Il Piano Matteo
18 Novembre 2023Malessere e politica
di Nicola Saldutti
Le immagini delle piazze d’Italia nel giorno dello sciopero dicono di un malessere che sarebbe un errore sottovalutare. Ma basta mettere in fila le dichiarazioni delle ultime settimane dei sindacati e del governo per registrare che i rapporti tra le parti sociali non vivevano una distanza così profonda da molti anni. Distanza legata al fatto che i sindacati ritengono di essere coinvolti dal governo soltanto a decisioni già prese, e dal fatto che il governo non risparmia parole forti, come quelle usate dal vicepremier Matteo Salvini nei giorni scorsi («Non abbiamo bisogno di scioperi, ma di correre e produrre»). Risultato, i toni di risposta di Maurizio Landini non sembrano lasciare molto spazio al dialogo. Eppure, le manifestazioni di ieri e quelle programmate per le prossime settimane da Cgil e Uil, non possono essere considerate solo una protesta. Sarebbe un errore. Arrivano dopo un periodo nel quale i prezzi sono arrivati a crescere del 12%. L’aumento del costo del denaro, con l’effetto sulle rate dei mutui. L’aumento delle bollette. Mentre secondo un rapporto dell’Istat le retribuzioni in Italia sono inferiori di 3.700 euro rispetto alla media dell’Unione europea. Il governo ha adottato misure per raffreddare l’inflazione, a cominciare dall’energia, è andato avanti sulla riduzione del costo del lavoro proprio per incrementare il potere d’acquisto delle famiglie. Sta avviando un piano di riforma fiscale per agevolare i redditi più bassi.
M a è evidente che i nodi da affrontare restano ancora lì e che dopo le proteste delle piazze è necessario riprendere il filo. Contano molto le frasi dei leader, naturalmente, ma contano anche i volti delle persone che ieri hanno sfilato, sono un termometro di una situazione che richiede uno sforzo maggiore, seppure in un contesto economico complicato, alla vigilia di un ritorno del patto di Stabilità che lascerà meno margini di manovra alla finanza pubblica. C’è un aspetto legato al diritto di sciopero, cartina di tornasole di un Paese che fa fatica a gestire in un corridoio di normalità il legittimo conflitto tra le parti. E che anche in questo caso vedrà il Tar nel ruolo (non sempre appropriato) di arbitro finale. Vale la pena ricordare che proprio quest’anno sono trascorsi 30 anni da quel protocollo sulla politica dei redditi firmato il 23 luglio 1993. Era un altro mondo, quello della concertazione. È trascorso un tempo così lungo che è diventata una voce della Enciclopedia Treccani. Nella quale si legge: «Le esperienze più rilevanti di politica dei redditi si ebbero nel 1984 con la modificazione del meccanismo della scala mobile e nel 1993 con il protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo, con il quale imprese, sindacati e governo sottoscrissero un accordo in più punti che rappresenta il primo sistematico intervento di tipo istituzionale». Un protocollo che lavoratori e lavoratrici approvarono con il 67% dei voti. Da allora è accaduto di tutto, compresa la difficoltà delle parti sociali di legittimarsi a vicenda. Eppure, se si vuole riprendere il sentiero della crescita è difficile riuscirci nel conflitto. Sarà dunque decisivo anche il ruolo di chi si prepara a guidare la Confindustria nei prossimi quattro anni.
Mentre le piazze erano ancora piene. la ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha scelto toni che aprono la strada a qualcosa di diverso («Sciopero legittimo, non preclude il dialogo»). I dossier sono chiari a tutti: potere d’acquisto, capitale umano, attrazione di investimenti, occupazione, parità di genere. Le condizioni per arrivarci sono più difficili, ma il rischio è che il conto continui a pagarlo il Paese.