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1 Settembre 2023Parco Verde, ghetto senza servizi: mai favorita l’integrazione con Caivano
1 Settembre 2023Sono in due, hanno 15 anni. Rita fa il liceo linguistico, Antonio frequenta Scienze umane, arrivano da una stradina laterale, le forze dell’ordine non li vedono e così riescono ad avvicinarsi alla parrocchia blindatissima del Parco Verde. «Con le mie amiche sono molto protettiva – racconta lei – cerchiamo di aiutarci. Dobbiamo essere noi a lottare contro la violenza sulle donne. Sapere che dei ragazzi hanno abusato di due bambine mi urta il sistema nervoso, erano abbastanza grandi per sapere che fa schifo». Rita e Antonio vivevano entrambi nel centro di Caivano, che è a due passi ma è come se fosse una galassia separata.
La nonna di Rita è morta e la famiglia ha ereditato l’appartamento ma si è dovuta trasferire al Parco Verde: «Frequentiamo Cardito o Frattamaggiore, quando i miei amici mi riaccompagnano a casa non vogliono entrare nel Parco, mi lasciano fuori. Qui c’è un consumo massiccio di droga. Quando venivamo da mia nonna per uscire dovevamo aspettare che con il walkie talkie la vedetta avvisava lo spacciatore per farci uscire dal palazzo. Poi c’è stato il morto, hanno fatto una retata e lo spaccio si è spostato sopra, negli appartamenti. Le famiglie normali del palazzo puliscono le scale per non stare nello sporco ma con questo via vai di tossici il palazzo diventa una schifezza lo stesso». Sono andati al Parco Verde perché il padre fa l’operaio, la mamma non lavora e pagavano 600 euro di affitto: «Sono nata qui, è il mio paese ma onestamente voglio andare via, dove sto più tranquilla. Qui puoi solo fare l’operaio, il barista, non c’è futuro. Campa bene solo chi tiene una ditta. Voglio studiare e andarmene».
Bruno Mazza con la sua associazione Un’infanzia da vivere lotta per interrompere il ciclo della povertà: «Terremoto del 1980, io e la mia famiglia finiamo nei baracconi di ferro alle Fontanelle, Rione Sanità. Nell’87 siamo arrivati qua con un contratto di casa provvisorio, eravamo 600 famiglie. Mio padre aveva un’officina a Napoli, a Montesanto. Abbiamo provato a mantenere i legami ma quando sei così lontano, con pochi soldi, alla fine devi rinunciare. Poi mio padre è morto nel ’92, io ero irrequieto, sbandato, difficile. La scuola invece di aiutarmi mi ha allontanato. Eravamo in 14, tutti con le stesse difficoltà e siamo finiti in braccio alla criminalità. Mi sono salvato perché mi hanno arrestato, ho fatto 12 anni dentro dove ho preso due diplomi, gli altri sono tutti morti sparati o per overdose». Scuole separate: quelle al Parco Verde solo per i palazzoni popolari, quelle di Caivano per chi abita al centro. Seicento famiglie spedite dove c’era la base del gruppo di fuoco della camorra cutoliana, niente lavoro: è lo Stato che ha creato la bomba sociale. Così 300 famiglia sono andate via e la camorra ha occupato gli appartamenti vuoti.
Nel Parco Verde c’erano dodici piazze di spaccio, i carabinieri ne hanno smantellate otto. È ancora contro le istituzioni che Bruno punta il dito: «Qui ci sono tre palazzoni Iacp costruiti negli anni ’70 per i residenti, ce n’è uno con 36 famiglie tutte legate tra loro. Nel 2013 un bambino di 3 anni vola dalla finestra e muore, l’anno dopo succede lo stesso a Fortuna Lombardi di 6 anni, l’avevano violentata. Lo Stato doveva fare qualcosa invece ci ritroviamo, nello stesso palazzo, con una bambina e la cugina violentate. Il nonno era stato denunciato da due mamme come pedofilo, faceva il bidello in un scuola del Parco. Due zie delle bambine date in affido. Insomma, che la situazione fosse grave si sapeva. La scuola aveva pure segnalato le assenze. Nessuno si è mosso. Allora non si può puntare il dito sempre e solo sugli abitanti».