Esce “ Decreazione”, raccolta di saggi, versi e un’opera della poetessa canadese Carson Sguardo acuto sulla cultura occidentale
diAlberto Manguel
Un secolo fa Virginia Woolf osservava che «vana e insensata è la pretesa di conoscere il greco, dal momento che nella nostra ignoranza saremmo gli ultimi della classe, e dal momento che non sappiamo che suono avessero le parole, o in quale momento esatto dovremmo ridere, o come recitassero gli attori, e dal momento che tra noi e quel popolo straniero sussiste non solo una differenza di razza e di lingua, ma anche una formidabile frattura in fatto di tradizione». Tenendo a mente questa avvertenza, si apre uno spazio enorme per chi legge la letteratura greca, uno spazio che invita a entrare in quel ricco campo ed esplorarlo non come finti abitanti di regioni impossibili da abitare per noi, da questa secca del tempo, ma come viaggiatori immaginifici.
Anne Carson ha fatto propria questa sorta di esperienza tradotta. Da classicista e poeta qual è, la sua lettura dei testi antichi, tradotti in un idioma contemporaneo, non pretende di ristabilire, copiare o riflettere la verità filologica di quella letteratura, bensì di evocarne i fantasmi in una veste riconoscibile per un lettore del XXI secolo. Non sono Saffo o Euripide vestiti nei costumi che Hollywood ha immaginato per loro, ma nuovi corpi creati per loro con le parole in uso nel XXI secolo. I testi sono antichi, ma il vocabolario è quello dell’era elettronica.
Decreazione non è una versione di un testo classico: è una raccolta di testi disparati che riflettono la caleidoscopica visione del mondo carsoniana, un insieme che include poesie, saggi e un’opera, come spiega il sottotitolo. In ogni testo di Anne Carson, anche se ambientato ai nostri giorni, traspare con evidenza il mondo antico. W. H. Auden osservava che «il mondo di Omero è insopportabilmente triste, perché non trascende mai il momento immediato: si è felici, non si è felici, si vince, si perde, alla fine si muore. Ed è tutto». Più o meno lo stesso si può dire per i testi della Carson.
Decreazione comincia con una sequenza poetica, “Fermate”, che ripercorre il declino di una madre, prosegue con uno splendido saggio sul sonno e poi conclude con vari testi, poetici o drammatici, sulle figure di Monica Vitti, Samuel Beckett, Simone Weil, l’artista Betty Goodwin e altri. La classificazione è impossibile (e inutile).
“Fermate” è la cronaca del deterioramento di una madre raccontato attraverso conversazioni telefoniche, visite passeggere, personificazioni di elementi del paesaggio e del tempo atmosferico, prendendo esplicitamente in prestito da Beckett il suo senso della tragedia e della commedia. «Andare a trovare mia madre», scrive l’autrice, «è come iniziare un pezzo di Beckett». L’ombra della morte è onnipresente, interferisce con i sensi, la morte come suono, come odore, come immagine.
Sopra tutti i testi scorre il concetto di «decreazione» di Simone Weil, che dà il titolo al libro, un’accettazione della morte come condizione per la possibilità di accogliere la grazia. Per Anne Carson (come per Simone Weil), la morte non è una figura allegorica, ma una presenza reale, una versione spogliata di sé. Ricerca la «decreazione» nelle sue osservazioni della nostra esperienza. Nella sezione intitolata “Sublimi”, Monica Vitti viene «decreata» a «Necessità », concepita in termini platonici, l’incarnazione del sublime nella visione di Kant e Longino: Kant che si chiede da dove viene il vento che agita i capelli di Monica Vitti nell’Eclisse e Longino che descrive la combinazione sublime di calore e paura in Deserto rosso.Anne Carson recluta per la sua scrittura la biblioteca universale, senza l’ingombro della burocrazia della cronologia o del genere letterario.
Nella raccolta sono inclusi tre testi drammatici: due minisceneggiature, E & A(Eloisa e Abelardo) e il cosiddetto documentario Brama, e l’opera in musica in tre parti Decreazione, che racconta gli amori di Afrodite e Ares come li immaginava Saffo, le tribolazioni della mistica del XIII secolo Margherita Porete e la filosofia estatica di Simone Weil. «Studiando il modo in cui queste tre scrittrici parlano del proprio raccontare», dice la Carson in una sorta di introduzione all’opera, «è possibile constatare come ciascuna di loro si senta spinta a creare una sorta di sogno della distanza in cui l’io viene spostato dal centro dell’opera e il narratore scompare nel racconto». La si può vedere come una definizione dell’ars poetica di Anne Carson.
Il saggio sul sonno, “Ogni uscita è un’entrata”, è quello che Maimonidechiamava un’apofasi (ossia una definizione negativa) di una considerazione che compare nei quaderni di Simone Weil: «Dio può essere presente nella creazione solo nella forma dell’assenza ». In questa assenza Anne Carson scava «come una talpa» per esplorare i diversi approcci all’«interpretazione» del sonno. Omero, John Keats, Elizabeth Bishop, Virginia Woolf sono le sue incerte guide, che toccano, dice lei, «il confine tra niente e qualcosa». Il sonno implica un certo rapporto con l’anima, quella parte di noi che l’autrice (facendo riferimento al dialogo tra Socrate e Critone) ammette di ignorare.
Da più di trent’anni, ormai, Anne Carson costruisce un mondo che scava un cunicolo (per usare la sua espressione) nel passato, rendendolo presente. L’acuta precisione della sua voce, la sua instancabile curiosità, la sua sorprendente intelligenza contribuiscono a farne una delle poetesse più stimolanti, importanti e illuminanti della nostra epoca.
(Traduzione di Fabio Galimberti)