Un homme sans titre
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La guerra in Ucraina, i recenti flussi migratori dall’Est e quelli più antichi dal Sud del mondo, lo choc energetico, la crisi ambientale e la tenuta del tessuto sociale preoccu-pano i sindaci europei, fronte e frontiera di ogni allarme. In queste pagine i modelli di sviluppo dei primi cittadini di Bonn, Budapest, Firenze, Lodz, Málaga e Tampere. E poi di Londra e Strasburgo
Alessia Rastelli
«Tutti i cambiamenti oggi iniziano nelle città. Sono più vicine alle persone e in prima linea nelle crisi», dice Hanna Zdanowska, sindaca di Lodz, in Polonia. E ancora: «Se non ci fosse stata la rete delle città ad accogliere gli oltre sei milioni di ucraini arrivati in tutta Europa in fuga dalla guerra, sarebbe scoppiata una bomba sociale», osserva Dario Nardella, alla guida di Firenze. «Anche sul fronte pandemia — nota Anna-Kaisa Ikonen, sindaca di Tampere, in Finlandia — sono le città a gestire le misure necessarie». Inoltre, ricorda, «ai tempi dell’Accordo di Parigi sul clima, nel 2015, noi sindaci ci unimmo e spingemmo per quella firma». Non solo. «Le città devono essere i mattoni della nuova Europa», esorta Gergely Karácsony, sindaco di Budapest, capitale dell’Ungheria di Viktor Orbán, il premier interprete di una «democrazia illiberale». E Katja Dörner, al vertice di Bonn, in Germania, aggiunge che «le città sono indispensabili per una “Europa dei popoli”». Infine, nota Francisco de la Torre Prados, sindaco di Málaga, Spagna, «i consigli comunali sono la base della democrazia, come sosteneva Tocqueville».
Guerra e rifugiati, migrazioni, diseguaglianze, pandemia, rischio climatico ed energetico. In un momento di crisi simultanee destinate a segnare il dibattito anche nella ripresa dopo l’estate, i sindaci sono stati e saranno effettivamente la prima linea dell’emergenza. «La Lettura» ne ha sentiti otto (sei in questo articolo; quelli di Londra e Strasburgo nelle prossime pagine). Di vario orientamento politico, alla guida di realtà diverse per popolazione e collocazione geografica, testimoniano la difficoltà di questa fase ma anche il tentativo di farne un’occasione di cambiamento e di riflessione su come costruire la «città del futuro». Più spazi verdi e mezzi pubblici, edilizia a prezzi calmierati, no a «quartieri ghetto», uso del digitale, cittadinanza attiva, riduzione del divario con le aree rurali, alleanze tra le amministrazioni locali, coinvolgimento delle città nei tavoli decisionali e fondi direttamente dall’Unione europea, sono alcune tra le iniziative e proposte dei sindaci interpellati.
Tutti aderiscono a Eurocities, network di oltre 200 città che rappresentano circa 130 milioni di persone in 38 Paesi (dell’Ue, europei fuori dall’Ue, incluse Armenia, Georgia e Turchia). E che, dal 1986, mette in collegamento gli amministratori e ne stimola la collaborazione e la condivisione di istanze e progetti. Ne sarà presidente, fino al termine del 2023, il sindaco Nardella. Proprio alla testa di una delegazione di Eurocities, il 19 agosto ha incontrato a Kiev il premier Volodymyr Zelensky e, alla sua presenza, ha siglato un accordo tra la rete europea e il Congresso delle autorità locali e regionali ucraine per la ricostruzione delle città nel Paese invaso.
Guerra e rifugiati
Collegata da Lodz, dà il via alla riflessione la sindaca Hanna Zdanowska. Nata nel 1959, è esponente di Piattaforma civica, formazione che nel Parlamento europeo aderisce al Partito popolare, all’opposizione in Polonia del premier ultraconservatore Mateusz Morawiecki. Si parte da una tra le questioni più urgenti che il suo Paese, e la sua città, stanno affrontando. «Dal giorno dell’invasione russa — racconta — oltre centomila rifugiati sono arrivati dall’Ucraina nella nostra città», terzo centro della Polonia, circa 660 mila abitanti prima della guerra. «Lodz è da sempre multiculturale, stiamo facendo del nostro meglio per aiutare i profughi. La scelta non è di ospitarli in aree separate della città ma di integrarli. Fin dall’inizio molti cittadini li hanno accolti in casa, ora però dobbiamo fornire a queste persone un alloggio, un lavoro, insegnare loro la lingua, offrire un’istruzione ai bambini e curare gli anziani». Il problema sono i finanziamenti. «Finora abbiamo usato le donazioni e il fondo per le emergenze della città, che però si era già assottigliato a causa del Covid. Il governo nazionale ha concesso permessi temporanei a chi arriva dall’Ucraina e un’assistenza per i bambini e chi non può lavorare. Ma sono aiuti indirizzati ai rifugiati e non alle città, non ci sono sussidi per costruire nuove infrastrutture come scuole o asili nido». Zdanowska dice di aspettarsi un aiuto dall’Ue e di averne parlato con la commissaria alla Coesione e riforme Elisa Ferreira. «Ma è importante — sottolinea — che questi fondi arrivino direttamente alle città».
D’accordo sui fondi Ue che, anche in altri ambiti, dovrebbero essere elargiti direttamente alle città, il sindaco di Budapest Gergely Karácsony (1975), leader del partito ecologista e progressista Dialogo per l’Ungheria. Una posizione tanto più sentita visti i difficili rapporti con il governo di Orbán. «Sfortunatamente — ricostruisce il primo cittadino — non abbiamo potuto contare sull’esecutivo nazionale neanche per prenderci cura dei profughi. Non ha dato alcuna informazione o aiuto di altro genere alle amministrazioni locali. Nemmeno a Budapest, che pure è stata la più coinvolta dal momento che la maggior parte dei rifugiati è arrivata qui. Purtroppo sperimentiamo un atteggiamento molto ostile del governo nei nostri confronti. Negli ultimi anni ogni pretesto è stato buono per rendere difficile il funzionamento della città, limitandone gravemente le risorse finanziarie. Tutto questo mentre la pandemia, i rifugiati e la crisi energetica pongono su di noi un pesante carico».
Riferisce una diversa esperienza nell’accoglienza Anna-Kaisa Ikonen, sindaca di Tampere, in Finlandia, Paese in cui la guerra ha innescato un cambiamento epocale: l’interruzione della neutralità e la richiesta di adesione alla Nato avanzata dal governo della socialdemocratica Sanna Marin. «Nell’ospitalità ai rifugiati ucraini è stato fatto un lavoro di squadra. C’è stata molta collaborazione con le agenzie governative, tra i vari dipartimenti della città, con le associazioni, i volontari, le aziende che hanno donato…», testimonia la sindaca. Quarantacinque anni, milita nella Coalizione nazionale, partito di orientamento liberale e conservatore. «Qui a Tampere i cittadini hanno mostrato grande solidarietà verso gli ucraini, si sono immedesimati con gli orrori che stanno vivendo. Credo sia anche per la nostra storia e i conflitti con la Russia. Oggi però la Finlandia ha un esercito forte e l’ingresso nella Nato accrescerà la nostra sicurezza complessiva. Sono personalmente molto felice che abbiamo preso questa decisione».
Migrazioni
L’emergenza dei rifugiati dall’Ucraina induce ad allargare l’analisi al tema più generale, e cruciale, dell’accoglienza complessiva dei migranti, anche di chi arriva da altri Paesi e continenti. E a riflettere su quale sia il modello per una riuscita integrazione. Non è sfuggito ad esempio, già nei mesi scorsi, che lo stesso governo polacco, artefice di una meritevole apertura nei confronti degli ucraini, abbia al tempo stesso alzato un muro verso chi arriva dal Medio Oriente e fugge da conflitti altrettanto sanguinosi. «Chiunque sia colpito dalla tragedia della guerra o della fame — commenta la sindaca di Lodz, Zdanowska — dovrebbe essere trattato allo stesso modo. Purtroppo non dipende dalla nostra città, ma dal governo nazionale. Ma non vorrei parlare delle scelte dell’esecutivo polacco, perché non le capisco».
Riflette più diffusamente sulle politiche di accoglienza Dario Nardella (1975), sindaco del Partito democratico. «A Firenze, nell’area metropolitana — ricostruisce —, sono arrivati circa 5 mila ucraini. I bambini hanno frequentato la scuola e adesso partecipano ai centri estivi». Quanto al più vasto argomento della migrazione, «ci sono due premesse. La prima è che non è una specificità del nostro tempo: è sempre esistita nella storia. Va gestita e governata. La seconda è che le città non possono essere l’ultimo anello della catena e devono sedersi ai tavoli dove si costruiscono le strategie. Serve pianificare i flussi, investire sull’immigrazione legale e lavorare sulla cooperazione allo sviluppo, che può esercitarsi anche tra città e città: se aiutiamo davvero i centri del Nord Africa, dell’Africa subsahariana o dell’Asia centrale, l’immigrazione si può anche in parte prevenire». Come accogliere invece chi arriva? «Il nostro modello investe sul settore scolastico, coinvolge mediatori linguistici e culturali e si appoggia molto alla rete del terzo settore. È ovvio poi che dobbiamo interagire con le autorità nazionali. E qui c’è un problema di risorse, da soli non ce la facciamo. Vorremmo che il governo rilanciasse il modello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr): funzionava e proponeva centri di accoglienza che non fossero solo quattro mura per dormire e mangiare, ma luoghi per costruire integrazione nel circuito scolastico, lavorativo, sociale».
Interviene il sindaco di Málaga, Francisco de la Torre (1942), del Partito popolare. «Nella nostra città — spiega — abbiamo circa 7 mila ucraini, 12 mila nella provincia. Qui il governo ha aperto il quarto centro di assistenza per i rifugiati dall’Ucraina, oltre a quelli di Madrid, Barcellona e Alicante». Più in generale, «a Málaga il 9 per cento della popolazione è straniera. Abbiamo tra noi paraguaiani, colombiani, venezuelani, argentini, brasiliani, honduregni, marocchini, nigeriani, cinesi… E dall’Europa, oltre agli ucraini, più di 3 mila italiani, e poi romeni, inglesi, francesi, russi, bulgari, tedeschi…». La missione, prosegue, «è l’integrazione della popolazione affinché ci sia una buona convivenza. Non si tratta di costruire case per gli immigrati o di proporre una città diversa pensata per loro. La mia idea è che si mescolino e uniscano alla comunità, così da rendere insieme Málaga un posto migliore».
«Bonn ha una forte cultura dell’accoglienza e i nostri cittadini mostrano grande disponibilità ad aiutare», testimonia a sua volta la sindaca Katja Dörner (1976), ecologista del partito Alleanza 90/I Verdi. «Qui la quantità di abitanti con un background migratorio — illustra — è leggermente superiore alla media tedesca, raggiungendo quasi un terzo degli abitanti di Bonn: il 30,6 per cento. Di questo gruppo, composto da circa 102 mila persone, oltre 60 mila sono straniere». Per il periodo dal 24 febbraio al 27 luglio 2022, dice ancora la sindaca, «abbiamo 4.400 ucraini registrati, ma negli ultimi anni un gran numero di rifugiati sono arrivati dalla Siria e dall’Afghanistan. Sono stati fatti tanti sforzi per fornire alloggi dignitosi, in alcuni casi per creare classi nelle scuole secondarie, per coordinare le offerte private di aiuto, per organizzare corsi di lingua…». Quindi, il lavoro: «La città collabora con partner locali come l’Agenzia per l’impiego o la Camera di commercio e industria per trovare opportunità di occupazione per i migranti». Più problematico il tema delle abitazioni a lungo termine: «In questo momento gli affitti per i nuovi edifici non sono accessibili per gran parte della popolazione, in particolare per i migranti. Inoltre, sono rimaste pochissime aree adatte allo sviluppo residenziale. Per questo l’amministrazione comunale richiede ad esempio che per i progetti di costruzione di venti o più unità abitative, il 50 per cento dell’area venga realizzato come edilizia sovvenzionata. Fornire alloggi a prezzi abbordabili rimarrà uno dei principali compiti del mio mandato».
Diseguaglianze
Il tema abitativo è cruciale anche per Nardella. Che parte sempre da una premessa: «La diseguaglianza non riguarda il colore della pelle. Se manca il lavoro e ci sono difficoltà economiche, se i servizi sanitari non funzionano, se non ci sono asili nido, tutto questo è un problema sia per gli italiani sia per gli immigrati. È fondamentale fornire i servizi essenziali: con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potremo realizzare a Firenze tre asili e quattro case della salute». Un ragionamento simile vale per le case: «Non vanno creati quartieri ghetto, piuttosto può essere utile organizzare, come stiamo facendo a Firenze, un’offerta non solo di alloggi popolari, ma anche di social housing. Appartamenti ad affitto calmierato, 300, 400, massimo 500 euro al mese, distribuiti nella città. Potenziali inquilini: stranieri e italiani». In questo modo, prosegue Nardella, «si evitano i palazzoni da 200, 300 appartamenti destinati a persone della stessa etnia e gli immigrati si integrano nei diversi quartieri. Al contempo, il social housing aiuta le famiglie della cosiddetta nuova povertà grigia, non così povere da avere diritto alla casa popolare, ma che non riescono comunque ad arrivare alla fine del mese».
«Anche a Tampere cerchiamo di evitare ogni tipo di segregazione, vogliamo mescolarci», concorda la sindaca Ikonen. Tuttavia «ci sono stranieri che desiderano loro stessi vivere vicini, come accade nella zona di Hervanta». In ogni caso, prosegue, «siamo riusciti a mantenerla plurale e a farne una delle aree più innovative della città, con la nuova linea del tram, le sedi di grandi aziende e di parte dell’università, gli alloggi di molti studenti. Il rischio ghetto va colto in anticipo e bisogna pianificare per scongiurarlo. Serve pensare in modo olistico ai nuovi arrivati e a come facilitare loro la vita». Anche attraverso l’innovazione: «Qui abbiamo il programma Data-driven Smart City for Citizens. Nell’ambito di questa iniziativa, vogliamo usare i dati e l’intelligenza artificiale per favorire l’ingresso e l’integrazione delle persone».
Un sistema simile esiste già a Bonn: «In primavera — racconta la sindaca Dörner — abbiamo implementato la nostra app Citykey, che raggruppa una serie di servizi digitali per i cittadini, con una sezione specifica destinata ai profughi ucraini. Adesso c’è un riquadro, “Informazioni per i rifugiati”: è in inglese, tedesco e ucraino e include un collegamento diretto alla domanda di aiuti per i richiedenti asilo».
Cantieri aperti a Lodz. In questo caso, spiega la sindaca Zdanowska, un modo «per molti residenti di migliorare le proprie condizioni di vita è il nostro piano di rigenerazione urbana». La città, illustra, «gestisce circa 3.500 edifici residenziali, pari a quasi 40 mila appartamenti comunali. A causa di decenni di abbandono, la maggior parte necessita di ammodernamento. Oltre 100 edifici sono in ristrutturazione nel centro e nel quartiere storico delle fabbriche tessili Ksiezy Mlyn». Scadenza dei progetti: fine 2023. Budget: oltre 160 milioni di euro, con un cofinanziamento del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr). «In questa fase — prosegue Zdanowska — quasi mille inquilini hanno dovuto spostarsi. Per facilitare il processo, funzionari specializzati del Comune li assistono prima, durante e dopo il trasferimento, oltre che in qualsiasi questione amministrativa. Questi addetti rappresentano per i residenti anche il primo anello per conoscere il piano di rinnovamento e i programmi sociali del quartiere: lavorano sul campo, incontrano i cittadini e monitorano da vicino le loro esigenze». Un percorso che va di pari passo con la trasformazione verde : «Contestualmente, elimineremo le isole di calore, pianteremo nuovi alberi, proporremo soluzioni per il risparmio dell’acqua, implementeremo l’infrastruttura ciclabile. Presto le tre piazze più importanti saranno ricostruite in questo modo. La nostra città — prosegue la sindaca — nasce come “terra promessa” della manifattura tessile; per noi è estremamente importante coniugare il futuro green con progetti che rinnovino l’eredità storica e preservino il patrimonio culturale».
Città, aree rurali, europeismo
Le diseguaglianze tra cittadini poveri e abbienti e quelle tra periferia e centro sono elementi di cui tenere conto nel progettare il futuro. Ma vanno considerati anche i divari nel rapporto tra città e aree rurali. «I maggiori centri polacchi — riflette ancora la sindaca Zdanowska — sostengono di più le posizioni liberal-democratiche. Ed è innegabile che i processi di crescita di una città fino a diventare metropoli inducano cambiamenti nella struttura interna, e quindi una trasformazione dei rapporti con i territori e le regioni circostanti». A Lodz, spiega, «prestiamo grande attenzione al rafforzamento e allo sviluppo della cooperazione con i comuni vicini». A questo proposito, esemplifica, «è stato molto utile lo strumento Ue dell’Investimento territoriale integrato (Iti). Qui abbiamo istituito l’Associazione dell’area metropolitana in cui collaboriamo con quasi 30 governi locali a progetti su clima e trasporti. Grazie al denaro europeo, alla cooperazione e allo scambio di conoscenze applichiamo cambiamenti positivi che gli abitanti toccano con mano. È il modo migliore per colmare il divario tra le grandi città, quelle più piccole e le aree rurali».
Offre un altro punto di vista il sindaco di Málaga, de la Torre. «Le città — osserva — continuano ad assorbire gli spazi rurali, che quindi scompaiono, e la loro popolazione. Gli Stati dovranno garantire, per quanto possibile, che la vita nei piccoli centri rimanga attraente e possa arrestarsi la perdita dei loro abitanti. Ma non è un compito facile, si tratta di invertire una tendenza globale. Ed è impossibile fare coincidere le condizioni di vita di un villaggio con quelle della città. Non esiste un bilancio pubblico in grado di sostenere una simile sfida. E alcuni servizi sono realizzabili e vitali solo nei grandi centri. Nuove opportunità per le aree rurali si possono aprire con il telelavoro, ma è necessario un fermo impegno nella connettività digitale».
Sul confine tra città e aree rurali oscilla anche l’europeismo. «Nei grandi centri con università, aziende e organizzazioni internazionali — constata la sindaca di Bonn, Dörner — è più probabile essere pro-Europa che nei piccoli centri. Tanto più quindi sono grata alle numerose associazioni di Bonn che si impegnano a promuovere i valori europei e a mantenere strette relazioni con le campagne vicine e i loro abitanti. Un maggiore riconoscimento, sostegno e finanziamento per l’impegno civico e la cittadinanza attiva potrebbero anche aiutare a colmare il divario tra aree urbane e rurali». Dörner pone poi un altro tema: «Le città più grandi di solito hanno più personale e sono in grado di assumere specialisti per ottenere i finanziamenti Ue. Questo è più difficile per i centri e le regioni con meno risorse. La domanda di finanziamento europeo dovrebbe essere semplificata e ammettere anche i progetti più piccoli». Infine, le infrastrutture: «Chi ha nelle vicinanze un aeroporto o una stazione ferroviaria collegata a livello internazionale avrà più possibilità di viaggiare. Laddove l’Europa sarà una “facile alternativa”, diventerà parte della vita quotidiana delle persone».
Caso estremo di divario, l’Ungheria. Rispetto al governo nazionale «euroscettico, populista, autocratico — chiarisce il sindaco Karácsony —, Budapest pensa in modo molto diverso all’Europa, al mondo, alla guerra in Ucraina, alla democrazia e alla giustizia sociale. E questa è proprio una delle ragioni dei nostri conflitti con l’esecutivo». Eppure, osserva, «dovrebbe essere chiaro che nel lungo periodo Budapest e le regioni rurali non si muoveranno in direzioni troppo diverse. Siamo molto interdipendenti. Se il governo punisce e distrugge Budapest a causa del populismo politico, l’intero Paese e le sue aree rurali ne risentiranno. Budapest produce quasi il 40 per cento del Pil dell’Ungheria. Può uno Stato prosperare se mette in crisi la sua capitale?». Una parte cospicua della società ungherese, prosegue Karácsony, «oltre il 70 per cento, è pro-Europa. Ma una porzione significativa di questo consenso è legato al sostegno finanziario che arriva dall’Ue. I cittadini di Budapest invece condividono anche valori e obiettivi fondamentali dell’Unione. Nel 2019 sono stato eletto sindaco con un programma pro-europeo incentrato sullo Stato di diritto e sulla lotta ai cambiamenti climatici».
Clima, ambiente, energia
«La protezione delle ricchezze naturali di Budapest, una pianificazione sostenibile, l’aumento della quantità e qualità degli spazi verdi e la lotta alla crisi climatica sono tra gli obiettivi più importanti della nostra strategia di sviluppo urbano Otthon Budapesten (“A casa a Budapest”)», entra nel dettaglio il sindaco Karácsony. Poi si sofferma sull’emergenza energetica: «Di recente il Comune di Budapest ha discusso della mitigazione degli effetti devastanti della crisi dei prezzi delle utenze e della creazione di una città efficiente dal punto di vista energetico con le maggiori società di proprietà della capitale». Si è deciso «un pacchetto di misure a breve e medio termine per aumentare la capacità di produzione energetica di Budapest e ridurre i consumi, visto che l’attuale sistema è evidentemente insostenibile».
La stessa capitale ungherese, con Tampere, Firenze e Lodz, fa parte della missione Ue delle «100 città a impatto climatico zero e intelligenti entro il 2030»: un programma che le rende hub di innovazione ecologica e modelli per altri territori dell’Unione. Ma rischio energetico ed emergenza ambientale sono vettori efficaci di trasformazione anche per gli altri sindaci intervistati. Molte le iniziative, di cui si citano qui le principali. «Abbiamo la forza di realizzare il cambiamento nella vita di ogni giorno. Come città possiamo sperimentare e agire più velocemente di intere nazioni», sostiene Ikonen. «Qui a Tampere abbiamo messo in atto una road map con 236 azioni molto concrete. Tra queste, la riduzione dei gas serra dell’80% entro il 2030, compensando il resto. E poi c’è la nuova linea tranviaria che consente spostamenti più sostenibili e piacevoli».
Il trasporto è anche a Firenze al centro dell’agenda. «Abbiamo realizzato tre linee tranviarie nell’ambito di un progetto infrastrutturale finanziato dall’Europa, dallo Stato e da fondi locali — ricostruisce Nardella —: un piano da un miliardo e mezzo di euro che ci porterà, a regime, a spostare fino a 85 milioni di persone l’anno. Introdurremo già dal 2023 anche lo scudo verde con un sistema di 87 porte telematiche intorno a tutto il territorio comunale, così da filtrare l’ingresso di veicoli inquinanti. Il principio è: chi inquina paga. Con le risorse che entreranno, offriremo il trasporto gratuito agli studenti delle scuole superiori e dell’università, ai quali chiederemo un abbonamento simbolico di 20 euro l’anno». Dalla tecnologia anche ulteriori apporti. «Abbiamo raggiunto quasi il 100 per cento della digitalizzazione dei servizi comunali — spiega il sindaco —: questo processo, accelerato anche dal Covid, riduce molto il consumo di carta e l’inquinamento provocato dagli spostamenti verso gli uffici, spesso con l’auto privata, ottimizza il tempo delle persone e snellisce la burocrazia». Inoltre, «entro i primi mesi del 2023 ci sarà la Smart City Control Room: sala per la governance della città che consente il controllo multimediale di sicurezza, traffico e di tutti i sistemi di misurazione dei livelli di inquinamento».
Punta sull’innovazione anche Málaga. «L’umanità — esorta il sindaco de la Torre — deve rendere compatibile la crescita demografica e lo sviluppo urbano con la tutela dell’ambiente, per questo è necessario innovare. È un obbligo di tutti come civiltà». Málaga, racconta, «funziona da anni come un laboratorio urbano per i progetti legati alle città intelligenti. Ad esempio, siamo stati pionieri nel testare l’auto elettrica e i nostri autobus pubblici sono all’avanguardia nell’uso delle nuove tecnologie». Inoltre, prosegue, «abbiamo già superato i 10 metri quadrati di superficie green per abitante: un aspetto su cui lavoreremo ancora con un “anello verde” attorno alla città. Siamo anche candidati a organizzare nel 2027 un’esposizione internazionale dal titolo L’era urbana: verso la città sostenibile. Vorremmo che servisse a riflettere sulle sfide a medio e lungo termine». Detiene invece Lodz i diritti per ospitare la Global Horticultural Exposition del 2029, evento mondiale di orticoltura. «In vista di questo appuntamento — dice la sindaca Zdanowska — prevediamo di valorizzare i parchi storici della città e di ampliarne altri. Se i nostri piani avranno successo, verrà costruito un complesso di zone verdi tra loro collegate».
Numerose le iniziative anche della sindaca ecologista di Bonn, Dörner. «Quando si costruiscono nuove abitazioni e spazi commerciali — illustra — chiediamo agli investitori di tenere conto delle preoccupazioni per l’adattamento climatico, rendendo ecologici gli edifici o dotandoli ad esempio di un impianto fotovoltaico». Tuttavia, «poiché parti significative della città furono costruite quando il cambiamento climatico non era ancora un problema, serve tenere conto degli edifici già esistenti. Perciò offriamo programmi di finanziamento per decementificazione e inverdimento». Spazio anche alle aree verdi pubbliche: «Migliorano il microclima e sono luoghi d’incontro. L’obiettivo è fornirne vicino a casa per tutti i residenti e renderle più fruibili, ad esempio con posti a sedere all’ombra, opportunità per lo sport… in modo da creare un’atmosfera piacevole per il lavoro, l’istruzione, il tempo libero». Non si tratta infatti solo di fare sacrifici: «La città del futuro deve essere climaticamente neutrale, resiliente ma attraente, così che le persone si sentano motivate e a proprio agio nel viverci».
Visione, partecipazione
Obiettivo condiviso è che nella città si possa condurre una buona vita. «Nei sondaggi — dice la sindaca Ikonen — si stima che la Finlandia sia la nazione più felice del mondo. Inoltre, da più di un decennio, Tampere è il posto dove, se dovessero lasciare la propria città, gli altri finlandesi si trasferirebbero a vivere. Per questo qui noi sosteniamo che Tampere sia la città più felice del mondo!». Lo dice con il sorriso, poi torna seria: «Nello sviluppo delle città è importante tenere conto della combinazione di molti aspetti, ad esempio che si abbia la possibilità di andare a scuola, trovare lavoro, avere una bella casa, coltivare hobby e partecipare a eventi… Tutto questo contribuisce a creare un’atmosfera». Illustra un caso concreto. «A Tampere la ferrovia taglia in due la città e questo rappresenta un elemento di divisione. Noi abbiamo costruito un ponte e un’arena polivalente in cima ai binari. Questo progetto riunisce le due parti e contribuisce a organizzare iniziative in quell’area nel cuore della città. L’arena ha ospitato il campionato mondiale di hockey su ghiaccio e stiamo lavorando perché la zona diventi ancora di più uno snodo di attività, vicine a un eccellente sistema di trasporto pubblico. Sempre più le aree per lo sport, la cultura, il lavoro, l’innovazione si intrecceranno. La città del futuro dovrà creare possibilità per consentire a ciascuno di costruire la vita che più gli si addice».
In un simile processo, la partecipazione dei cittadini può essere un fattore importante. «In base alla nostra più recente strategia di sviluppo urbano — dice la sindaca Zdanowska —, Lodz diventerà presto la prima città polacca a essere completamente creata insieme ai suoi abitanti». Quindi fa alcuni esempi. «Al momento di redigere il bilancio, gli stessi residenti presentano e selezionano progetti di investimento. È stata inoltre istituita la “Fabbrica dell’attività municipale”: un laboratorio per ideare insieme la città, cui si aggiunge un recente “manuale d’istruzioni” in cui proponiamo esempi di attività condivise con i cittadini».
Poteri
Perché tutti questi progetti non restino sulla carta e siano più facilmente realizzabili, appare comune l’esigenza di un maggiore coinvolgimento delle città nei processi decisionali, sia al livello dei governi nazionali sia dell’Ue. Il tema è ovviamente molto sentito a Budapest. «Le città — riflette il sindaco Karácsony — hanno oggi un ruolo peculiare nella gestione di tutti i tipi di crisi. Non solo quella dei rifugiati. Non saremo in grado di raggiungere gli obiettivi dell’Ue nei diversi ambiti se le città, che rappresentano il 75 per cento della popolazione europea, non riusciranno a realizzare la transizione ecologica, la digitalizzazione o la promozione della giustizia sociale e della solidarietà. È nell’interesse dell’Ue costruire un partenariato strategico con le città: più forte nella struttura e nella pratica dell’elaborazione delle politiche, nonché nell’allocazione dei fondi europei. Budapest esercita da molto tempo pressioni sulle istituzioni di Bruxelles insieme ai suoi partner, in particolare i leader di Bratislava, Praga e Varsavia nel quadro del Patto delle città libere (nato nel dicembre 2019 in dissenso ai governi del Gruppo di Visegrád, composto da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia, ndr). Dobbiamo ripensare l’Ue se vogliamo affrontare le sfide del presente e del futuro. Un passo deve essere inevitabilmente il rafforzamento delle amministrazioni locali e regionali e della cooperazione tra l’Ue e le città».
«È chiaro che viviamo nell’era delle città, che i comuni sono sempre più importanti. Ma gli Stati — precisa il sindaco di Málaga — continuano a essere l’attore politico chiave su scala internazionale. Le questioni relative all’immigrazione e alla sicurezza sono di loro competenza». Tuttavia «su altri ambiti, come le politiche sociali e abitative, i comuni dovrebbero avere un ruolo maggiore. Ad esempio, la gestione dei fondi europei sarebbe più efficace ed efficiente a livello locale: i consigli comunali sono più vicini ai cittadini e ne conoscono i bisogni meglio di chiunque altro. La cosa più importante è che ci sia lealtà tra i diversi livelli di governo».
Tra gli organismi dell’Unione Europea, chiarisce Nardella, «le città sono coinvolte solo nel Comitato europeo delle Regioni. Si tratta però di un ruolo consultivo e quell’assemblea non è prettamente rappresentativa delle città». Coinvolgerle di più, spiega, è proprio la battaglia di Eurocities. «Ho già incontrato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e i vicepresidenti della Commissione europea. Il nostro network ha fatto alcune proposte: insediare nell’Europarlamento una commissione che si occupi anche delle città e istituire nella Commissione europea un Segretariato speciale presso la Presidenza che si concentri sulle città e che coinvolga i sindaci nei tavoli delle decisioni. Dopo l’estate incontreremo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen per trattare questi temi». Quanto all’Italia, «la situazione non è troppo diversa. C’è la Conferenza Stato-Regioni, l’unico organismo dove siedono i sindaci, ma dove spesso siamo una parte minoritaria e non ascoltata. E c’è l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci). Ma non ci sono possibilità per i primi cittadini di esprimere un parere vincolante sulle decisioni del governo o di altri organismi». Eppure, ribadisce Nardella, «le città possono contribuire alla soluzione di molti problemi. Eurocities è stata di recente chiamata dalla Commissione europea a dare una mano nell’accoglienza dei rifugiati e, grazie alla pressione della nostra rete, la Commissione ha a sua volta lanciato un programma di aiuti alle città ucraine». Infine, conclude, i sindaci hanno un valore ulteriore: «Sono l’ultimo baluardo della politica. C’è molto scontento e gli unici verso cui c’è ancora un po’ di fiducia sono proprio i primi cittadini».
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