisio
Nessuno li piangerà, ma tutti penseranno alla più facile delle profezie che si è avverata. La storia della marcia su Mosca della Brigata Wagner e del suo golpe finisce così. Nel più prevedibile dei modi. Con una morte che raramente è stata più annunciata, quella di Evgenij Prigozhin, il sanguinario padrone della milizia mercenaria più grande del mondo che per ribellarsi allo smantellamento della sua creatura, aveva sfidato il suo amico ed ex protettore Vladimir Putin.
E solo oggi si capisce quanta disperazione ci fosse in quel gesto così estremo.
Perché se c’era una persona che conosceva bene il presidente russo, quella era proprio lui, l’ex galeotto ed ex venditore di hot dog cresciuto anch’esso nei vicoli di San Pietroburgo così importanti per la formazione personale dello Zar al quale doveva tutto. Sapeva quindi che c’era del vero in quel che sostenevano per una volta all’unisono gli osservatori russi e quelli occidentali, concordi, ognuno con formule diverse, nell’assegnargli ancora poco tempo in libertà, o in vita.
I media più vicini al Cremlino invocavano «punizioni esemplari», i talk show di propaganda che pochi mesi prima inneggiavano al «conquistatore di Bakhmut» e ai suoi uomini lo dipingevano come un traditore, oppure «un faccendiere dal passato criminale, un affarista losco», chiedendosi perché si trovasse ancora in libertà. «Prigozhin e i capi della Wagner dovrebbero essere decapitati», diceva il deputato di Russia Unita Andrey Gurulyov, ex militare considerato un fedelissimo del presidente. In Russia tutti sapevano che Putin non avrebbe mai potuto passare sopra uno sgarbo come quello che aveva subito davanti agli occhi del mondo intero. Ne sarebbe andata della sua immagine di Zar, di uomo che non lascia conti in sospeso, di leader che decide, e non subisce compromessi vischiosi come quello che sembrava aver siglato con Prigozhin per fermare la sua armata a duecento chilometri da Mosca.
La storia recente della Russia avrebbe dovuto insegnare qualcosa anche a lui. Ma forse il proprietario della Wagner si fidava, di sé stesso e di quel che restava del suo legame con Putin. Appena maggiorenne, era nato nel 1961, nove anni più giovane del futuro leader, viene arrestato per criminalità organizzata, furto, frode e sfruttamento della prostituzione minorile. Entra in carcere nel 1982 che è ancora vivo Leonid Brezhnev, esce nel 1990 quando l’Unione Sovietica è sul punto di collassare. I russi li ricordano come i terribili anni Novanta, ma per quelli come lui sono una opportunità. Comincia da una bancarella di hot dog in comproprietà con uno zio materno. Cinque anni dopo, con fondi ancora oggi ignoti, si mette in proprio, fondando la società di ristorazione Concord, che rimarrà sempre l’architrave del suo regno, e aprendo un ristorante dove spesso si presentano il sindaco di San Pietroburgo Anatolij Sobchak e il suo vice, un giovane Vladimir Putin. Quando quest’ultimo diventa capo del governo e poi presidente, i locali di Prigozhin vengono scelti per le cene ufficiali con i capi di Stato stranieri, da Jacques Chirac a George W. Bush. Si racconta che Putin apprezzasse il fatto che Prigozhin serviva spesso ai tavoli di persona. Fatto sta che nel 2009 la Concord ottiene l’appalto per le mense scolastiche delle più grandi città russe, e tre anni dopo quello in esclusiva per la fornitura di cibo all’Armata rossa. Miliardi di rubli, e il nomignolo di «chef di Putin».
Nel 2014, cambia tutto. A gennaio, Prigozhin fonda nella sua San Pietroburgo una Agenzia di ricerca su Internet che diventerà più famosa come «la fabbrica dei troll» che consentirà al Cremlino di fare avvelenare le acque del web fino ad influenzare le elezioni americane del 2016. In estate, durante l’invasione del Donbass, chiede invece al ministero della Difesa terreni per l’addestramento di «volontari» privi di legami con l’esercito ufficiale ma desiderosi di dare il loro contributo alla patria ovunque vi sia uno scenario di guerra. La milizia appena nata si chiamerà Wagner. È il nomignolo che si era assegnato il suo primo comandante, Dmitry Utkin, l’uomo che è sempre stato considerato l’anima del gruppo, l’ideologo che dispensava ricompense e punizioni feroci, l’ex ufficiale delle Forze speciali passato al settore privato, nazista dichiarato che due mesi fa era ritornato da una sorta di quiescenza per guidare di persona la cosiddetta marcia per la Giustizia. Si trovava anche lui sull’aereo precipitato nella zona di Tver. E se la morte di un uomo temuto ma non amato come Prigozhin ha un valore simbolico enorme agli occhi dell’Occidente, quella di Utkin potrebbe avere conseguenze maggiori all’interno della Russia, perché tra gli ultranazionalisti più fanatici il suo nome era davvero leggenda.
Questi diciotto mesi di guerra sono stati fatali a Prigozhin. Li ha vissuti sempre in pubblico, quasi a rivendicare un ruolo al quale sentiva di avere diritto. Dopo avere negato per anni di avere nulla a che fare con la sua creatura, il 7 maggio del 2022 registra un video nel quale si presenta indossando la mimetica dei suoi mercenari. È un crescendo continuo. Prima le esecuzioni in diretta dei disertori, i bollettini dal fronte, la propaganda fatta solo a suo nome, poi le tirate sempre più frequenti e virulente contro i «ladri e burocrati» del ministero della Difesa, «colpevoli» di essere troppo morbidi nei confronti di Kiev. La sua figura diventa sempre più ingombrante. All’inizio, in patria e fuori sono pochi coloro che prevedono uno scontro così brutale. Per la vicinanza a Putin, e soprattutto perché fatichiamo sempre ad ammettere che l’opposizione più forte al Cremlino è sempre arrivata da chi voleva più guerra, non da chi ne voleva meno. Ma infine è diventato evidente che la resa dei conti sarebbe comunque arrivata. Putin aveva deciso di sciogliere la Wagner. Lo scorso 23 giugno Prigozhin si è messo in marcia verso Mosca, sfidando in pubblico il suo Zar, facendolo sembrare debole non solo agli occhi del mondo, ma del suo popolo, cosa ben più grave e imperdonabile. Quel che è accaduto da allora fino a ieri sera ha poca importanza. Era solo questione di tempo.