La Presidente del Consiglio, nel corso del suo recente viaggio in Canada, ha chiamato in causa i costituzionalisti che si oppongono al suo progetto di “premierato” rivolgendo agli stessi una domanda apparentemente semplice: perché vi opponete ad una riforma che dà ai cittadini il potere di scegliersi il Governo? Formulata diversamente, ma precisata meglio nelle intenzioni di chi l’ha posta credo che la domanda potesse risultare espressa anche in questi termini: non pensate voi costituzionalisti di tradire la vostra funzione di difensori della democrazia se vi opponente alla riforma che io ho promosso al fine di affidare direttamente al popolo sovrano la scelta del proprio Governo?
In qualunque modo vogliamo formularla la domanda è non solo semplice, ma anche fuorviante. È fuorviante perché trascura completamente di richiamare due elementi essenziali per esprimere un giudizio ragionevole su questa riforma: in primo luogo non richiama il disegno complessivo che la riforma traccia in connessione con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio; in secondo luogo non si preoccupa di compiere una corretta e realistica valutazione del contesto politico in cui questa riforma è chiamata ad operare in sostituzione dell’attuale forma di governo parlamentare. Omissioni serie se riferite al senso sotteso alla domanda che la Presidente del Consiglio ha posto e che potrebbe essere così riassunto: la costituzione repubblicana del 1948 ha definito una democrazia limitata, ormai superata dalla storia recente, che questa maggioranza intende arricchire sul terreno della sovranità popolare dando più potere ai cittadini contro i partiti. La riprova di questo obbiettivo che la riforma intenderebbe perseguire, sempre secondo l’attuale maggioranza, andrebbe trovata nel fatto che, a parte questo nuovo potere affidato ai cittadini, con questa riforma nulla verrebbe mutato nell’originario disegno tracciato dalla costituzione del 1948, né i poteri del Parlamento né i poteri del Capo dello Stato o, guardando più a fondo verso le basi del nostro assetto repubblicano, né il principio di rappresentanza né le garanzie legate al principio di separazione dei poteri.
Questa affermazione, spesso ripetuta, relativa al carattere limitato o “chirurgico” di questa riforma, – che formalmente si limita a cambiare soltanto quattro articoli sui 139 della costituzione vigente – è un falso assoluto e basta dare un’occhiata al testo che il Governo ha presentato al Senato ed agli emendamenti successivi per rendersene conto senza troppa fatica. Il fatto è che all’elezione diretta del Presidente del Consiglio la riforma aggiunge una serie di misure dirette non tanto ad ampliare quanto a ridurre sensibilmente gli spazi della nostra democrazia rappresentativa, fondata sull’intermediazione politica e sul pluralismo istituzionale, al fine di favorire la massima concentrazione del potere, con il minimo dei controlli, nelle mani della persona fisica investita della direzione del Governo. Fine perseguito, sul piano dell’indirizzo politico, limitando il potere del Parlamento, che vede trasformato il voto di fiducia da reale in fittizio e, sul piano dei controlli, riducendo il peso delle funzioni arbitrali del Capo dello Stato, che vede annullata la sua libertà di scelta tanto nella formazione dei Governi quanto nello scioglimento delle Camere. Se si aggiunge il fatto che questa riforma viene ad affiancare ad un Capo dello Stato, eletto dal Parlamento quale rappresentante della unità nazionale, un Presidente del Consiglio, eletto direttamente dal popolo quale rappresentante di una maggioranza, possiamo renderci conto dello squilibrio sostanziale che questo disegno è destinato a introdurre nei rapporti che intercorrono tra gli organi posti al vertice dello Stato.
Non è, dunque, un dettaglio, ma il funzionamento complessivo del nostro impianto repubblicano che questa riforma viene a intaccare sostituendo alla base liberale e pluralista della nostra democrazia un modello di “democrazia” del tutto diverso fondato sul rapporto e sulla guida diretta del corpo sociale da parte di un leader. In sostanza si tratta di un modello che sottende dinamiche dirette a mettere in ombra sia il principio di rappresentanza, espresso attraverso la necessaria presenza di corpi intermedi tra la base sociale e le istituzioni governanti, sia il principio di separazione dei poteri, cioè le basi stesse del costituzionalismo moderno. Se questa riforma giungerà in porto in sede parlamentare e su di essa i cittadini saranno poi chiamati a esprimere la loro volontà in sede referendaria la domanda meno semplice da porre agli stessi non potrà, dunque, che essere questa: volete, approvando questa riforma, aprire la strada ad un governo autocratico i cui sviluppi restano al momento del tutto imprevedibili oppure, respingendo questa riforma, volete mantenere una forma di governo che, anche se diversa da quella in atto, risulti compatibile con le basi di quella democrazia liberale e pluralista che abbiamo sinora utilizzato?