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20 Ottobre 2022Dal Punjab a Latina, pagare per diventare schiavo
20 Ottobre 2022Tutte le mappe sono politiche: ogni forma di rappresentazione del territorio contiene anche la sua trasformazione. Come orientarsi, dunque, al tempo delle mappe digitali?
Una delle attività umane più strettamente politiche e che dunque hanno a che fare con la definizione dei rapporti di forza tra gruppi sociali in un determinato territorio riguarda sicuramente la sua mappatura.
Questa, orientando il territorio lo trasforma consentendo all’uomo di muoversi in modo intenzionale. Perciò è possibile affermare che non esistono mappe fisiche ma solo politiche nel senso che ogni mappa, anche la più fedele alla natura di un territorio, dal momento che definisce dei punti cardinali, delle estensioni, dei confini (che anche se naturali, sono comunque costantemente soggetti a movimenti e cambiamenti che la mappa invece cristallizza) opera una trasformazione su di esso. Così per il filosofo Gilles Deleuze: «è notte perché si va a dormire; si mangia perché è mezzogiorno». In questo senso la pubblicazione di un atlante è a tutti gli effetti un atto politico.
Carl Schmitt aveva interpretato l’Ordnung (ordinamento) mondiale e dunque il Nomos della terra come indissolubilmente legato all’Ortung (localizzazione), ovvero alla suddivisione dello spazio terrestre. Per modificare l’Ortung di un territorio e di conseguenza la sua Ordnung, è sempre stato necessario muovere guerra agli abitanti di quel territorio o, in alternativa, far valere la forza cogente di un qualche diritto preesistente. Così per Marx, il processo che ha portato all’accumulazione originaria del capitale, e sul quale Adam Smith aveva di fatto glissato limitandosi a identificarlo come un fenomeno naturale nella sua Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, sarebbe da identificarsi nel fenomeno topologico-giuridico delle enclosures dell’Inghilterra di età moderna. In questo senso la posta in gioco di ogni guerra e di ogni diritto «territoriale» riguarda la possibilità di organizzare o riorganizzare un dato territorio e dunque ri-configurarlo in modo funzionale ai propri scopi trasformandolo, ad esempio, da semplice spazio aperto a terra coltivata, da terra coltivata a villaggio, da villaggio a borgo, da borgo a città.
Google maps: il territorio personalizzato
Come tutti sanno, oggi, la cartografia più diffusa non è più quella che risponde alla forma atlante ma è quella operata da Google Maps. Questa mappatura, come del resto ogni mappatura, non è neutra, scaturisce piuttosto dall’incrocio tra la rappresentazione oggettiva di un territorio (peraltro costantemente in divenire), i Big data di cui dispone Google, il suo algoritmo o «meta-mente» e l’obiettivo di profilare quel territorio per ciascuno dei suoi utenti. In questo modo l’attività di mapping modella, in modo più o meno profondo, il territorio trasformando i suoi punti cardinali e con essi i suoi significati. Inoltre, l’attività di profilazione e la digitalizzazione della mappa, consentono la riproduzione personalizzata dello stesso territorio per ciascun utente. Questi ultimi finiranno inevitabilmente per muoversi in esso in modo mediato (dalla scelta del ristorante a quella del centro medico, dalla scuola dei figli al luogo in cui abitare) restituendo, dopo ogni movimento, ulteriori informazioni utili a un’ulteriore profilazione e dunque contribuendo a una ri-mappatura customizzata. Il nuovo spazio così non è più geometricamente univoco. Esso è suddiviso e riarticolato in n indefiniti spazi in ognuno dei quali vale la propria topologia, le proprie distanze, i propri punti di riferimento. Le discontinuità, i punti di separazione, non sono più fisicamente situate tra uno spazio e l’altro ma virtualmente dislocate tra un dato spazio e sé stesso.
Spazio e ambienti umani
Dobbiamo al biologo estone di lingua tedesca Jakob Johann von Uexküll una delle riflessioni più profonde e originali che siano state realizzate durante lo scorso secolo su spazio e ambienti animali e umani, riflessioni che lo hanno portato a essere considerato uno dei padri dell’etologia contemporanea e che hanno esercitato un’influenza non trascurabile su pensatori del calibro di Martin Heidegger, Ernst Cassirer, Maurice Merleu Ponty e Gilles Deleuze, oltre al poeta Reiner Maria Rilke con cui vi fu un rapporto intellettuale duraturo. La tesi centrale del saggio Ambienti animali e ambienti umaniè che ogni specie animale possiede il proprio ambiente (Umwelt) con il quale intrattiene un rapporto ottimale e può dunque vivere e riprodursi in esso e tramite esso. Uexküll definisce l’ambiente come una totalità chiusa formata dal mondo percettivo e dal mondo operativo di un soggetto, dove: «Tutto quello che un soggetto percepisce diventa il suo mondo percettivo (Merkwelt) e tutto quello che fa costituisce il suo mondo operativo (Wirkwelt)». Così il cane organizza il proprio spazio come dimensione olfattiva nella quale le tracce odorose strutturano il territorio in cui, di fatto, mondo percettivo e mondo operativo si indistinguono. A questo rapporto ottimale con il proprio ambiente fa da contraltare il rapporto pessimale con i suoi dintorni (Umgebung): «Proprio perché l’ambiente è ottimale, se i dintorni di una specie non fossero pessimali, questa finirebbe per prevalere su tutte le altre specie».
Al contrario l’uomo possederebbe un rapporto non ottimale con il proprio ambiente e non pessimale con i dintorni del proprio ambiente (fattispecie che permette non solo all’uomo ma a ciascun individuo di ritagliarsi il proprio ambiente). In questo modo ambiente (Umwelt) e dintorni (Umgebung) finiscono per fondersi l’uno nell’altro di modo che l’ambiente dell’uomo coincide, almeno in potenza, con tutto lo spazio disponibile e, al tempo stesso, con nessuno spazio specifico. Ora il modo attraverso il quale ogni individuo stabilisce i confini del proprio ambiente è tramite una certa modalità di interazione con esso, capace di far sviluppare l’ambiente in modo tale che questo possa rappresentare una risorsa per sé ed egli un ospite gradito. Così l’agricoltore conosce a fondo gli aspetti principali della sua Wirkwelt, l’ambiente nel quale opera. Come fa notare Claudio Saragosa ne L’insediamento umano. Ecologia e sostenibilità, egli conosce a fondo «il sistema microclimatico del luogo, i caratteri geologici e pedologici, le specie vegetazionali presenti e quelle che possono essere impiantate con più possibilità di riuscita, le modalità di gestione delle acque, ecc.». in questo modo egli «produce un sistema di relazione fra la sua attività e quel sistema ambientale di tipo auto-generativo».
Riannodando il discorso con quanto detto finora ci si presentano due ordini di problemi: il primo riguarda proprio la topologia dell’ambiente umano. Nell’ottica di Uexküll i confini dell’ambiente umano sono potenzialmente i confini fisici del mondo e realmente i confini generati dal rapporto virtuoso uomo-ambiente. Nella nostra ottica, o meglio nel mondo riconfigurato, i confini fisici non bastano più a limitare il nostro ambiente in quanto questi sono infinitamente estesi dall’integrazione dell’uomo con i suoi devices che potenziano e comunque modificano costantemente sia le sue capacità sensibili che operative, dunque gli elementi fondamentali attraverso i quali egli struttura il proprio ambiente. Questo mentre continua, a un tempo, a ri-mappare il territorio, riprofilandolo.
Come sarà possibile dunque, per noi, intrattenere con l’ambiente un rapporto auto-generativo simile a quello che l’agricoltore intrattiene con il suo dal momento che questo ci sfugge sotto i piedi? Inoltre, se una specie si caratterizza e si riproduce a partire dal rapporto che intrattiene con il proprio ambiente, che ne sarà dell’Homo sapiens così come l’abbiamo conosciuto finora?
L’attività del vivente nel suo ambiente non si limita mai alla pura conoscenza o al semplice dominio ma è sempre finalizzata a utilizzare conoscenze e influenze per generare il proprio mondo. Per il fisico austriaco Fritjof Capra in questo processo l’ambiente «si limita a innescare le modifiche strutturali, esso non le specifica né le dirige» di modo che il mondo che ne consegue «dipende sempre dalla struttura dell’organismo». In altri termini gli organismi, e ancor di più l’uomo, possiedono, quello che il biologo e filosofo francese Jacques Monod ha definito «apparato teleonomico» ovvero una struttura capace di conservare le mutazioni vantaggiose e scartare quelle svantaggiose. Noi abbiamo invece a che fare con un ambiente che si struttura, tanto virtualmente quanto fisicamente, in modo autonomo sulla base dei feedback ricevuti dagli individui che lo abitano e che si limitano a trasferire passivamente informazioni, facendo sì che il processo cognitivo venga dislocato in esso e di conseguenza guidato da esso.
Il rapporto uomo-ambiente finisce così per essere completamente capovolto, non più un rapporto auto-generativo in cui gli stimoli ambientali sono utilizzati dall’uomo sulla base della propria struttura teleonomica, ma un rapporto totalmente dominato dall’ambiente a un punto tale da determinare la stessa struttura teleonomica dell’uomo. La digitalizzazione che è in atto non riguarda semplici processi dischiudendo nuove opportunità, essa riguarda, in prima e in ultima istanza, la ristrutturazione del mondo intero tale da rendere il rapporto uomo-ambiente univocamente determinato. Ciò che chiamiamo globalizzazione non è un banale processo economico ma, in definitiva, un processo volto a strutturare l’ambiente di ogni singolo individuo secondo fini che non gli appartengono e che egli, oltretutto, ignora.
Singolarità Vs Comunità
Da questo scaturisce il secondo ordine di problema che avevamo già anticipato, ovvero il fatto che ogni ambiente si fa sempre più individuo-specifico (dal momento che esso utilizza le informazioni al fine di profilarsi, di rendersi confacente agli utilizzi di ogni singolo individuo) ma questo non nel senso che indica Uexküll quando, con un esempio illuminante, contrappone la visione della foresta per il guardaboschi, per il quale lo spazio della foresta è un ambiente in cui abbattere o salvare alberi, a quella della bambina, per la quale, invece, lo stesso spazio è un ambiente magico in cui le querce assumono sembianze umane. Quello che avviene adesso è che ogni bambina e ogni guardaboschi rischiano di avere una loro foresta, di modo che non sarà più possibile distinguere tra gruppi di individui (siano essi guardaboschi o bambine). Ogni individuo rischia, cioè, di diventare un essere a sé stante caratterizzato da un ambiente con la propria Umgebung, la quale, situandosi tra un’Umwelt e l’altra produce uno iato, una discontinuità incolmabile.
Questo può servire a spiegare la polverizzazione della vita pubblica, la progressiva perdita di ogni «comune» e di ogni comunità. E serve forse a spiegare l’assordante silenzio e l’impressionante mancanza di qualsiasi tipo di mobilitazione sociale contro la sempre più imminente minaccia nucleare. Nemmeno questa sembra essere in grado, ormai, di ricomporre quello iato che, in modo pressoché invisibile, si situa tra ognuno di noi, rendendo i dintorni del nostro ambiente del tutto impraticabili al prossimo e consegnandoci, in questo modo, a una condizione di irredimibile singolarità.
*Francesco Abbate è laureato in Filosofia presso l’Università Sapienza e in Economia presso l’Università Tor Vergata. Vive e lavora a Rio de Janeiro.