Eva Rothschild ‘Our Life, Our Sweetness and Our Hope’
5 Giugno 2022Tokyo cane
5 Giugno 2022di Marco Ventura
Sono i nuovi cristiani quelli che si battono in Ucraina. È un nuovo cristianesimo quello che si produce nella guerra. Ce ne rendiamo conto sempre di più, a mano a mano che gli occhi si abituano all’oscurità di questa guerra. La trasformazione, naturalmente, non appare nitida. Il cristianesimo del futuro si delinea nei chiaroscuri. La sua luce appare fioca come una lampadina a fluorescenza appena accesa. Del resto i nuovi cristiani si stanno facendo mentre gli anfibi affondano nel fango, nella poltiglia dell’urgenza e della forza maggiore, mentre tutto sembra antico e provvisorio.
Per comprendere, «la Lettura» ha dialogato a distanza con il Metropolita di Kiev Epifanio, capo della Chiesa ortodossa ucraina riconosciuta tre anni fa dal patriarca ecumenico di Costantinopoli come indipendente, «autocefala» nel gergo del diritto canonico ortodosso. Le domande e le risposte scritte sono state discusse con Dmytro Vovk, esperto internazionale di libertà religiosa, e da lui tradotte dall’inglese in ucraino e viceversa.
Epifanio è l’uomo sul confine, nuovo cristiano per scelta e per necessità, leader di quella Chiesa indipendente eppure vincolata al destino del popolo da cui comincia questo nuovo cristianesimo. Il metropolita non è d’accordo con l’enfasi sul 2019, l’anno del tomos, il documento che riconosce l’autocefalia: «Non si dovrebbe iniziare dal 2019, ma almeno dal 1917, quando la lotta per l’indipendenza della Chiesa in Ucraina cominciò subito dopo la caduta dei Romanov».
La Chiesa dei nuovi cristiani sa di oppressione, di lotta per la liberazione: «La strada è stata lunga, l’occupazione spirituale di Mosca è durata più di tre secoli». L’invasione russa amplifica il senso del percorso, reclama un sigillo divino: «Siamo a casa nostra, stiamo costruendo la nostra Chiesa ortodossa ucraina autocefala sulla terra dataci da Dio affinché ci prendiamo cura del nostro gregge».
Il dubbio che la svolta del 2019 abbia aumentato le tensioni scivola in una domanda. Il metropolita non lascia spazio: «Il modo in cui è posta la domanda corrisponde alla falsa narrativa diffusa dalla Russia». La contrapposizione con il patriarcato di Mosca diventa ancora più esplicita quando si chiede che cosa avrebbero potuto fare gli ortodossi per scongiurare la guerra. Se i vertici della Chiesa russa, nella terminologia tecnica ortodossa «i gerarchi», «si sentissero parte della Chiesa di Cristo e non di un dipartimento religioso al servizio del Cremlino, se vivessero secondo il Vangelo e testimoniassero la verità, non sarebbero uno strumento ideologico del potere russo». L’indipendenza in questione non è soltanto quella tra le Chiese, ma anche quella dallo Stato. Se gli si fa osservare che il connubio di Stato e Chiesa tipico dei Paesi ortodossi appare ancora più problematico oggi a causa della guerra, Epifanio ribatte che «nessuna Chiesa può rinunciare ai rapporti con lo Stato» e visto che dialoga con un quotidiano italiano, respinge al mittente: «Il centro della Chiesa cattolica, il Vaticano, è esso stesso uno Stato e costruisce relazioni con altri Paesi come uno Stato».
Poi prende un’altra strada: «Noi non abbiamo un tale status e non lo cerchiamo». Per illustrare «la differenza che conta» ricorre ancora una volta al contro esempio russo: «La Chiesa può essere un’istituzione indipendente che dialoga con il governo ed è leale verso la statualità, oppure può essere dipendente, subordinata al governo, parte della macchina propagandistica del regime, come si vede in Russia dove la Chiesa è uno dei tentacoli della piovra aggressiva».
Lo schema si ripete sul patriottismo cristiano: «La Chiesa non rifiuta il sano patriottismo perché questo si basa sulla principale virtù cristiana: l’amore». Tuttavia «l’uso del patriottismo, anche cristiano, da parte della Russia è certamente sbagliato, è una colpevole manipolazione», perché «il patriottismo è amore per la patria, non per il dominio dello Stato». Devono dunque essere diversi la relazione con lo Stato ucraino, lo Stato stesso, l’identità di popolo, Stato e Chiesa nel loro insieme. Per Epifanio, infatti, il problema con la Russia sta «nella nostra stessa identità, nella nostra esistenza stessa», non nel tomos del 2019. «Per Putin l’Ucraina non esiste, la nazione ucraina non esiste e quindi non possiamo avere una Chiesa indipendente; di più, Putin non sopporta il successo del popolo ucraino, dello Stato e della Chiesa nella costruzione di un moderno Paese europeo».
Funzionano così il negativo e il positivo, sull’indipendenza tra Chiesa e Chiesa, sull’indipendenza della Chiesa dallo Stato e al contempo sul bisogno di Stato, sul sano patriottismo e su un’identità moderna ed europea. Sono le parole chiave dei nuovi cristiani, su cui Kiev e Mosca sono eguali e contrarie: entrambe gelose della loro terra e del gregge corrispondente, entrambe sparate nel mondo, verso lo spazio liberale «moderno e europeo» gli ucraini, verso lo spazio conservatore post-moderno e globale i russi.
Il test, l’ultima parola chiave, è l’unità. Epifanio non fa concessioni agli ortodossi ucraini rimasti con il metropolita Onofrio nella Chiesa ortodossa d’Ucraina ancora sotto Mosca. Onofrio ha quasi subito unito la sua voce a quella delle comunità religiose ucraine nella condanna dell’invasione e di recente ha annunciato misure tese ad allentare i rapporti. Epifanio è scettico: «Non abbiamo visto passi significativi per recidere i legami istituzionali con il patriarcato di Mosca, né abbiamo assistito a una vera condanna della posizione criminale di Kirill Gundyaev e di altri gerarchi che apertamente giustificano e benedicono l’aggressione russa contro l’Ucraina».
È lungo l’elenco dei capi di accusa: «Non c’è stata una condanna dell’ideologia, praticamente fascista, del “mondo russo”» e invece «si sono registrati numerosi casi di assistenza agli occupanti da parte del loro clero, mentre le nostre attività sono state definite “sovversive”, “sabotatrici” e ritenute “una delle ragioni dell’invasione militare dell’Ucraina”».
La prima unità, quella tra cristiani ortodossi, è per Epifanio quella che è mancata prima dell’invasione e che avrebbe forse dissuaso Mosca: «Se l’ortodossia ucraina fosse stata unita attorno al trono di Kiev, Putin non avrebbe sperato di trovare sostegno in Ucraina». È soprattutto, nella fase presente, «l’unificazione degli ortodossi in Ucraina» che «avverrà sicuramente» e che «è già in corso».
Prima dell’invasione, ricorda il metropolita, il 15% dell’intera popolazione ucraina esprimeva fiducia verso la Chiesa sotto Mosca e il 38% verso la Chiesa indipendente. A marzo la fiducia nella Chiesa di Onofrio era già scesa al 4% mentre quella per la sua Chiesa raggiungeva il 52%. «Le parrocchie lasciano la giurisdizione del Patriarcato di Mosca e si uniscono a noi», aggiunge, «dopotutto il patriarca ecumenico ha stabilito che in Ucraina tutti gli ortodossi appartengano all’unica Chiesa autocefala».
L’unità, come obiettivo, e l’unificazione, come processo, sono decisive per i nuovi cristiani. La libertà, in questa prospettiva, è il migliore alleato e il peggior nemico, e Epifanio sottolinea la propria volontà «che il processo di unificazione avvenga consapevolmente e volontariamente». Sulla libertà religiosa divergono ancor più il positivo ucraino e il negativo russo. «I regimi repressivi si battono sempre per il controllo completo di tutte le sfere della vita», spiega Epifanio, «il totalitarismo non esiste a metà, quindi non sorprende che non ci sia libertà religiosa in Russia, adesso lì non c’è nessuna libertà». Invece «per noi in Ucraina il totalitarismo è innaturale e del tutto inaccettabile e questo dimostra ancora una volta che siamo popoli diversi».
Dopodiché dalla libertà si torna all’unità: «Cristiani, musulmani, ebrei, pagani e atei difendono insieme la loro patria in Ucraina», scrive Epifanio e aggiunge: «Ci siamo dati un organismo unico: il Consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose, che comprende rappresentanti del 90% delle comunità religiose in Ucraina».
All’unità degli ortodossi in un’unica Chiesa corrisponde l’unità dei credenti in un unico Consiglio le cui decisioni, specifica il metropolita di Kiev, «sono prese esclusivamente per consenso». L’indipendenza, il patriottismo, l’identità, poi l’unità e la libertà, sono l’identikit del nuovo cristianesimo mobilitato e militarizzato che si forgia in trincea. Di fronte, il nemico.
Su Onofrio Epifanio è asciutto: «Non abbiamo rapporti speciali, non ci incontriamo spesso, solo in occasione di eventi ufficiali dello Stato; finora, negli otto anni dalla sua intronizzazione, ha evitato ogni dialogo e continua a farlo».
Il patriarca di Mosca è menzionato solo con nome e cognome, Kirill Gundyaev, per negargli la dignità patriarcale. Nei saluti pasquali Epifanio ha invitato la «pienezza dell’ortodossia» a condannarne «le parole e le azioni» perché «nessuno può tenere il calice e lo scettro pastorale con mani insanguinate». Sollecitato in proposito, Epifanio risponde che «la prima condanna che per tali azioni dovrebbe temere un cristiano, e a maggior ragione un gerarca della Chiesa, è il giudizio di Dio». Il giudizio delle Chiese, tuttavia, è necessario: «Quale sarà la forma e la procedura lo dirà il tempo».
Ricorda però che nella seconda metà del XVII secolo un sinodo dei patriarchi d’Oriente guidato dal patriarca ecumenico «condannò il patriarca russo Nikon e lo spogliò della sua dignità». Peraltro «il verdetto del popolo sulle azioni di Kirill Gundyaev è già arrivato». Le comunità in Ucraina lasciano Mosca «soprattutto a causa della posizione anticristiana del suo leader».
Il nemico è comunque l’intero patriarcato di Mosca: «I responsabili dell’ideologia criminale del “mondo russo” hanno acceso il fuoco della guerra e con labbra false hanno benedetto apertamente carnefici e assassini in nome di Dio e della Chiesa». Pertanto «condannare questi crimini, condannare la trasgressione delle leggi di Dio e dell’uomo, non è solo un diritto, ma un dovere morale di ogni persona, specialmente dei cristiani». Per Epifanio «non si tratta più delle sottigliezze del diritto canonico o delle discussioni storiche, ma del bene e del male in quanto tali e della scelta di ciascuno: sei con Dio o con il diavolo?».
Nelle distruzioni, nella fuga, nelle violenze e nei lutti della guerra, nella «ferita viva che continua a sanguinare», il metropolita vede il ritorno «dell’impero del male», come il presidente Reagan chiamò l’Unione sovietica. Epifanio si dice in generale aperto al dialogo, ma rimprovera agli europei una «politica di relazioni con Mosca» che si è rivelata «un completo fallimento» perché «ha creato l’illusione dell’invincibilità e dell’impunità nell’aggressore russo».
Il giudizio è severo anche sulla Via Crucis di Papa Francesco dello scorso 15 aprile. L’infermiera ucraina e la studentessa di medicina russa che hanno portato insieme la croce, scrive Epifanio, sono infatti apparse del tutto fuori luogo nel momento in cui i russi adottano la narrativa dei «popoli fratelli» e «equiparano la vittima e l’aggressore».
I nuovi cristiani nati dai conflitti hanno bisogno di idee nette sul nemico perché lo sperimentano mimetizzato, infiltrato. Li sostiene, nel loro lavoro tra le ombre, la convinzione che Dio agisca nella storia. Oggi non può esserci «cooperazione» con i russi, precisa Epifanio, ma «la provvidenza di Dio corregge il male e dirige tutto verso il bene» e quando «saranno cambiati la politica, la società e l’ambiente ecclesiale, una rinnovata Chiesa russa potrà anticipare il pentimento della Russia per tutti i crimini commessi, anche in Ucraina». Affondati nella realtà, appesi all’efficacia, i nuovi cristiani vivono di fede. Epifanio conferma che ci sono state «azioni pericolose» contro di lui, «diverse persone sono state arrestate e si sono rinvenuti alcuni dispositivi di guida». Non è abbastanza. «Come cristiani dobbiamo ricordare le parole dei salmi», conclude: «Se il Signore non protegge la città, invano veglia la sentinella».
https://www.corriere.it › la-lettura