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14 Dicembre 20221922-2022 Antonio Moresco, che si aggiudica il premio intitolato allo scrittore nato un secolo fa, ricorda un incontro inaspettato
di Antonio Moresco
Una prenotazione incauta in libreria
Poi il rimorso e la speranza di perdono
Che singolare destino quello di Bianciardi! Mentre diversi altri scrittori della sua generazione — anche buoni e persino ottimi — sono entrati nel dimenticatoio e quasi nessuno li legge più, lui è rimasto nella mente e nel cuore di molti lettori. E un libro come La vita agra, con la sua lingua bassa e alta piena di insubordinazione e creaturale pietà, il suo parlato colloquiale e il suo gioco linguistico raffinato, anche a distanza di tempo, continua a irradiare. Questo scrittore dalla vita difficile e marginale scriveva di sé:
«Vi darò la narrativa integrale…
«Proverò a riscrivere tutta la vita…
«Proverò l’impasto linguistico, contaminando da par mio la alata di Ollesalvetti diobò, e ’u dialettu d’Ucurdunnu, evocando in un sol periodo il Burchiello e Rabelais, il Molinari Enrico di New York e il lamento di Travale — guata guata male no mangiai ma mezo pane — Amarilli Etrusca e zio Lorenzo di Viareggio…
«Vi canterò l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza, lo spleen, la noia e il rompimento di palle…».
Perché Bianciardi è rimasto nel cuore dei lettori e tanti altri no? Non si possono dare facili spiegazioni, perché i meccanismi elettivi sono in parte inesplicabili e anche perché, come dice la Bibbia, il vento soffia dove vuole. Però provo ugualmente a tentare una spiegazione. Di Bianciardi ci continuano ad arrivare e a parlare il suo donchisciottismo, il suo smarrimento, la sua disillusione, la sua rabbia, il suo velleitarismo, la sua dolcezza, la sua nudità, la sua fragilità, che ce lo fanno sentire vicino e creano identificazione con il lettore. E poi — ultimo ma non ultimo — c’è l’impronta della sua lingua e della sua voce, in presa diretta, nello stesso tempo incazzata e sofisticata, che esplode al massimo grado nel suo agro capolavoro, romanzo che, agli adolescenti come me che lo hanno letto appena uscito, era apparso diverso e avulso rispetto a tanti altri libri italiani più blasonati, con accenti di sincerità e radicalità che non eravamo abituati a incontrare e che avremmo incontrato anni dopo in alcuni libri e film che arrivavano dall’America. Ma poi… perché non sono rimasti gli scrittori e i poeti mandarini del Giappone antico e sono rimasti invece i romanzi e i diari di dame di corte e concubine? Perché, ad esempio, nessuno legge più Anatole France mentre si continuano a leggere Saint-Exupéry e tanti altri? Perché si continua a leggere il meraviglioso romanzo di Bulgakov e non si leggono quelli di tanti scrittori russi leccapiedi dello stesso periodo? Perché non si legge più Tommaseo ma si continua a leggere il suo tanto dileggiato Leopardi?
Così adesso, a cento anni dalla sua nascita, viene istituito un premio intitolato a Bianciardi, che mi è stato dato l’onore di vincere alla sua prima edizione. Cosa che mi ha fatto piacere ma che mi ha anche sbalordito, perché il caso ha voluto che io abbia avuto, da ragazzo, un singolare incontro ravvicinato del terzo tipo con lui.
Era successo questo:
Mi avevano mandato a Rapallo, in convalescenza dopo una brutta pleurite che mi aveva tenuto un mese a letto, e un giorno, su un giornale, avevo trovato la pubblicità di una edizione completa di tutte le lettere di Van Gogh (Edizione Silvana), con tanto di disegni e dipinti, e allora — visto l’amore che provavo e provo per questo pittore — mi era presa una smania incontrollabile di possedere quel libro e di divorarlo. Così, senza riflettere e con pochi soldi in tasca, ero andato a cercare una libreria per comperarlo. Ero entrato nella prima che avevo incontrato, dove mi era venuto incontro un uomo vestito di fustagno — mi pare di ricordare — con una grande testa arruffata e una faccia da garibaldino triste che mi pareva di riconoscere. Un secondo dopo avevo visto che nella libreria c’era un tavolo tutto pieno di copie della Vita agra, libro che avevo letto con stupore e passione e che era piombato sul mondo letterario italiano come un alieno. E allora, guardando di nuovo quell’uomo, avevo finalmente capito che si trattava di Luciano Bianciardi. Avevo balbettato il titolo del libro che cercavo. Lui mi aveva risposto che non ce l’aveva in libreria ma che lo avrebbe ordinato e che lo avrei trovato pochi giorni dopo. «Adesso metto al lavoro le mie donne…» aveva detto con scherzosa baldanza. Ero uscito dalla libreria in preda all’emozione, ero tornato a casa e avevo guardato di nuovo la pubblicità sul giornale. Solo allora avevo visto che quel libro costava una cifra assolutamente proibitiva per le mie misere tasche.
Così, con mia vergogna, non ero più passato a ritirarlo e avevo «inchiodato» Bianciardi, al quale un libro così costoso sarà probabilmente rimasto sul gobbo e che avrà mandato al diavolo quel ragazzo farfugliante e malato che gli aveva ordinato un libro e poi non era passato a ritirarlo, per il quale lui — con incredibile generosità e ingenuità — non aveva neppure pensato di chiedere un anticipo.
Da quel giorno, mentre prima non mi capitava mai di vedere Bianciardi e non sapevo neppure che abitasse a Rapallo, lo incontravo continuamente e, appena lo avvistavo, dovevo dileguarmi come una biscia in stradine e vicoli per non incrociarlo. Una volta, visto che camminare in strada era per me un rischio continuo, ero andato a rintanarmi in un cinema. «Qui almeno starò tranquillo!» mi ero detto. Invece dopo un po’, scrutando le teste allineate nel buio della sala, avevo visto improvvisamente Bianciardi seduto a mezzo metro da me, nella stessa fila di sedie, solo dall’altra parte del corridoio, in compagnia di un bambino. E allora, approfittando di una scena notturna dove il raggio che usciva dalla cabina di proiezione era buio e non illuminava la sala come un bengala, ero sgattaiolato fuori dal cinema. Mi pare di ricordare che dessero un film intitolato Il re dei re, con un attore mascelluto dai capelli biondi e dagli occhi azzurri di nome Jeffrey Hunter, improbabile interprete ariano dell’ebreo palestinese Gesù.
Avevo provato per questa mia involontaria mascalzonata una tale vergogna che, pochi anni dopo, leggendo che Bianciardi era morto, ero arrivato addirittura a pensare che il mio comportamento e il danno economico che gli avevo arrecato avessero contribuito ad affrettare la sua prematura morte.
Nella vita, come nelle fiabe, possono succedere delle cose incredibili. Una cosa incredibile, per esempio, è che lo stesso ragazzo che aveva incrociato Bianciardi in un momento doloroso e difficile della sua vita e che gli aveva dato una fregatura venga adesso insignito di un premio che porta il suo nome. Amo pensare che questa sorprendente coincidenza — e anche il fatto che non solo non mi vengano chiesti quattrini per risarcire l’antico danno economico ma che al contrario me ne vengano donati — possa significare che lui, da qualche parte, con la sua aria burbera e buona che gli avevo visto in faccia da ragazzo, mi abbia tenuto d’occhio per tutti questi anni e che, alla fine, mi abbia aperto le braccia e mi abbia perdonato.