Non più solo una missione, ma una vera indicazione, delineata con parole chiare e forti. Papa Francesco affida all’intervista della Radio Televisione svizzera le parole più determinate che abbia mai pronunciato in questi due anni di conflitto. Parla all’Ucraina: “Negoziare in tempo – suggerisce Bergoglio – cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore”, spiega. “La Turchia si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna a negoziare prima che la cosa peggiori”, conclude rispondendo alla domanda dell’intervistatore, Lorenzo Buccella, che si riferisce proprio a chi “in Ucraina chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca”. “È un’interpretazione – risponde il Pontefice – passando subito a far intendere che lui è tra coloro che la vedono così. Tanto che una nota del Vaticano precisa che l’immagine della bandiera bianca è stata proposta da Bucella. E che per Bergoglio il negoziato “non è mai resa”.
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Resta un messaggio forte, cristiano, prima di tutto, quello del Papa che ricorda di essersi fatto mediatore, non solo tra ucraini e russi, ma anche in Medio Oriente con la lettera agli “amici ebrei”. Un messaggio tuttavia che a Kiev non verrà accolto con favore, se si pensa che alle tensioni per le parole di mediazione di Bergoglio. Per Kiev l’equidistanza mostrata dal Papa tralascia la distinzione tra aggredito e aggressore. E Bergoglio ci torna su dopo il lancio dell’intervista, ribadendo che prega per il martoriato popolo ucraino. Ma la crepa tra Kiev e il Vaticano non si è mai realmente ricucita, nonostante i tentativi della Santa Sede: tra cui il viaggio a Bucha dell’inviato di pace Matteo Zuppi.
Ma Bergoglio non fa riferimento solo all’Ucraina. Quello affidato alla tv svizzera e che andrà in onda nella versione integrale il 20 marzo, è un messaggio anche a Israele. Quando l’intervistatore gli chiede cosa gli rispondono i grandi della Terra quando chiede loro la pace, il Papa svela: “C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi”. Concetti quello degli armamenti e della “guerra giusta” che Bergoglio ribadisce spesso, ma che uniti al discorso di come la difesa finisca nella distruzione richiama alla mente Gaza. In definitiva per il Papa “la guerra sempre è una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica”. Definizione seguita da un aneddoto che lo riguarda, un po’ il simbolo del suo pontificato: quello delle due colombe liberate per la commemorazione della pace portate via a San Pietro da un corvo nero. “È duro”, commenta Francesco, paragonandolo a ciò che succede in guerra. “Tanta gente innocente non può crescere, tanti bambini non hanno futuro. Qui vengono spesso i bambini ucraini a salutarmi, vengono dalla guerra. Nessuno di loro sorride, non sanno sorridere. E un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose, per favore”, rincara la dose il Papa. Quanto al Medio Oriente, per Bergoglio, che racconta come ogni giorno alle sette di pomeriggio chiami la parrocchia di Gaza in cui vivono seicento persone che gli raccontano cosa vedono: “È una guerra – dice – e la guerra la fanno due, non uno. I responsabili sono questi due che fanno la guerra”. “La guerra è pazzia, è una pazzia” chiosa Francesco anticipando all’Ansa l’intervista e aggiunge che gli “interventi umanitari alle volte sono per coprire un senso di colpa”. Un messaggio all’Europa? Agli Usa?