L’inasprimento delle tensioni fra i due Paesi segna un’escalation nella regione, mentre nel conflitto tra Israele e Hamas non si intravede una soluzione. “La vittoria richiederà molti mesi, ma siamo determinati a raggiungerla”, ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, aggiungendo di avere informato gli Usa, che si oppone all’istituzione di uno Stato palestinese nel day after della guerra. Dichiarazioni giunte dopo che il presidente israeliano Isaac Herzog, parlando al forum di Davos con accanto la foto del bambino ostaggio di Hamas, Kfir Bibas, aveva detto che al momento in Israele “nessuno sano di mente è disposto a pensare a quale sarà la giusta soluzione degli accordi di pace. Tutti vogliono sapere che non verranno attaccati allo stesso modo da nord, da sud o da est: quando si parla di soluzione a due Stati serve affrontare una domanda preliminare: quali sono le garanzie di sicurezza per i cittadini di Israele?”, ha detto Herzog.
Come per l’Iran due giorni prima, anche per il Pakistan l’obiettivo dichiarato del raid in territorio iraniano sono stati insorti indipendentisti, ragioni interne dunque. Ma il fatto che Iran e Pakistan si siano assunti il rischio di un’escalation colpendo entro i confini del Paese vicino non può essere analizzato prescindendo dal contesto del conflitto in corso a Gaza e da fattori esterni. Il raid lanciato in Pakistan contro il gruppo separatista sunnita Jaish al-Adl permette all’Iran di mostrare la propria forza senza rischiare un confronto più ampio con Israele e Stati Uniti. Dal canto suo, il Pakistan, che l’8 febbraio andrà al voto, ha voluto inviare all’Iran e ad altri vicini, come per esempio l’India, il messaggio che se provocato può reagire. Le parole di Netanyahu sul no a uno Stato palestinese sono giunte dopo che la Nbc aveva pubblicato indiscrezioni secondo cui il premier israeliano aveva respinto una proposta del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che prevedeva la normalizzazione delle relazioni fra Arabia Saudita e Israele in cambio dell’accettazione da parte di Tel Aviv di fornire ai palestinesi un percorso verso la nascita di uno Stato. “Il primo ministro deve essere in grado di dire di no ai nostri amici”, ha rimarcato Netanyahu. Intanto, la situazione nel Mar Rosso resta complessa. Gli Usa hanno effettuato nuovi raid contro i ribelli houthi in Yemen. E il predidente Joe Biden ha fatto sapere che i bombardamenti contro gli Houthi continueranno. In attesa della riunione dei ministri degli Esteri Ue di lunedì, in cui dovrebbe esserci sul tavolo una missione europea nel Mar Rosso, Berlino ha fatto sapere che la sua Marina è pronta.
Mentre a Gaza si è aggravato a oltre 24.600 il bilancio dei palestinesi morti dall’inizio della guerra. Nella Striscia continuano gli attacchi israeliani: sono almeno 16 i morti, la metà dei quali bambini, in un raid che ha colpito la città di Rafah, vicino al confine con l’Egitto, che in questo momento è al collasso per la presenza di un milione di sfollati arrivati dal nord. Dopo l’ingresso nella Striscia di medicinali destinati a ostaggi e residenti palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Francia e Qatar, non c’è stata parola invece se i farmaci siano stati distribuiti ai sequestrati con malattie croniche nelle mani di Hamas. Per l’Unicef la situazione a Gaza, “il posto più pericoloso al mondo per i bambini”, “è passata da catastrofica al collasso”. E Sean Case, membro dell’Organizzazione mondiale della sanità, dopo una visita in alcuni ospedali della Striscia, ha detto ad Al Jazeera: “Ho visto bambini pieni di schegge morire sul pavimento perché non ci sono le scorte al Pronto soccorso”.