Il potere e la verità si fanno una guerra spietata e reciproca, da Socrate in poi. In fondo l’infelice convegno organizzato dall’Ucei al Cnel nei giorni scorsi si può leggere così: un (marginalissimo) episodio di questo conflitto.
Che il potere faccia la guerra alla verità, è ciò che comprendiamo tutti. Lo sappiamo da sempre, non solo in questo periodo in cui persino l’evidenza di un genocidio viene sovvertita dal discorso del potere. Meno spesso ricordiamo che dire la verità è quasi sempre un atto di coraggio – ne sa qualcosa Sigfrido Ranucci.
Un grande filosofo, nella sua fase più ispirata, ci ha ricordato che il compito dell’intellettuale è questo: dire la verità di fronte al potere che la nega. Ci vuole coraggio a scegliere la verità contro il potere, specie in tempi in cui al potere interessa negare ogni discorso che non sia il suo. Pensavo a tutto questo in questi giorni, mentre cercavo di darmi una risposta sul movente politico delle posizioni espresse dalla ministra Eugenia Roccella: a cosa serve sganciare l’antisemitismo dal fascismo?
Proibire la verità
La risposta più immediata è ormai nota. Il fantasma dell’antisemitismo viene agitato dai nuovi governi autoritari: che possono dar luogo a politiche illiberali, non rispettare i diritti fondamentali, perseguitare minoranze di qualunque genere, bombardare bimbi e donne con la scusa degli effetti collaterali, alla sola condizione che difendano il governo Netanyahu.
La sorveglianza contro l’antisemitismo diventa non ciò che è sempre stato – una bussola universale per tenere a distanza tutto ciò che somiglia a una persecuzione di popoli interi fondata sulla negazione dell’attributo di umanità – ma il dispositivo di legittimazione di nuovi progetti autoritari. Che si autodefiniscono democratici non perché rispettano i diritti umani ma perché proibiscono per legge (è quello che vuole fare Maurizio Gasparri, no?) di dire la verità, se questa verità è scomoda e riguarda nientedimeno che le politiche del governo israeliano.
Difendere le università
Ma c’è anche una risposta meno immediata. Che si intuisce nel passaggio in cui Roccella dalla questione dell’antisemitismo passa all’ossessione nei confronti delle università. «Luoghi di non-riflessione», così le definisce.
Ora, su una cosa sono d’accordo: le università non godono di buona salute e un professore universitario ha in effetti sempre meno spazio per riflettere, se pure ne ha ancora voglia, costretto com’è a barcamenarsi tra le esigenze delle imprese che impongono i contenuti della sua ricerca e le annunciate riforme che stanno per mettere le università sotto il diretto controllo governativo (vi ricorda qualcosa? A me sì).
Eppure, se c’è ancora qualcosa che mi fa essere orgoglioso di essere parte di quel mondo, è proprio ciò che scandalizza Roccella: il fatto che dentro le università ci sia qualcuno che osa esercitare il coraggio della verità. Ecco, uno dei segreti della democrazia è che le riflessioni non sono tutte uguali: ci sono quelle che servono a giustificare il discorso del potere e quelle che servono a dire la verità contro il potere.
Che le università attacchino i governi, è sempre segno di democrazia. Che i governi attacchino le università non è invece che un segno di quanto la guerra tra potere e verità sia uno dei tavoli fondamentali su cui gioca il nuovo ordine autoritario che si sta imponendo.
Guerra contro la memoria
C’è un ultimo punto che vorrei sottolineare. La lezione dell’antisemitismo serviva anche a questo: a ricordare che uno dei modi attraverso cui si può arrivare a negare l’umanità di un popolo è la progressiva persecuzione di coloro che hanno il coraggio della verità, fino al punto di lasciar parlare solo il discorso del potere.
L’antisemitismo è stato anche questo: una guerra contro la memoria, un progressivo scivolamento verso un regime di potere che ha negato l’evidenza della verità. E il prezzo che si paga, quanto il potere annienta il coraggio della verità, è molto molto alto. Non lo dico io, ma uno che – almeno lui – non credo possa essere tacciato di essere antisemita.
Si chiamava Primo Levi: «L’intera storia del breve “Reich Millenario” può essere riletta come guerra contro la memoria, falsificazione orwelliana della memoria, falsificazione della realtà, fino alla fuga definitiva dalla realtà medesima. Tutte le biografie di Hitler, discordi sull’interpretazione da darsi alla vita di quest’uomo così difficile da classificare, concordano sulla fuga dalla realtà che ha segnato i suoi ultimi anni, soprattutto a partire dal primo inverno russo. Aveva proibito e negato ai suoi sudditi l’accesso alla verità, inquinando la loro morale e la loro memoria; ma, in misura via via crescente fino alla paranoia del Bunker, aveva sbarrato la via della verità anche a se stesso. Il suo crollo non è stato soltanto una salvazione per il genere umano, ma anche la dimostrazione del prezzo che si paga quando si manomette la verità».