L’orrore in giardino le vite sdoppiate di quei ragazzi senza legge né tormenti
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21 Settembre 2024
di Ernesto Galli della Loggia
La colonizzazione ebraica in Palestina degli anni tra le due guerre — era la prima volta che gruppi consistenti di ebrei si dedicavano all’agricoltura — avvenne in concomitanza (e probabilmente anche in qualche relazione) con il fenomeno analogo che si ebbe per qualche tempo nell’Urss. Il cuore del libro di Israel Joshua Singer, fratello maggiore del ben più noto Isaac Bashevis (La nuova Russia, traduzione di Marina Morpurgo, con una nota di Francesco M. Cataluccio, a cura di Elisabetta Zevi, Adelphi, pp. 276, e 19) è per l’appunto un lungo viaggio compiuto nel 1926 dall’autore, inviato da un giornale yiddish di New York, tra i villaggi delle numerose cooperative agricole ebree sorte da poco in Ucraina e Bielorussia. Il lungo resoconto è per la verità piuttosto monotono e deprimente: in quasi tutti i villaggi dominano la scarsità delle attrezzature, la mancanza di bestiame, la miseria delle abitazioni, la fame. Anche il morale non appare particolarmente alto. Assai più vive e interessanti sono invece le osservazioni di Singer sull’atmosfera che vive la Russia degli ultimi tempi della Nep (la Nuova politica economica): all’insegna di una sorta di caos creativo diffuso nel quale c’è ancora una certa libertà, ancora si respira l’ottimismo della rivoluzione.
A dissipare tanti diffusissimi pregiudizi sul significato dell’Università e sul lavoro dei professori universitari giungono come una boccata d’ossigeno queste pagine di Luigi Einaudi ripubblicate ora insieme ad altri suoi scritti usciti su «La Rivoluzione liberale» di Piero Gobetti (Per «La Rivoluzione liberale». Scritti, prefazione di Francesco Perfetti, Aragno, pp. 120, e 18). A cominciare dall’affermazione secchissima che il principale motivo per cui lo Stato paga un docente universitario non è né deve essere quello di insegnare, bensì un altro: quello di studiare: perché così «egli scopre le verità nuove scientifiche, pure, da cui deriveranno col tempo applicazioni pratiche di gran momento; crea, con le ricerche storiche, filologiche e morali quell’ambiente avido di sapere in cui soltanto può formarsi una classe dirigente colta, capace di condurre una nazione a grandi destini». Se la ride a sentire simili cose la demagogia dominante, usa a invocare sempre lo scopo «pratico» dell’istruzione: inconsapevole però che le sue risa rischiano ormai di echeggiare tra le macerie.
In tempo di antimelonismo militante ecco un libretto prezioso che ha il valore di una specie di ripasso (o, se si preferisce, di memento) ricordandoci il precedente illustre dell’antiberlusconismo che fu (C’eravamo tanto odiati. Breve storia dell’antiberlusconismo, Il Mulino, pp. 125, e 11). Autore Andrea Minuz, docente universitario ma noto specialmente per i suoi brillanti articoli sul «Foglio». Rischiavamo di dimenticare la quantità di parole violente, di sciocchezze, di isterismi, di ridicole rodomontate («vado in esilio», «mi dimetto da italiano») in cui, come d’abitudine, eccelsero in quegli anni soprattutto i cosiddetti intellettuali, e che qui ritroviamo quasi increduli. Da ricordare un’osservazione di Aldo Grasso riportata da Minuz: «Con l’antiberlusconismo la politica diventa interamente televisiva. L’antiberlusconismo ha portato tutta la politica dentro la tv. C’è stato un momento in cui quasi ci si vergognava di fare programmi che non fossero in quel senso». Ho l’impressione che quel momento su certi canali duri ancora…
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